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Per non morire di pena – incontro e dibattito

 

INCONTRO E DIBATTITO PER NON MORIRE DI PENA

martedì 7 febbraio ore 16.00
presso l’aula magna del dipartimento Cospecs (via concezione 6), Messina

Carcerti italiane: oltre 56mila detenuti ammassati nelle celle.
Di questi, 749 subiscono una condizione detentiva estrema, fondata sull’isolamento totale e la deprivazione fisica e psichica: il cosiddetto “carcere duro”, il 41bis.

Nati formalmente come misure emergenziali ed eccezionali per il contrasto alla mafia, l’uso di 41bis ed ergastolo ostativo continua a estendersi, in particolare ai detenuti politici.

La vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito, da quasi 4 mesi in sciopero della fame per l’abolizione di questi regimi, non può che interrogarci sulla possibilità che gli istituti punitivi svolgano sempre più spesso una funzione politica.

Attivisti, studiosi, solidali sentono il bisogno di discutere e confrontarsi collettivamente su cosa accade dentro e fuori le carceri, per immaginare insieme come contrastare la deriva giustizialista e securitaria radicata nella società e nelle narrazioni.

 

* Introduzione – Pietro Saitta

* L’incostituzionalità riluttante dell’ergastolo ostatitvo – Lucia Risicato

* La sottile linea tra detenzione e tortura – Giulia Colavecchio

* Dal diritto penale del ‘fatto’ al diritto penale del ‘nemico’: la denuncia deghli avvocati sull’erosione delle garanzie processuali – Carmelo Picciotto

* Dall’antimafia all’antiterrorismo e oltre: piccola cronologia del carcere duro e dei provvedimenti speciali; Aggiornamenti sul caso Cospito e sul movimento contro 41bis ed ergastolo ostativo


Sulla Soglia: due giorni di discussioni in Sicilia su Sud, Civiltà contadina, Apocalisse culturale e Cosmovisioni, Rivoluzione

È la pluralità dei mondi a garantire che quello che abitiamo non si chiuda in un orizzonte totalitario.”

Ho un ricordo ben preciso della prima volta che ho incontrato un mondo umano davvero per me altro, cogliendone appieno le particolarità. Anni ’70 del secolo scorso, altopiano di Bandiagara, Mali, Africa. Arrivati la sera quasi al buio seguendo la pista di carretti tirati da asini.

Accampati bene in vista, su un’altura in prossimità del villaggio (non si entra in casa d’altri senza dare il tempo a un primo incontro sulla “soglia” necessario per condividere informazioni e intenzioni).

Non si accede col buio, si entra alla luce del sole. (…)

Non era certo un mondo felice, libero da dolore, fatica, malattia, prepotenze, malignità, malefizi, umiliazioni. Ma era un mondo umano, costruito cioè da umani in relazione attenta con ciò che li circonda. Da umani proprietari (artefici e responsabili) del loro mondo.

Stefania Consigliere, Piero Coppo, Cose degli altri mondi

Del dolore di questa epoca, appena battezzata nell’Avvento Pandemico, è impossibile non avvertire la minaccia. Catatonia, depressione ciclica, senso di esaurimento delle forze, impennate di suicidi, tutto il malessere che si continua a recludere nella categoria scricchiolante della psicopatologia, sono il segno di esalazione dell’umano, man mano che il regime del mondo-macchina sembra chiudere il suo sipario algoritmico sulle esistenze.

Un’espressione pregnante, almeno per chi scrive, ha circolato nelle aree del pensiero critico per dare conto dei cambiamenti in corso: apocalisse culturale. Apocalisse culturale per chi? Certo non per il dominio tecno-capitalista, per la sua cosmovisione e per la sua utopia totalitaria in via di realizzazione. Sicuramente, per tutte quelle aree culturali che si sono pensate come altre rispetto al capitale – inteso qui come rapporto sociale – e per le quali è stato uno scossone significativo intuire quanto poco si avesse da obiettare allo Stato e al dominio nelle mosse di conquista di ciò che era rimasto relativamente estraneo al loro campo d’azione: i corpi di tutti – cioè il corpo della specie –, i meccanismi fragili e misteriosi della vita, quegli scampoli autonomi di socialità interrotti per decreto. Un brivido di apocalisse ha attraversato chi ha visto il movimento radicale vacillare nella critica e nel sabotaggio del lockdown, del coprifuoco, della vaccinazione obbligatoria e del green pass. Il rischio di apocalisse culturale quindi lo viviamo noi, lo vivono tutte quelle soggettività anomale della storia d’Occidente, più o meno sovversive, che nel frangente in cui squilla la campanella totalitaria, sono costrette ad una scelta fondamentale: dentro o fuori. Lo ribadiamo, un dentro/ fuori tutt’altro che metaforico dal momento che l’idea che lo Stato può disporre dei corpi non è più un tabù a livello generale.

E se non volessimo discendere le chine ripide della rimozione? Se volessimo spezzare il sortilegio che impone di sacrificare la propria energia vitale al retto funzionamento della macchina?

In questo bilico, c’è dell’altro, dell’ancora: ci sono i tentativi, umanissimi, di mantenersi a galla e di rinculare il crollo facendosi forza nelle relazioni, c’è la voglia di non abdicare all’intelligenza e di solcare con lo sguardo orizzonti rimasti in ombra anche nel discorso rivoluzionario.

Della sofferenza, del senso d’impotenza, delle trappole tese al cammino di chi tenti un’uscita dalla strada maestra, ci sembra necessario occuparci. A guidare questo sforzo c’è il senso della necessità di un trattenere e di un lasciare epocali.

Da un lato, c’è un patrimonio che, come è stato scritto altrove, rappresenta al contempo un distillato teorico nell’alambicco delle esperienze storiche e un pluriverso di possibilità inesplorate (o parzialmente esplorate) di nuova vita. La critica anarchica dello Stato e del dominio, i metodi anti-autoritari di auto-organizzazione, la conflittualità non mediata e la solidarietà integrale tra gli insorti e con i colpiti dalla repressione, il mutuo aiuto tra gli/le oppressi/e, sono assi del nostro orientamento che nessun diluvio potrà, né dovrà, affondare.

Dall’altro c’è l’urgenza di una riflessione sulla direzione dello sguardo, una proposta di inversione di rotta che può suggerire un’altra lettura del mondo cui apparteniamo, della storia che lo ha costruito. La piega dell’indurimento culturale indotto dal dominio totale del capitale appare inesorabile guardato dai “centri” di irraggiamento. Non conviene allora, agli sguardi che non si piegano, cercare le possibilità di essere-nel-mondo, di fare-mondo, tra le increspature e i margini?

Lo spazio da cui il nostro sguardo si volge è il Sud.

Cos’è il Sud (d’Italia e non solo)? Per chi decide di lottare è una determinazione primaria, al punto che non ci si può immaginare compagn* al di là delle esperienze, marchiate a fuoco nella coscienza, che qui si sono vissute: separazioni, emigrazioni, violenza istituzionale e miseria del vivere, ostentazione dell’ingiustizia, puzza mortifera di patriarcato. A livello storico-sociale il Sud è la pagina nera della storia della nazione. Un fondo costante di terrore e violenza padronale e di Stato ha spianato la strada allo sfruttamento, ai tormenti e all’estrattivismo più esasperati. Già Zino Zini, all’inizio del secolo scorso, scriveva che lo Stato italiano non poteva sussistere senza il reclutamento costante di gendarmi, amministratori e burocrati al Sud, a indicare che le classi dominanti sono state in grado di creare e sfruttare a proprio vantaggio molte contraddizioni (“I nipoti di chi fu Brigante saranno Carabinieri, sarà un ferita aperta sotto l’acqua ed il sole”, dice una bella poesia di Luigi Ceccarelli, cantata da Lina Sastri).

Un’enorme rimozione a cui ha contribuito tutta la sinistra storica, intenta a farsi governo e Stato. Non è un caso, infatti, che al non detto sulle violenze dello Stato si sia accompagnato l’imbarazzo verso l’indagine delle forme di vita e dei mondi culturali della civiltà contadina del Sud (anche su questo fronte, dirigenze e segreterie di sinistra hanno gestito con una logica di “riduzione del danno” tanto le teorizzazioni del Gramsci “meridionalista” quanto le successive ricerche di Ernesto De Martino). Perché la memoria bandita sarebbe potuta tornare a dire che il nostro, lungi dall’essere l’unico mondo possibile, deve al genocidio degli altri la sua alba: un mondo di fantasmi tenuto dietro-sipario nella quotidianità scandita dalla colonizzazione dell’immaginario.

Eppure, tra spiagge e montagne spopolate e il fiume di soldi in arrivo dal PNRR per farne meta per ricchi e annoiati, qualcosa spinge e scalcia. È la traccia – fragile e residuale, ma ancora visibile – della civiltà contadina dell’entroterra di montagna: è sguardo e mani di secoli di generazioni nella costruzione di un orto, nel mantenimento del giardino, di quel (pre)proletario sapere fare tutto da sé; è un rapporto diverso col passato, coi morti e coi vicini.

Attraversare altre cosmovisioni, altri mo(n)di umani è, per noi, una possibilità aperta al lasciarci trasformare a partire dalle nostre soggettività moderne.

Vogliamo, quindi, interrogarci se questo mondo in via d’estinzione abbia qualcosa da suggerirci, se nuove complicità e prospettive possano prendere slancio nell’incontro con esso, se qualcosa covi ancora o se delle fiammate prodotte in passato sia rimasta solo cenere.

Si pone insomma la questione della rivoluzione, parola che incute pudore e, forse per questo, lasciata per troppo tempo alla lingua biforcuta dei pubblicitari. La migliore critica radicale ha saputo, con anticipo di decenni, cogliere il movimento storico della civiltà occidentale nella sospensione tra i poli dialettici della rivoluzione e dell’apocalisse. Oggi, in molt* siamo in grado di vedere l’apocalisse nel quotidiano, in pochissim* le possibilità della rivoluzione. Eppure sentiamo quanto la rivoluzione sia necessaria per proteggere l’amore, la dignità e tutto ciò che rimane di bello in noi e nella vita. Servono l’impensabile e l’indicibile per dissolvere la pesantezza d’acciaio dei rapporti dominanti.

Il termine rivoluzione indica anche la rotazione intorno al proprio centro. Chissà che non sia il ritorno al fuoco delle origini dell’anarchismo italiano – i tentativi insurrezionali dei primi internazionalisti mutuano molto delle forme di lotta e della mentalità dei moti contadini – ad arridere alle prospettive di liberazione di oggi; chissà che due amanti, rimasti distanti troppo a lungo, non possano ancora generare l’inedito.

In questa due giorni, più che risposte a levarsi saranno questioni e interrogativi. Sarà, crediamo, proprio il loro intrecciarsi ad essere prezioso, come crediamo sarà prezioso il co-abitare uno spazio costruito perché sia luogo di confronto, quindi luogo di cura.

Che le relazioni, che abitiamo e che ci fanno, siano, possano e debbano essere spazi di cura – in un ecosistema che oltre al sé e al noi con-prenda ciò che vi partecipa a prescindere dal nostro “saperlo” – è infatti un senso ulteriore che ci ha fornito la spinta a proporre e organizzare questo incontro.

Un incontro i cui fuochi tematici si alimentano a vicenda e che ci auguriamo possa avvicinarci alla soglia di un altrove e di un altrimenti.

Indicazioni pratiche (IMPORTANTE!)

L’iniziativa si svolgerà nel territorio di Polizzi Generosa (PA). Il modo migliore per arrivare nel luogo che ci ospita è in macchina. In alternativa ci sono dei bus da Palermo per Polizzi Generosa (Sais Trasporti è il nome della compagnia che effettua la tratta).

L’area campeggio è un uliveto di bassa montagna, in cui sono allestite delle compost toilets e sono presenti dei punti acqua.

Porta il materiale da campeggio di cui necessiti; inoltre, porta una tazza/bicchiere (piatti e posate li troverai qui), luci e/o frontali sono necessarie (nell’area campeggio non c’è luce elettrica).

Sulle condizioni meteo, grande è il dubbio: solitamente (sempre che questo avverbio abbia ancora valore d’uso) a inizio ottobre le temperature diurne vanno sopra i 20/22° gradi e le notturne non scendono sotto i 15°. C’è il rischio pioggia: equipaggeremo l’area delle discussioni, dei pasti e del campeggio, in modo da essere vivibile in condizioni di pioggia non violenta (Mahatma Gandhi, patrocina le nostre piogge!).

Le condizioni ecologiche del luogo richiedono di lasciare a casa il cane; cinghiali, daini, cani dei vicini, vicini con pecore e/o capre, sono qui intorno a noi, la convivenza sarebbe difficilissima.

Per le caratteristiche del luogo e per ragioni organizzative, chiediamo di comunicare entro una settimana dall’inizio della due giorni, l’intenzione di venire e il numero di persone se ci si muove in gruppo.

Saranno disponibili dei tavoli per allestire uno spazio distribuzioni.

PROGRAMMA

1 Ottobre

Mattina Arrivi

ore 13:00 Pranzo

ore 15:00 Discussione: “Apocalisse Culturale/Cosmovisioni – Civiltà contadina: storia, presenza, eredità, possibilità”

ne parliamo con Stefania Consigliere e Moffo Schimmenti

ore 21:00 Cena

ore 22:30 Libere Corde – Concerto

2 Ottobre

ore 8:00 Colazione

ore 10:00 Discussione: “Il Sud: terra di conquista, rimozioni, colonizzazioni e….”

ne parliamo con Giuseppe Aiello

ore 13:00 Pranzo

ore 15:00 Discussione: “Il sentimento, la storia e le storie della Rivoluzione”

ne parliamo con alcuni compagni della redazione de “I giorni e le notti”

ore 21:00 Cena

ore 22:30 Proiezioni, musica, danze sfrenate e quello che ci va

Per info e comunicazioni:

scirocco@autoproduzioni.net

strettolibertaria@inventati.org

+39 3896062784

+39 3285749333

ciroccomadonie.noblogs.org/post/2022/09/07/sulla-soglia-due-giorni-di-discussioni-in-sicilia-su-sud-civilta-contadina-apocalisse-culturale-e-cosmovisioni-rivoluzione/


Campeggio antimilitarista – programmaINprogress

 

 

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 CAMPEGGIO ANTIMILITARISTA
la guerra è il cuore di un mondo senza cuore

.il programma è in aggiornamento, e lo sarà fino alla fine del campeggio.
.il luogo preciso verrà comunicato a ridosso dell’iniziativa.

+INFO: Stretto libertaria * nopassaran.noblogs.org * strettolibertaria@inventati.org

 

***

 

 

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sab 30 luglio: autoaccoglienza, finemontaggio e cena “bellavita” (se puoi, porta qualcosa)

31 luglio, 1 e 2 agosto:
mattina: condivisione di saperi e pratiche eretiche (puoi proporre il tuo workshop)
– pranzo –
pomeriggio: tavola rotonda
(31: militarizzazione della cura
1: lotte territoriali antimilitariste
2: guerra interna e repressione)
– cena –
sera: chiacchiere, jam sessions, letture, concerto, … … …

mer 3 agosto: smontaggio, saluti e pranzo accomevà

 

***

 

*PORTATIappresso: tenda e/o sacco a pelo – torcia – borraccia – piatto bicchiere posate – saponi solo naturali biodegradabili – un po’ d’acqua potabile (per stare tranquill_ il primo giorno) – costume – (sarebbe utile) un rotolo di carta igienica – (se vuoi) un pezzo di distro

* AUTOGESTISCITI *
. rispetta te, le altre persone e il luogo in cui ti trovi .
. nessun_ comanda nessun_, nessun_ serve nessun_ .


Campeggio antimilitarista

° * DIBATTITI, PRESENTAZIONI, WORKSHOP, SVAGO E BELLEGGENTI * °
_ a breve programma dettagliato _

.

+INFO: Stretto libertaria * nopassaran.noblogs.org * strettolibertaria@inventati.org

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La guerra è il cuore di un mondo senza cuore

Viviamo una terra bellissima e maledetta.

Se le immagini delle coste siciliane sugli annunci pubblicitari invitano la borghesia di mezzo
mondo a passare le vacanze in quello che appare come una specie di paradiso terrestre,
noi che abitiamo questo territorio abbiamo una percezione molto diversa.
Uno scenario distopico nelle nostre mappe psicogeografiche.

1639 km di costa-vetrina: a caro prezzo si vende ai turisti l’aria di mare e l’idea di un quotidiano fuori dal tempo della frenesia capitalista; lo scenario ideale per passare qualche giorno di ferie, sospesi a rimirare i tramonti e a gustare cibo d’altri tempi… mentre la Monsanto rende ogm anche i pomodori di Pachino, naturalmente!

15 tra basi e installazioni militari Usa a ricordarci che siamo colonia dell’impero occidentale;

2 (quelle ufficiali) basi Nato; e il polo di Sigonella sta per essere ingrandito di centinaia di ettari.

24 carceri a costellare la mappa dell’isola, col più alto tasso di suicidi al loro interno nel 2022.

3 raffinerie (di cui una di proprietà algerina, una russa e un’altra italiana), 137 pozzi collegati a 7 impianti di trattamento di olio e gas.

La cultura del militarismo è gerarchia, sopraffazione, violenza e sfruttamento. Essere antimilitariste è lottare contro ogni forma di dominio e autorità, per la liberazione totale dalle catene dell’oppressione. Tagliare le reti e il filo spinato posti a protezione di basi militari, galere e cpr. Per riprenderci i nostri territori, ostaggio di camionette, pattuglie, eserciti.

Siamo isolane ma non ci sentiamo sole in un’esistenza sempre più militarizzata. Il potere pianifica e mette in pratica la guerra all’umano e alla natura in ogni angolo del mondo e in ogni frammento della vita di ciascuna. Sabotarne gli ingranaggi e seminare pratiche di lotta e autogestione diventano necessità sempre più urgenti.

Per queste ragioni vorremmo incontrarci con chi, come noi, non solidarizza con la miseria degli uomini ma col vigore con cui non la sopportano. Per condividere esperienze e percorsi di lotta, riflessioni e informazioni, conoscenze e pratiche eretiche.

Un accampamento di corpi che stanno in relazione armonica, in maniera libertaria e orizzontale.

 


La guerra è il cuore di un mondo senza cuore


*¡sciopero sociale!*

 

NON POSSIAMO STARE A GUARDARE, TANTO MENO IN SILENZIO!

Per questo singolarità e collettività variegate di messina saranno in piazza il 20 maggio, sciopero generale e sociale CONTRO LA GUERRA in tutta la penisola.

Dal canto nostro, anche se la situazione è solo peggiorata, continuiamo a ritenere valido – e, anzi, piu urgente di prima – quanto scritto nel volantino della prima assemblea pubblica:

 

《 Sono passati due anni dall’inizio dello stato di emergenza per la pandemia, accompagnato da una incessante propaganda che giustificava restrizioni che di sanitario avevano ben poco; neanche il tempo di prendere fiato, che già un nuovo stato di emergenza è messo in atto per la guerra tra Russia e Ucraina. In tempi record tutti i paesi occidentali vi si sono buttati a capofitto, coinvolgendo – di fatto − le popolazioni dei territori in un conflitto allargato che potrebbe diventare nucleare. Milioni sono stati stanziati dall’Italia per incrementare le spese militari e la maggior parte degli Stati europei è già in piena corsa al riarmo.

Gli organi d’informazione di massa ci raccontano la catastrofe umana ed ecologica del conflitto bellico come la dolorosa ma inevitabile risposta a decisioni “folli” prese da regimi dittatoriali o autocratici – gli stessi con cui le democrazie occidentali e la Nato hanno intrattenuto fino a poco prima rapporti d’affari o di supporto militare, come i talebani, Saddam Hussein, Assad… e Putin; mentre con altri della stessa pasta continua il business, come Egitto, Turchia, Israele, Emirati arabi… e la Russia.

Sappiamo bene qual è il “volano dell’economia” italiana, con le sue aziende produttrici d’armi e tecnologie militari esportate in tutto il mondo. Sappiamo bene che durante il confinamento, nei primi mesi dell’esplosione pandemica, neppure per un giorno si è fermata l’industria bellica, la sua produzione di morte per il profitto dei pochi.
Mentre gli ospedali, le scuole, i presidi sociali erano (sono!) al collasso per via dei tagli, piuttosto che invertire la rotta i padroni del vapore hanno continuato (continuano!) a mettere davanti alle esigenze della vita la logica del valore economico – e la militarizzazione dei discorsi e degli spazi pubblici hanno svolto (svolgono!) un ruolo decisivo.

Un generale dell’esercito commissario per l‘emergenza sanitaria, strade pattugliate notte e giorno da ronde poliziesche, dilagare del lessico militare in tutti i media…
ognuno di questi elementi portava in grembo conseguenze catastrofiche. Guerra in Ucraina, “transizione ecologica” a suon di carbone e nucleare, morti durante l’alternanza scuola-lavoro, aumento di benzina e bollette… i primi segnali non si sono fatti attendere.

E, con ogni probabilità, questo è solo l’aperitivo: tifoserie nazionaliste, inno al machismo, giustificazionismo nazifascista, aumento della xenofobia e del razzismo, potenziamento dei confini, incremento della sorveglianza, imposizione di poli tecnologici e militari sui territori, ritorno ai combustibili fossili, avvelenamento degli ecosistemi… tutto questo lo vediamo già accelerare vertiginosamente.

Sta a noi uscire dall’isolamento in cui il regno delle merci e delle macchine ci vogliono imprigionare. Sta a noi disertare la guerra tra gli Stati, sostenere i disertori dell’idea di patria, lottare contro le frontiere che uccidono, batterci per ciò che sentiamo giusto.

Se ci incontreremo nell’urgenza di ribellarci all’apocalisse nucleare che minaccia le nostre teste e i nostri cuori, forse riusciremo a prenderci cura della nostra comune umanità.》

2 aprile 2022


Primo maggio contro il lavoro e la guerra

DOMENICA 1 MAGGIO

h. 12.00 – piazza dell’Angelo, Torre faro

dalle 13.00 – Sea flight, sulla punta della Sicilia

 

>> CIBO & BARETTO benefit
CONTRO LA GALERA <<

 

‘*° Distro libertAria °*’

 

 ^ _MUSICA_ ^
^Karaoke ANTIMILITARISTRA^

 

> porta il tuo strumento <

< …e tutto quello che vorresti trovare >

 

 

 


Aperimerenda benefit

PER TURI VACCARO / CONTRO TUTTE LE GUERRE

 

BENEFIT in solidarietà con Turi Vaccaro, attualmente rinchiuso nel carcere di Sollicciano (FI), per avere, nel corso della sua vita, sempre opposto un rifiuto radicale e attivo della logica di guerra.

Ricordiamo tre delle più significative azioni di disarmo:

– nel 2005, la distruzione con un martello le cabine di pilotaggio di due aerei F16 nella base militare di Woen Sdrecht, in Olanda;
– nel 2014, il danneggiamento, a colpi di pietra, del quadro di comando di un’antenna nella base militare di Niscemi, in Sicilia;
– nel 2015, l’attacco a martellate di un’antenna Muos nella base militare di Niscemi, in Sicilia.

Negli ultimi mesi le sue condizioni di salute sono peggiorate: è ancora più urgente quindi sostenerlo in ogni modo possibile (con un benefit, per il momento…) ma anche sapendo prendere esempio dalle sue pratiche.

Ritroviamoci per una merenda e aperitivo benefit martedì 12 a villa Dante (Messina).
Ci saranno cibo, bevande, musica e distro liberataria.
Porta quello che vorresti trovare.

Complici e solidali con chi si batte contro la guerra e il sistema che la produce.


Assemblea contro la guerra

 

Sono passati due anni dall’inizio dello stato di emergenza per la pandemia, accompagnato da una incessante propaganda che giustificava restrizioni che di sanitario avevano ben poco; neanche il tempo di prendere fiato, che già un nuovo stato di emergenza è messo in atto per la guerra tra Russia e Ucraina. In tempi record tutti i paesi occidentali vi si sono buttati a capofitto, coinvolgendo – di fatto − le popolazioni dei territori in un conflitto allargato che potrebbe diventare nucleare. Milioni sono stati stanziati dall’Italia per incrementare le spese militari e la maggior parte degli Stati europei è già in piena corsa al riarmo.

Gli organi d’informazione di massa ci raccontano la catastrofe umana ed ecologica del conflitto bellico come la dolorosa ma inevitabile risposta a decisioni “folli” prese da regimi dittatoriali o autocratici – gli stessi con cui le democrazie occidentali e la Nato hanno intrattenuto fino a poco prima rapporti d’affari o di supporto militare, come i talebani, Saddam Hussein, Assad… e Putin; mentre con altri della stessa pasta continua il business, come Egitto, Turchia, Israele, Emirati arabi… e la Russia.

Sappiamo bene qual è il “volano dell’economia” italiana, con le sue aziende produttrici d’armi e tecnologie militari esportate in tutto il mondo. Sappiamo bene che durante il confinamento, nei primi mesi dell’esplosione pandemica, neppure per un giorno si è fermata l’industria bellica, la sua produzione di morte per il profitto dei pochi. Mentre gli ospedali, le scuole, i presidi sociali erano (sono!) al collasso per via dei tagli, piuttosto che invertire la rotta i padroni del vapore hanno continuato (continuano!) a mettere davanti alle esigenze della vita la logica del valore economico – e la militarizzazione dei discorsi e degli spazi pubblici hanno svolto (svolgono!) un ruolo decisivo.

Un generale dell’esercito commissario per l‘emergenza sanitaria, strade pattugliate notte e giorno da ronde poliziesche, dilagare del lessico militare in tutti i media… ognuno di questi elementi portava in grembo conseguenze catastrofiche. Guerra in Ucraina, “transizione ecologica” a suon di carbone e nucleare, morti durante l’alternanza scuola-lavoro, aumento di benzina e bollette… i primi segnali non si sono fatti attendere.

E, con ogni probabilità, questo è solo l’aperitivo: tifoserie nazionaliste, inno al machismo, giustificazionismo nazifascista, aumento della xenofobia e del razzismo, potenziamento dei confini, incremento della sorveglianza, imposizione di poli tecnologici e militari sui territori, ritorno ai combustibili fossili, avvelenamento degli ecosistemi… tutto questo lo vediamo già accelerare vertiginosamente.

Sta a noi uscire dall’isolamento in cui il regno delle merci e delle macchine ci vogliono imprigionare. Sta a noi disertare la guerra tra gli Stati, sostenere i disertori dell’idea di patria, lottare contro le frontiere che uccidono, batterci per ciò che sentiamo giusto.

Se ci incontreremo nell’urgenza di ribellarci all’apocalisse nucleare che minaccia le nostre teste e i nostri cuori, forse riusciremo a prenderci cura della nostra comune umanità.

 

 


Salotto errante

…così errante che non gli puoi dire niente…

…ma puoi dire tutto!

Uno spazio aperto per condividere riflessioni e colazioni, per non arrendersi all’isolamento.

Letture ad alta voce, musica, dolci e tisane per resistere al freddo che avanza!

 

》PASSAPAROLA e comincia a frugare nella tua biblioteca!《

 

¡ stai allerta per altre informazioni !

Telegram: Contro il nulla che avanza

 

 

 

Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.

Marguerite Yourcenar, Le memorie di Adriano