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Terra, Mare e Libertà: contro il ponte sullo Stretto di Messina. Corteo noPonte 12 Agosto.

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

file per stampare il pieghevole:

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Resoconto del presidio contro la sorveglianza speciale

RESOCONTO

Il 2 novembre 2022 si è tenuta a Messina l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di Claudio e Dario. Per tutta la mattina davanti al tribunale si è riunito un presidio di solidali, che ha visto una variegata partecipazione di compagne, amici, singoli e collettivi che hanno attraversato le lotte sociali degli ultimi anni e che nell’ambito delle indagini e delle intercettazioni sono finiti anch’essi sotto la lente repressiva dello stato. Durante la mattinata si sono alternati diversi interventi che, oltre a Claudio e Dario, hanno espresso solidarietà anche ai compagni anarchici in carcere, in particolare Alfredo, Anna e Juan. Il giudice, avallando il parere avverso della pm, ha rigettato la richiesta di svolgere l’udienza a porte aperte, adducendo come motivazione ragioni d’ordine pubblico. L’udienza si è aperta con il deposito da parte della procura di una informativa integrativa dell’indagine a carico di Claudio e Dario, che andrebbe ad infittire le accuse a loro carico. Alla richiesta di rinvio ad altra data presentata dall’avvocato difensore, e che avrebbe permesso di visionare il nuovo incartamento, il giudice ha però risposto che il dibattimento si sarebbe dovuto tenere comunque in giornata, concedendo soltanto un rinvio ad horas. Prima della requisitoria della pm, Claudio, presente in aula, ha tentato di leggere una sua dichiarazione, di cui però ha potuto riportare esclusivamente la parte finale, dove esprime solidarietà ai compagni anarchici in carcere. La sentenza sarà notificata entro 90 giorni. Terminata l’udienza Claudio, raggiunti i suoi compagni e le sue compagne in piazza, ha potuto dare lettura integrale della sua dichiarazione.

RIFLESSIONI

Cosa succede quando al tentativo dello Stato di isolare, distorcere, criminalizzare un’etica che sostiene e guida un agire chiaro, gli individui destinatari dell’azione repressiva (e in senso allargato le relazioni che si portano appresso) schivano la paura indotta, portando in luce ciò che nei giorni del quotidiano delle nostre vite costrette rimane al buio dell’alienazione – ma è lì, ancora vivo? Succede quello che abbiamo vissuto ieri, nella piazza di fronte il tribunale di Messina: non una routine, non una presenza al minimo, ma il massimo possibile nel momento della generosità e del sentirsi parte che si sono espressi e hanno parlato al di là della contingenza della richiesta di sorveglianza speciale; sotto accusa non erano solo Dario e Claudio, ma insieme e attraverso loro, come sempre accade (in questo momento lo viviamo con una gravità e un senso di urgenza cui sappiamo di dover rispondere) tutta una storia, lunga, di esperienze di lotta di un territorio. Della ricchezza di quel contesto si è stati partecipi: e nello stringerci intorno ai nostri compagni, nell’esprimere solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, ai detenuti tutti, nel parlare in piazza di 41bis iniziando a riappropriarci delle parole e di una storia taciute, lasciate troppo a lungo nelle mani del potere, abbiamo per qualche ora dato un senso altro a un luogo nemico; ché la solidarietà ha il peso, tutta la materialità della presenza, tanto da accorciare distanze e riavvicinare percorsi che negli anni si sono separati. Era un condensato di umanità in relazione eccentrico, ricco, plurale, a manifestarsi, il senso di un ergersi della fierezza quando sotto attacco è il procedere – con fatica e modi diversi – in direzione ostinata e contraria, col pensiero e nelle azioni. Questa consapevolezza, la sensibilità e il calore umani, la convinzione in se stessi di ciò che si è, si vuole essere, il tentativo di somigliarvi e di costruire una vita che più ci somigli, e che riusciamo a vivere a sprazzi, per brevi momenti anche in un presidio, sono il precipitato di percorsi singolari e comuni che si intrecciano, che suonano di armonie e dissonanze. E che hanno al contempo la voce di sussurro delle parole d’affetto dei propri cari e l’urlo a squarciagola dei compagni nell’ora della lotta.

Qui la dichiarazione di Claudio: dichiarazione-di-claudio-contro-la-sorveglianza-speciale1

La mattinata si è conclusa con la comparsa di uno striscione in solidarietà ad Alfredo, in un affollato viale cittadino:


Volantino contro il carcere

Veniamo tuttx addestratx, con una violenza tanto piu’ feroce quanto piu’ difficile da riconoscere, a
sopravvivere sempre piu’ (de)privatx di legami solidali, isolatx da contesti e relazioni la cui
intensita’ potrebbe far vacillare la dipendenza degli individui dallo stato e dal mercato: vietato
battere sentieri alternativi, vietato cercare – lottando e arraggiandosi – un’altra maniera di vivere.
Veniamo da due anni nei quali e’ stato possibile, per chiunque non sia accecato dalla propaganda
stregonesca dei padroni, vedere di cosa sia capace il Potere pur di rinsaldare le redini del proprio
dominio proprio nel momento in cui il suo impianto vacilla su tutti i fronti rischiando di portare il
pianeta e gli umani alla catastrofe. Le armi di cui dispone si sono affinate sopra e contro i nostri
corpi lungo il corso dei secoli: se oggi ad una rivolta nelle carceri si risponde ripristinando la pena
di morte, come avvenuto nel carcere di Modena e altri istituti detentivi durante il primo lockdown,
quando 15 persone sono state brutalmente massacrate dalla polizia, o chiedendo l’introduzione del
taser come strumento nelle mani dei secondini per impedire sul nascere ogni ribellione, come
avvenuto a Noto qualche settimana fa, ieri si sono messe sul rogo le streghe, si sono poste le basi
della ricchezza occidentale sulle macchie di sangue del colonialismo e dello sterminio, si sono
soppressi i saperi meno funzionali alla logica della valorizzazione capitalistica, per spianare la
strada a un ordine sociale patriarcale e gerarchico: il regno delle merci e dei signori degli eserciti.
Per quanto potenti siano i mezzi di cui dispone, la storia delle persone che cercano con ogni mezzo
necessario di autodeterminare la propria esistenza, e’ ricca di resistenze, rivolte, battaglie di difesa e
di attacco illuminate dall’ardore dei propri cuori – incapaci di adeguarsi alla pressione sociale che
imporrebbe di sopprimerne il battito ogni volta che ascoltarlo significa invece mettere in
discussione la morale dominante che pretende di regolare (servendosi ieri dei preti, oggi degli
psichiatri e dei giudici) i rapporti affettivi, sessuali, proprietari e di cura vigenti tra gli individui. Se
dal profilo tracciato da forze dell’ordine ed “esperti” risulta che io sia “pericolosx socialmente”,
posso vedermi applicata una misura disciplinare come la sorveglianza speciale pur in totale assenza
di prove di reato: il pericolo, il crimine che li contiene tutti, per lo stato e’ cio’ che sono. E questo
vale per le individualita’ anarchiche, cosi’ come per chi ha la sola colpa di non avere documenti, di
aver varcato una frontiera. Galere e cpr sono il volto piu’ vero e piu’ rimosso dell’ordine sociale in
cui viviamo. Chi, come Alfredo, Anna, Juan, ha dedicato la sua vita a mettere negli ingranaggi dell
oppressione quanta piu’ sabbia possibile, paga oggi un prezzo altissimo: 28 anni di condanna e
l’accusa di attentato con finalita’ di terrorismo per un ordigno alla sede della lega (azione che non ha
fatto alcun ferito, nel paese di piazza fontana, portella della ginestra, stazione di bologna), la
richiesta di ergastolo per azioni dello stesso tenore, il 41 bis per chi si e’ rivendicato le pratiche
rivoluzionarie, tra cui la gambizzazione del manager dell’ansaldo nucleare, dimostrano il pugno di
ferro che lo stato e’ disposto ad usare; ma anche, a saperla vedere, la paura che i potenti hanno di un
incontro tra la rabbia che cova nel petto di moltissime persone comuni e la minoranza che agisce
coscientemente mossa da un desiderio di sovvertimento radicale. Il recente processo ai militanti del
SI cobas in seguito alle lotte nel settore della logistica e’ il segno visibile che la posta in palio e’ per
tutte e tutti il restringimento degli spazi di agibilita’ esistenziale.
Il 41 bis e’ un regime detentivo che merita un’attenzione particolare – e alla cui soppressione
generalizzata dovremo orientare molte delle nostre forze. Si tratta di una vera e propria tortura, di
una dichiarazione di guerra rivolta verso il nemico interno. Applicato inizialmente con l’intento
proclamato di stroncare e assestare il colpo di grazia alle organizzazioni mafiose, e’ stato via via
esteso a reati di terrorismo – provando sempre piu’ ad integrare in questa categoria le forme non
spettacolari di conflitto sociale. Noi che abbiamo conosciuto, nei nostri territori, la mafia come
garante della riproduzione di rapporti sociali e codici di produzione di forme di coscienza
totalmente funzionali alla logica del capitale; noi che sappiamo quantx compagnx siano statx
repressx e uccisx per avere occupato le terre dei latifondisti insieme ai contadini, diciamo col cuore
in gola che questa menzogna della lotta alla mafia da parte dello stato non ce la beviamo.
Ci battiamo insieme contro la mafia, contro il carcere e il 41 bis, contro lo stato e tutte le sue
gabbie.
Si accorgeranno, provando a seppellirla in carcere, che la rivolta e’ un seme che non smettera’ mai di
germogliare.


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Sette Modi Per Dire Che Qualcosa Non Va

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