Appello per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra

Appello per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.1

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 82, 5 Hotspot su 63 e 2 CPA su 94. A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi5; l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi6; il Porto di Augusta7; RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala8

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

 

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

 

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella9. Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

 

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

 

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali10, ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide!Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
1 0 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.


Appello per una mobilitazione unitaria def


AGGIORNAMENTO REGOLAMENTO DI POLIZIA URBANA. OSSIA L’ISTITUZIONE DELLE ZONE ROSSE A MESSINA


Con deliberazione n°23 del 21/02/2025, avente come oggetto “Regolamento polizia urbana”, il Comune di Messina abroga il precedente regolamento, datato al 1933. Anche Messina si allinea così al maturato contesto politico, normativo e sociale che rende necessaria l’implementazioni di misure che, a ben guardarci, ricalcano quasi in tutto e per tutto la ratio del ddl sicurezza adesso al vaglio del Senato. 

Si rende noto nel verbale del Consiglio Comunale che tale operazione è seguita anche alle esortazioni della Prefettura di Messina che, con due note indirizzate al Comune (95812 del 18/09/23 e 119806 del 17/11/23), esorta quest’ultimo ad adottare le misure necessarie per permettere al Questore di applicare le misure previste dal DACUR (Divieto di accesso alle aree urbane).  Il DASPO urbano è definito dalla legge come “misura a tutela del decoro di particolari luoghi”: in pratica, un sindaco – con il prefetto – può multare e stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città. È di fatto un divieto di accesso indirizzato ad una singola persona in alcune zone su ordine del Questore. Si parla quindi di “zone rosse”, per indicare luoghi caldi della città dove si vieta di entrare ad alcune persone perché viste come un pericolo per la sicurezza pubblica. 
Si tratta di un istituto nato negli ultimi anni ed introdotto per la prima volta con il decreto legge 14/17, il cosiddetto decreto Minniti. Poi, il decreto legge n° 113/18, denominato “sicurezza e immigrazione”, uno dei cosiddetti “decreti Salvini” è intervenuto con una parziale modifica della disciplina del Daspo Urbano (in particolare art. 21). Sono stati inclusi tra i luoghi ai quali allargare la tutela interdittiva anche i presidi sanitari e le aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli oltre alle zone di particolare interesse turistico. In seguito è intervenuto anche il nuovo decreto sicurezza 2020 (d.l. n. 130/2020, convertito dalla l. n. 173/2020), che ha ulteriormente ampliato l’ambito di applicazione del Daspo urbano, prevedendo che i soggetti che sono stati condannati anche con sentenza non definitiva, negli ultimi tre anni, per reati di vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, non possono stare nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico o pubblici esercizi che si trovino nei luoghi in cui sono avvenuti i fatti per i quali è scattata la condanna penale: ai media è stato proclamato come “Daspo per i condannati”. Onore dell’allora ministro Lamorgese. Ancora, il decreto legge n. 123 del 15 settembre 2023, denominato “Decreto Caivano” e recante “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, introduce  l’applicabilità del daspo urbano a sogetti minorenni che non abbiano meno di quattordici anni. 
Ormai decorsi i quindici giorni dalla pubblicazione nel gazzettino ufficiale il nuovo regolamento per la polizia urbana del Comune di Messina entra in forze. Tratta, nei suoi diversi titoli, di “decoro pubblico e vivibilità urbana”; “sicurezza urbana”; ed infine, di “polizia rurale”. Il nuovo regolamento, resosi “necessario” alla luce delle “evoluzioni normative, amministrative, sociali ed alle nuove esigenza di sicurezza urbana”, ha raccolto il parere positivo delle cariche di comando delle forze armate e dell’ordine locali. 
 
Nei fatti i diversi articoli del provvedimento ricalcano in parte quanto già previsto dal decreto sicurezza proposto dal governo a guida Meloni ed ora al vaglio del Senato. Vengono ricalcate le soggettività criminalizzate e marginalizzate, individuate ancora una volta nelle persone costrette ai margini di questa società profondamente gerarchica ed escludente. Chi fa accattonaggio, chi imbastisce una bancarella per raccattare qualche decina di euri, la “manifesta prostituzione”, chi trafuga la spazzatura, chiunque sia considerabile come capace di “diminuire il decoro e la pulizia” urbana. Il nuovo regolamento si riferisce a spazi pubblici e spazi privati impiegati a pubblico scopo; si esortano bambini e bambine a non “molestare la quiete pubblica, non danneggiare l’arredo urbano e la vegetazione”. Si interdice la diffusione di “materiale pubblicitario” senza previa autorizzazione (ossia essere un’impresa regolarmente operante) e comunicazione delle operazioni di diffusione pubblicitaria alle autorità competenti, ossia la polizia municipale. Viene fatto dunque divieto assoluto di qualunque diffusione di contenuti cartacei che non avvenga nel quadro della pubblicità autorizzata. Per esempio montare un banchetto con del materiale informativo potrebbe divenire una fattispecie punita direttamente, oltre da quanto già previsto dai vari codici,dal regolamento in questione, concendendo un margine sempre maggiore di azione a varie forze di polizia. In tal caso, sembrerebbe più precisamente i corpi di polizia urbana. Si ricalcano le fattispecie previste, ancora, dal ddl sicurezza, anche per quanto rigurda “campeggio ed accampamento”, non si può dormire in strutture diverse da quelle tradizionalmente considerate ‘casa’ su tutto il suolo comunale; ossia, non hai una fissa dimora? Vai via da qui subito…oppure? diventa un corpo-profitto per qualche cooperativa della cura della persona! Ugualmente per quella che viene definita “prostituzione manifesta”. “Vietato lo stazionamento in modo scomposto e/o contrario al decoro (anche dormendo o consumando alimenti o bevande)”, punite anche “forme di accattonaggio molesto ed insistente”, altresì fatto divieto di “richiamare l’attenzione e la compassione”. 
La lotta agli ultimi, la caccia alle streghe, la soppressione del disagio, l’oscuramento del margine. Non sono più gradite stonature all’armonia grigia di cemento e repressione. Contenitori per persone-capitale, per proggetti-capitale, per sopravivvenza-capitale; le città espellono tutti i corpi considerati estranei all’armonia del guadagno ad ogni costo. Tutti i “perdi giorno” non potranno più imbruttire l’idilliaca esistenza di città sempre più plastiche con la loro squallida dissonanza. La città alza le frontiere, quello che è ancora un disegno di legge trova diffuse applicazioni locali per mano di amministrazioni conniventi e prefetti perfetti. 
Ma se fino a qui sembrerebbe trattarsi solo (sigh!) di operazioni di controllo, sicurezza e decoro urbano; se fino a qui sembra il progressivo adattamento al contesto normativo nazionale e, dunque poi, quello comunitario; se fino qui sembra il reiterarsi di qualcosa di già contenuto e manifestato altrove, tanto negli intenti normativi del legislatore  quanto nelle dinamiche della società di capitale, il quadro si completa con l’articolo 20 della delibera del consiglio comunale messinese; infatti, elemento fondamentale di tale deliberazione, è l’individuare in maniera chiara delle zone particolarmente oggetto di controllo e repressione. Nominare delle aree della città dove l’applicazione del provvedimento del DACUR sia perfettamente leggitimato dall’accorata decisione della società tutta, per intercessione dei suoi onorevoli rappresentanti, ad operare una bonifica da tutti quei corpi considerati di troppo. All’articolo in questione vengono citate tutta una serie di aree che fanno rimando a quanto già contenuto nei differenti “decreti sicurezza” in successione come i governi che li hanno emanati; “infrastrutture fisse e mobili del pubblico trasporto”; “presidi sanitari pubblici e privati”; “scuole di ogni genere e grado sia pubbliche che private”; “sedi universitarie”; “pinacoteche”; “musei”; “luoghi turistici”; “siti archeologici”; “chiese e luoghi di culto”; “monumenti”; “edifici tutelati”; “aree di fiere e mercati”; “parcheggi inter-modali”. Inoltre, si individuano delle aree della città dove la sanzione prevista per le fattispecie elencate nel corso del regolamento concerne direttamente quella del c.d. daspo urbano. Ossia l’istituzione di vere e proprie “zone rosse” nella città di Messina. Più precisamente “l’area del centro urbano delimitata da: Viale Boccetta; Via XXIV Maggio; Via Tommaso Cannizzaro; Piazza Cairoli; Viale San Martino; Via Vittorio Emanuele II; l’area del Sacrario di Cristo Re e il belvedere; ed infine, l’area di Piazza Lo Sardo (Piazza del Popolo) e zone limitrofe. 


Praticamente l’istituzione di tutta una mega area (il centro cittadino) dove provvedimenti del questore faranno di fatto da barriera per la libera usufruizione e passaggio di alcune individualità, segnalate come elementi di stono del decoro urbano. Sembrano affermare chiaramente che la musica è cambiata, torna la società degli sceriffi, quella che abbiamo già assaporato con i provvedimenti carcerieri della dichiarata pandemia dal 2019. Una società sempre più militarizzata, che stringe la propria morsa sui centri cittadini, acquisendo sempre più spazio di controllo maniacale sulla vita delle persone. Si tratta di applicazioni locali di quanto è in corso di approvazione su piano centrale e nazionale. Esercizi di controllo e repressione, si. Ma è anche vero che la collocazione di queste aree sembra configurare una zona cuscinetto che, per prima cosa diventa frontiera tra l’aerea nord e quella sud della città, due zone che saranno particolarmente interessate dai cantieri del progetto ponte; ma diventa anche frontiera tra l’abitato cittadino e l’affaccio al mare, più precisamente la zona della stazione e, dunque, la zona falcata, già zona militare e di mille speculazioni. Inoltre, in armonia con le leggi e i regolamenti cambia la morfologia della città, si costruiscono nuove frontiere che abbracciano o escludono aree diverse della città: il rifacimento della linea del tram, ad esempio, nell’area della stazione centrale subirà la modifica di percorso che vedrà sciogliersi questo abbraccio della piazza anti stante la stazione, che verrà invece collocata all’aldilà del passaggio della futura rinnovata linea tram; la disseminazione prepotente di telecamere ed infrastrutture di controllo su tutto il suolo cittadino; la costituzione di aree intermodali, per quanto non acora propriamente in funzione, ma comunque esistenti; la costituzione di “zone rosse” interdette a gente non gradita; la progressiva e promimentente militarizzazione delle strade della città. Tutti cambiamenti che oltre a svelare gli interessi predatori e, dunque la necessità di essere difesi dalle possibile deiezioni delle depredate, mettono sempre più in luce la quasi totale aderenza ad un clima di guerra effettivo. L’utilizzo di tecniche e tecnologie adoperate nel contesto di conflitti considerati troppo lontani permea completamente nelle città e nei luoghi che abitiamo.

tracciato della linea del tram “adesso” e “dopo” i lavori di rifacimento nell’area antistante la stazione centrale


Così che in città si moltiplicheranno le scene che abbiamo avuto modo di vedere lo scorso sabato 1 Marzo, in particolare quanto accaduto in serata nei pressi della Galleria Vittorio Emanuele. Quando squadroni di forze dell’ordine hanno fatto irruzione tra la movida messinese per mettere in scena lo squallido teatrino del controllo territoriale. Un’azione poliziesca che si cuce perfettamente a questo clima di caccia alle indesiderate, agli indesiderati. 
Messina, come tanti altri luoghi, è teatro di questa guerra totale. Cosa possiamo fare noi? Come possiamo interfacciarci con questo conflitto completamente asimmetrico nel quale ci troviamo costrette? Seppur non esistono ricette pronte è vero che esistono diversi esempi di resistenze ed opposizioni quotidiane, di ogni momento. Esistono esistenze che mettono in ogni istante in questione lo status quo nelle quali sono recluse. Non è certamente più tempo di rimandi o di raggelanti cautele, la guerra è qui, ce l’abbiamo in casa. 

INCONTRIAMOCI, INTESSIAMO I NOSTRI RESPIRI, AFFINIAMO IL NOSTRO ISTINTO, DIFENDIAMOCI. 


PER LA LETTURA INTEGRALE DELLA DELIBERAN°52


La città degli specchi.

 

C’è dell’acqua, è straripata.

Dei corsi connettono le montagne al mare in questa lingua di terra. Una lingua sanguinante a causa delle tante ferite nel trattenersi.

Ci sono delle parole, sono straripate.

Poi ci sono delle griglie, incroci, alcuni diavoli si incontrano solo li, agli incroci. Strade grosse, strade interdette, strade affluenti.


Ci sono fili che si intessono nei decenni, nei secoli. Alcuni sotterrati nei loculi di quello che è stato, nella sua putrefazione a venire. La certezza, la percezione. Neuroni specchio, acceccanti riflessi di ciò che dimostra essere vivido in noi restituitoci da quanto ci sembra essere, invece, fuori. Meccanismi di auto-difesa fanno confonderci, diluendosi così nella netta separazione da ciò che solo guardiamo senza manco lontanamente avvicinarci a vederlo. E così è un attimo che, con la presunzione di stare dal lato giusto della storia, si prendono le parti degli intessitori di gabbie. Hanno spaccato il suolo relazionale che circonda il nostro esistere, ne hanno fatto carne da macello e servito sotto forma di squisite polpettine al peggiore degli offerenti. L’ennesimo muro costruito con degli scudi, dividendo non solo spazi urbani ma anche mentali, dello spirito. Chi presuppone essere santone vuole dirigire il rito, lo scettro è la penna; o il ditino che batte sulla tastiera; o la lingua che sminuzza libidini in qualche giudizio. Nel frattempo, sparlottano consigli e personalità della mondana opposizione a ribasso. Quanto aspettavano famelici la portata di questa scorpacciata, “gli assassini sono tutti ai loro posti”, condividono la tavolata.

Coloro che tutto e tutte riempono di “per” scorrazzano, maledetti, questi non hanno che rantolare il grido del loro pseudo allineamento, qualcosa che ormai fatto solo di spasmi tenta ancora lo sguisciare nella psiche di quattro solottieri locali. Qualunque loro sia la posizione, le labbra sono state (s)vendute. Cuscinetti si sentono, ma la loro convivenza con la convenienza li ha smussati a freno motore ormai corroso di un motore altrettanto corroso, frizione bruciata, fetide intenzioni tutte volte alla retromarcia. La sbandata è tutt’altro che garantita, quanto piuttosto una piattaforma ben programmata per seguire le linee di sta carreggiata con soste panorama annesse. Le iniezioni letali di cemento sono già quelle che, intorpiditi i neuroni, annullano ogni tensione alla tensione; annullano ogni propensione all’irreversibile domanda sul tutto. Carotaggi di persone hanno permesso una misurazione quasi niente sbagliata di macro-aree sentimentali, catalogando(ci) in mega gruppi nei quali contenitori ci si mette troppo spesso volontariamente. Eccoli qui i cantieri del ponte tanto attesi, le reti arancioni, l’ennesima dissociazione di un mondo sempre più distante. Unapropensione all’arroganza del pastore d’anime ed alla ricerca di un argine dal quale mai fuoriuscire. Sanno bene verso dove far sputare le loro linguacce e quale bestia sbranare per ridurla in strazio con la loro danza sterilizzatrice di vita.

Quanti specchi per allodole sparsi nella loro “presenza sul territorio”, nel loro marketing della lotta (CHE VOMITO!); quanta melassa per piante mai in infiorescenza, sbocciare inesorabile di una baraonda priva di rumore. Pilastri monolitici ed imponenti sono le loro leggi, tutte volte alla rassegnazione, tutte volte al numero, alla statistica.

NON SI RESPIRA E QUANDO SI CEDE IN SONNI DELLA MENTE IL SUSSULTO CARDIACO DELL’APNEA TARDA AD ARRIVARE..

Al motto di “ascolto tutti” e “mi voglio vendere a tutti” si perdono nel niente; una montagna di scartoffie da legali stende il loro tappeto rosso, ormai ridotto a straccio dallo sgommare dei loro tacchi impomatati. Tappeti sui quali da sempre si mette in scena la tragi-commedia del “non era il momento”, “il bello o il brutto deve ancora arrivare” e tutta la loro vasta gamma di secondi fini. Hanno badato bene a transennare questi steli di notorietà a suon di delegati e delegazioni, a suon di “se eravamo solo in tre avevamo già risolto tutto”, per ben prendere distanza da mani ed occhi di tutte quelle bestioline che tanto necessitano nello sciorinare le loro belle parole. Quelle stesse bestie, se gli saltassero addosso, le scaccerebbero con fare inorridito! “VIOLENTI”, “NON IN MIO NOME”. Ecco i dispositivi con i quali hanno tacciato chi si scaglia contro ogni fardello che pende, come una scure. Ci dicono che chi non indossa un sorriso compiacente e maneggia una scintillante penna che spara firme e ricorsi è pregata di starsene a casa o, meglio, IN UNA CELLA!

“VE LO SIETE CERCATI”, lasciano schioccare insieme alle manganellate. 

Svolazzano in circolo sulla carcassa del loro stesso delitto. Attendono l’allargamento delle maglie ad opera dei loro vili servi “locali”, per poi potersi inflitrare come parassiti che scavano tunnel sotterranei. Li si può osservare propugnare azioni burocratiche mentre guardano con ribrezzo chiunque non si lasci infatuare dal loro cancerogeno alitare. Guai a mettere a repentaglio le infrastrutture attraverso cui il loro stesso (in)successo si muove, impulsando l’umanoide stato attraverso plastiche pose di opposizione, voli charter per Acquisgrana e accorate canzoncine natalizie davanti ai palazzi ai quali loro stessi ambirebbero nella loro cieca ego-masturbazione. Ma mai minacerebbero l’abolizione del tutto, mai la invocherebbero credendoci per davvero. Alimentatori di un continuo dormire dello spirito, replicano l’immagine di una rivoluzione possibile solo attraverso il frenetico affaccendarsi tra uffici e marche da bollo.

“Un carnevale per smascherarli”, i sacerdoti del possibile del non possibile si sono mostrati, strillano che il tabù, oggetto del loro rito, è stato sconsacrato. Dei selvaggi lo hanno gettato nel fango.  La vita in formalina, tutto posticipato: “non è il momento”; “è un percorso” etc. Tutto viene modulato in base a qualcosa che non è adesso,ora non esiste. Oggi non vi è niente, ma vi è contemporaneamente tutto, tutto ciò che serve alla posticipazione di vita. Insomma, una non-vita a rilascio prolungato, un continuo sacrificio dell’estasi nel presente in nome di non meglio precisati benefici futuri.

LA SOSPENSIONE È SOLO QUELLA DEL TEMPO DEL RESPIRO. OSSIA UN INCUBO.

Tutto verrà , ma non adesso, strillano certe esistenze. Un rimando diventa così già predisposizione per il prossimo ed, allo stesso momento, frutto del precedente; immanente al brutto, al nulla. Nel loop perenne dello stesso sentire, del perenne tutto come prima, si traformano nell’elogio del FINITO! Si mettono in scena sempre le stesse dinamiche senza margine di modifica, si crea un’etica in base alla quale certi pennivendoli filtrano quanto possibile, auspicabile, e cosa, invece, impossibile, da evitare come la peste. E su questo ritmo, su tale brutto battito, le cessioni di porzioni, via via sempre maggiori, dei ciò che si è. Nella postura dell’evitare di “prestare il fianco” si indossano scarponi di cemento che costringono all’asfissia degli abbissi.

Dimenticando, dimenticando, dimenticando, dimenticando, dimenticando.

Alcuni imprevisti atterriscono lo schiacciamento al dovere, lo mettono fondamentalmente in dubbio, scuotendone le radici nel più profondo; spesse volte ci si rende conto di questo quando si ha fame d’ossigeno.

MA NON RIMAS(T)E SOLE!

Certe volte capita che si percepisca il bisogno di lasciarsi stringere dal chiudersi di una serranda. Delle volte capita che ci ritroviamo intorpidite in posizione fetale ad osservare il nulla, il vuoto, un silenzio. Ci si percepisce sole, rintrizzite nelle nostre sofferenze, il divario si rende percettibilmente incolmabile. Certe volte, delle volte, invece…invece…invece si apre una porta, forse più di una, nuove complicità accudiscono così ciò che sembrava il divenire di un atomo isolato. Lo scindono dalla solitudine raggelante e rendendo tutto possibile, sia in capo all’uno che al molteplice, paventano nuove possibilità. La brezza del cambio stagione così riempe i polmoni, i fiori sbocciano ed il polline, ormai, è stato tutto cosparso per aria e viaggia e viaggia e viaggia. Quell’aria stantia, travolta dalla corrente, adesso diventa flusso in piena, fischio assordante, molteplicità di persone ora un pò meno sole. Mentre alcuni consegnavano chi reputavano feccia alla stretta securitaria e moralista, alla possibilità repressiva; altre persone, invece, sbigottivano davanti allo smascheramento di tutte queste trappole e, complici, incominciavano ad incrociare i propri respiri. La frattura è molteplice, non può certo essere univoca come provano a convincere tutte le certe penne taglienti, questa si è invece espansa e sta attraversando diversi cuori che, ancora, si arrogano il bello di battere in petto. Tantissime persone hanno visto cosa si cela dietro quei bei sorrisi che spesso si incrociano per strada oppure a certe liturgie; tantissime persone si stanno mettendo in dubbio, stanno interrogandosi su quanto valga veramente la pena di consegnarsi a tale bruttura. Adesso le cose si fanno sempre più evidenti, il calice non è più nel sacrario, ha rovesciato il sangue sulla tovaglia e, mentre c’è chi pensa a tamponare ed assorbire la macchia, altre tornano a riempire quel bicchiere. Ilpalcoscenico è stato livellato, adesso stiamo tutte sullo stesso piano della scena, IL RE È NUDO!!! SIAMO NUDE…


Che succede? Ho le farfalle nello stomaco, un subbuglio di emozioni. Sta capitando che il corpo ceda alla focosità dei pensieri, sublimandosi in una specie di stato pre-allucinatorio. Crisi di panico? Che succede? Ho il respiro che sibbilla… si affanna, si fa pesante. Ho la mente che corre da tutte le parti, non riesco a non muovermi in questa stasi dello stare attonito. Che succede? Ora è rimasto un pò meno sole…


Una banda di psico-maghe ha fatto vedere che sarti incravattati cucivano un vestito su misura che nessuna avrebbe potuto vedere e brindavano e brindavano. Quando il re si mostrò al popolo per farsi fregio della sua nuova veste nessuno riusciva a vederla, ma era costata tanto sangue. Ormai le case erano state svuotate, la gente cacciata, gli animali non piu benvenuti e la natura penetrata con tutta la violenza che questo mondo ci ha saputo dimostrare nella sua lunga storia intrisa di stupro. Erano incravattati, occhiali da sole con lenti molto scure e il savoir-faire di chi ne ha collezionati tanti di inganni riusciti. Le tasche traboccavano il lusso sanguigno che avevano estorto a tutte le esistenze durante il loro passaggio. E la gente? La gente, la gente, la gente… La gente si è incontrata e questo è inesorabile, come lo è anche l’inganno per certi versi. Ma quanti spifferi di aria fresca sono giunti da angoli forse anche impensabili? L’IMPREVISTO. Qualcosa è cambiato nella storia che raccontavano quelle viandanti del primo rigo qui a questo paragrafo; si sono svelate prepotenti delle variabili, infinite come sempre. Delle tribù hanno ballato grazie anche a certi suoni magici. Quali danze? TANTISSIME. C’erano due collane scintillanti che recitavano “NOPONTE”, e si!! Il suolo ha avuto un ottima occasione per tremare!! E poi l’entusiasmo di essersi scoperte da sempre vicini, a prescindere da tutti sti macete squarcia-relazioni. Hanno danzato respiri, giravolte, incroci e piroette. Quanti occhi hanno voluto riconoscersi?! Quanti hanno voluto conscersi?!

E poi in certi momenti si può sbirciare tutto il contrario della solitudine; il respiro è un boato!

La cronaca cronicizza malessere e lo incanta in degli istanti, da li il teatrino dell’orrore. Ma quanto nell’adesso invece non si è mai arrestato nessun continuo perenne? Hanno bloccato il tempo del respiro al loro croce via. Lo hanno bloccato con l’aiuto di tutti i ‘blabla’ della situazione; ma quanto altro ancora invece esiste? Mesi in cui il rumore dei passi all’entrata della caverna scaturivano più curiosità che diffidenza. Una propensione ad uscire dal covo delle nostre routine. Vediamoci e non per siglare chissà quale compromesso. Vediamoci perchè lo abbiamo fatto, alcune persone hanno smesso per degli istanti di guardare ed hanno incominciato a vedere, trovandosi cosi nelle orme di certe affinità. Vediamoci perchè, ancora, “gli assassini sono tutti ai loro posti” e continuano la loro mortifera presenza. Vediamoci ancora perchè questi stanno intessendo la criminalizzazione della vita, lo stanno facendo sulle nostre esistenze, chiudendo piazze e vie a persone considerate indesiderabili. Lo hanno dimostrato, mirino e grilletto funzionano. Sanno a chi rivolgere le loro additate varie. Le zone sono già rosse perchè le hanno intrise del sangue delle loro sofferenze imposte, proprio il sangue di quelle persone, fosse anche solo metaforico, non è più benvenuto. “Basta; adesso solo prosciugare!! non viè più nulla da elargire a sti quattro straccioni!!” E già subito l’ossessione, più occhi, più controlli, isolare, impedire, reprimere di più!!!!

CHI È COMPLICE DI CHI?!

Lo sceneggiato continua e assume sempre più forme, in linea con il contenitore che ne permette l’esistenza assume caratteristiche muta-forme; cambia, distrugge il vecchio in un anelare continuo di nuovo, costruito sulla totale negazione di tutto, continuando ad essere inafferrabile, irraggiungibile. Una vita ridotta così a ruoli, specifici ed incistati, nella loro azione asfissiante. La corsa per raggiungersi la punta del naso.. chiaro che chi ha depositato la fanciullezza tenterà di infantilizzare chi concepisce inferiore e questo è stato; un tripudio di gerarchizzazione e ammiccamento con tenebrose piattaforme. Quanta compiacenza da telecamera; mamma, papà, zii e tutte quelle catene familiari. Ma veramente l’unico suono storno che sapete emettere è un patriarcale rimprovero?! Adoratori dello stesso processo che strozza l’esistente, lo affoga, lo stupra. Adoratori dello ‘status quo’, poiché è proprio da questa posizione che mai si contratteranno tutti i privilegi che caratterizzano moltissime delle nostre quotidianità, moltissimi dei nostri compromessi con i vari guinzagli a cui questa vita ci sottopone. Adoratori della posizione che credete di esservi guadagnati e dalla quale osservate tutto con estremo ribrezzo o voltando le spalle quando necessario. Formalina dell’esistere ci si inviluppa in scimmiottanti commenti, giungendo fino al cordiale compromesso da ciarla televisiva. Chiaro, anche queste parole sono molto confinanti in realtà, e mai ridurrei le moltiplici sfumature a certe brutture che si mostrano prepotenti tra i raggi.


Riusciamo a prenderci un momento per distruggere tutte queste armature ignobili che ci appesantiscono il passo?


“LA PIOGGIA DI SOLDI”

Sembra una parola d’ordine, la parola che si sussura all’orecchio per scaturire emozioni strabilianti. La pioggia di soldi. La pioggia; la pioggia, sembra appropriato questa metafora in un luogo della terra dove la pioggia porta con se diverse verità. Qui, piove e frana. Sembra che di volta in volta il trucco appostosi sulle loro belle espressioni si grattugi ad ogni cedere di ogni pezzo della terra che vorrebbero tenere aggrappata, particolarmente ai loro profitti. Un ponte; “sembra un checkpoint, uno di quei luoghi dove ci sono i militari a chiedere documenti e quant’altro”… Ecco la “guerra” tra progresso e natura, ecco la separazioni tra un “noi” (umano) e tutto il resto (inumano). Ma non è un richiamo ancestrale, non è la proposta di una cosmo-visione alternativa all’antropocentrismo. È proprio una condizione di fatto che quando la collina crolla e le strade chiudono, si mette in campo tutta una narrazione da trincea. Blocchi di cemento chiudono il passaggio di un ponte, “non ci sono vie di fuga”, “servono interventi immediati” etc. AIUTOO!!! La raccontano come un’invasione, quella del fango, non come l’erosione perpetuata da decenni di cemento; la raccontano come la colpa di qualche piromane, non come quella di un sistema che sistematicamente carbonizza vita; la raccontano come abuso del singolo, delle case costruite a ridosso del letto del torrente, non come il dolo di una tecnica misantropa ed assassina. Ancora raccontano che l’opera ingegneristica è imbiasimabile, poiché è con la scienza che bisognerebbe vedersela (“chi sarò mai io?!”), e che bisogna solo capire come far incastrare al meglio questo pezzo di puzzle…peccato che si parla di un ponte a campata unica di circa 3km, di rotaie, di gallerie, di tiranti, aree logistiche, vite invase, vite espropriate… ancora provano a raccontarsi e raccontarci la barzelletta di poter “garantire che questa legge di Stato (il ponte sullo Stretto di Messina) non impatti troppo sulla vita dei cittadini”. E il modo quale sarebbe? Quello di garantirci un’ulteriorità di cemento? Le opere “complementari” le chiamano, non compensative, perché (anche se fosse che con il cemento si possa compensare altro cemento) loro “non hanno da compensare proprio nulla”. Come “tutelare” dalla cantierizzazione totale? Prevedere ulteriori cantieri! Ma si, sarà anche vero che non ci sveglieremo dall’oggi al domani con lo Stretto completamente cantierizzato, ma è anche vero che forse non bisognerebbe troppo prendere sotto gamba quest’affermazione. Che le rive dello Stretto non saranno in meno di 24h invase da reti arancioni non avevamo dubbi, come non vi sono dubbi che sono decenni che fate profitto anche su queste spalle. Inoltre, sembra opportuno riflettere su questa gradualità di infiltrazione, goccia dopo goccia. Sembra, dall’altro lato, anche un monito a chi sta qui a rimandare e rimandare, poiché fattispecie a parte, è vero che se si sta rimandando un’eventuale resistenza a quando il symbolum si manifesterà (come conferma il tacito annuire di un certo ‘Ponzio Pelato’ :] ) ci stiamo predisponendo al possibile, tristissimo, sommozzante, “ormai è troppo tardi”.

Non che sia mai veramente troppo tardi, non che esiste un momento in cui veramente ci si possa considerare pacificati con l’esistente; ma ci si può immaginare come, di fronte a fortini ben militarizzati, gli animi di certe persone non saranno così ringalluzziti come starnazzano al giorno d’oggi.

…Ma questo resta solo un punto di vista…

LA FAME REPRESSIVA, L’AUTO-CRITICA DEGLI ASSENTI E MANI CHE PUZZANO DI LAVATO

Uno spicciolo sottolineare quello dei conniventi, in cerca di una perenne mediazione, pretendono dare interpretazione di quanto non hanno manco lontanamente annusato. Pretendono di conoscere quanto accaduto seppur erano altrove, chissà dove, sin dal momento zero. Eppure, sin dalle prime notizie, la necessità di sottolineare la loro assenza era predominante. Cosa è successo dopo? In che momento hanno assunto la visuale di chi c’era? Ma poi sembra quanto meno contraddittorio presuppore una criminalizzazione a monte di quanto avviene per le strade, come fanno questi capi in saldo a non rendersi conto che sono parte integrante del processo di criminalizzazione, che si rende evidente solo a posteriori?Cosi mentre si sciacquavano il trucco con bieco garantismo (“lo si può fare nel limite del consentito”) non si rendevano manco conto di aver partecipato all’orrendo spettacolo delle apparenze. Sarebbe stato bello vedervi goffi, ma eravate solo confusi, inneggiando alla libera interpretazione di quanto dipingevate oggettivo (“le immagini sono oggettive, poi ognuno le interpreta come vuole”). E nel frattempo, gli stessi, evocavano l’azione giusta ed opportuna degli organi di controllo e sicurezza (si ricorda Vendola e le sue dichiarazioni in relazione al “lavoro buono” dei servizi segreti nel contesto valsusino). Che non basti questa similitudine per dare spazio a banali elucubrazioni su quanto la possibilità di interfacciarsi ad una lotta sia direttamente proporzionale alla vicinanza di nascita al luogo ove quella lotta accade. Cioè mentre gridate PACE, fuggendo dal conflitto, in un mondo sfasciato dalle GUERRE, avete la sfacciataggine di invitare “i violenti del nord” a non venire a strumentalizzare la protesta, che sembra appartenergli come un animale da compagnia. Sostanzialmente la prossima volta che bisbiglierete “free Gaza” immaginatevi qualcuno che possa dirvi “zitto, sei di Messina!”…

Insomma, ogni modo è buono per pensare altrove, agire altrove, respingere altrove e mai, ma dico mai, ascoltare veramente quanto accade attorno a loro!

DEUS EX MACHINA?! NARRATORE ONNISCENTE?! IGNAVO!!

Basterebbe ad un certo punto arrivati di questa non-storiella riportare quasi letteralmente quanto udito nel corso dei giorni. La non necessità di affermare idee concrete e convinte attraverso quanto viene definito con il termine “violenza”. Ma quanti interrogativi a fronte di questa bella lezioncina dalla “torre d’avorio”? Forse si potrebbe fare un salto a piè pari chiedendosi cosa sia violenza? E da qui perdersi in un’infinità irriducibile a nessuna delegazione di senso. Ma cos’è violenza? Forse si potrebbe riflettere sulle posizioni di chi la fa e di chi la subisce? Ma quanto questo sarebbe esaustivo nel tratteggiare la molteplicità di quanto “attivo” e “passivo” possano significare e quali posizioni determinano in seno alla società vissuta? La sessualizzazione del tutto, laddove non ha attecchito in termine di possesso fisico e diretto, si è trasformata in pornografia, resa scientifica dalla presenza della voce esperta. Il narratore, il distaccato, colui che non ha alcuna “posizione ideologica”. Un’orgia di squallore in presa diretta praticamente. Il paterno invito di “avere fiducia in se stessi” e di non dover dunque ricorrere alla violenza suona male a fronte di 58 persone in stato di detenzione decedute dall’inizio del 2025 (di cui 15 suicide); suona ridicolo davanti al boato di ogni bomba che viene sganciata ad ogni latitudine del mondo, a fronte dei quasi 50.000 morti di Gaza a gennaio; suona stridente vedendo il sangue che sgocciola dai fili spinati delle nostre frontiere, alle morti in mare ed alle vite che fuggono dal latrare dei cani e dei loro padroni; suona cupo all’immagine del G8 di Genova, della scuola Diaz, di Bolzaneto; suona ridicolo pensando ad Aldrovandi, Cucchi, Giuliani e una lista tendenzialmente infinita di barbarie a mano armata; suona quantomeno ridicolo dopo tutte le carcerazioni che la gente ha conosciuto durante i ‘lockdown’ della dichiarata pandemia.

…..

da:  Akkarod Berht



 

“Anche se avete chiuso

Le vostre porte sul nostro muso

La notte che le pantere

Ci mordevano il sedere

Lasciandoci in buonafede

Massacrare sui marciapiede

Anche se ora ve ne fregate

Voi quella notte, voi c’eravate”

De Andrè-“Canzone del maggio”

 


CENTO GIORNI DELLA “Comissione 2024-2029”

“Prosperità-sicurezza-democrazia” è il mantra che guida un’Europa che si appresta a grandi rinnovamenti davanti ad un contesto globale profondamente mutato. Chiaramente non parliamo di eventi che avvengono all’improvviso; l’interesse per i nuovi mercati, come quello digitale o, più in generale, dell’intelligenza artificiale; un clima sempre più diffuso di guerra e di conflitto imminente; l’ossessione per lo stabilimento di una politica comune sulla migrazione etc. sono, tra gli altri, elementi che permeano la politica europea sin da sempre, considerandoli tutti declinazioni di ciò che più comunemente possiamo chiamare “mercato”. 
Proprio in occasione dei primi cento giorni della “Comissione 2024-2029” von der Layen si appresta ad un discorso ove, oltre confermare il già evidente, ossia un diffuso clima di guerra che permea sin dentro i confini già porosi del continente europeo, anticipa alcuni elementi della nuova bozza sui rimpatri che domani (11/03/25) verrà resa pubblica.
Ancora una volta la saldatura tra mondi apparentemente scollegati tra loro; migrazione, guerra, detenzione. La forza del mercato europeo, dice von der Layen, dipende dalla sicurezza, tanto dei confini quanto dei suoi due corrispettivi lati, il dentro ed il fuori. Infatti, “prosperità, sicurezza e democrazia” iniziano a casa”. E dunque, 800 miliardi al compartimento difesa, “REARM Europa”. Un’unione europea della difesa. E lo si fa coinvolgendo quanti più investitori privati possibili. La saldatura aggiunge ai suoi elementi il settore industriale, che sfrega le mani all’idea di costruire nuove carceri, nuovi centri di trattenimento per migranti, nuove armi… Così mentre si spiana sempre più la strada all’industria detentiva e della guerra più in generale, si prova ad armonizzare tra paesi membri (in termini anche di prepotenza macista) un sistema di gestione delle “rinnovate sfide” che il mondo nuovo pone a questo mostro geo-politico (*con ‘mostro’ si intende un’essere ibrido, costituito di diverse parti e particolarità). Infatti; novità? L’inaugurazione di un “Colleggio di Sicurezza” che avrà il compito di ricevere continui aggiornamenti in materia di sicurezza. “Dalla sicurezza esterna ed interna all’energia, difesa e ricerca. Dal cyber, al commercio, alle ingerenze esterne”.  
Ma il punto focale è “una proposta legale ambiziosa sui rimpatri”. Non vengono dati troppi dettagli, vengono annunciate regole condivise in tema di rimpatri ed un sistema condiviso che semplifichi l’espulsione di persone che permangono irregolarmente nel territorio europeo. Ma se l’attività di deportazione non è certo nuova alla civilissima Europa, che traghettava schiave e schiavi in giro per il mondo come sacchi di farina, si svela l’arcano; anni ed anni di sperimentazione ed implementazione di tecnologie del controllo alle frontiere permetteranno infatti di imporre divieti di ingresso per circa dieci anni per persone “irregolari” che si opporrano al rimpatrio. Ossia, l’applicazione coatta, coercitiva, determinerà per il soggetto cui viene imposta la misura del rimpatrio l’impossibilità di ingresso sul suolo europeo. Criminalizzando e sottoponendo ad illegalità forzata tutte quelle persone che, rimpatriate a causa del considerare sicuri i paesi di provenienza o inezie le individuali volontà/necessità di spostamento, si troverebbero costrette a ritentare la fuga. 
Lo sviluppo preponderante del mercato del controllo e della sorveglianza rendono necessarie in capo all’Unione misure per poter normare tale mercato, saldando questa necessità, dunque, a quella di un sempre maggiore controllo, interno ed esterno, in un clima di guerra diffusa. Mentre le frontiere si stringono, i controlli si inaspriscono, le pene aumentano per chi attraversa le frontiere “illegalmente”, si predispone il compartimento detentivo per quelle, invece, in attesa di essere rimpatriate. Tecniche di contenimento e di localizzazione forzata apprese in contesti bellici che vengono, adesso, applicate nei confini così detti interni, a testimonianza, ancora una volta, di come quella guerra che ci viene narrata a volte “lontana”, a volte “alle porte”, sia in realtà già, seppur con forme ed applicazioni peculiari e contestuali, presente sotto casa. Una delle tante conferme che il mondo auto-percepitosi civile è piombato in un conflitto totale ed evidente; qualcunx potrà dire che non è mai cessato di esistere un clima di guerra totale, poichè questo è parte relativa e genetica del sistema di capitale, ma non si potrà obiettare più di tanto se si afferma che è quanto meno svanita l’opacità con la quale il sistema-mondo poneva tutte le nostre quotidianità in guerra. E si badi bene a non confondere conflitto con guerra. 
Tecniche e tecnologie di controllo galoppano nel loro sviluppo ed implementazione al pari dei numeretti delle varie “piazze affari” del mondo. Ed in tutti questi interstizi del nuovo mondo dell’iper-connessione, della morte istantanea, la nuova forma del capitale si insinua, rafforzandosi attraverso tutte le sue varie infrastrutture; produttive, sociali, politiche, materiali etc. 
Altro elemento ‘spoiler’ del regolamento in questione, anche questa per niente una novità (sigh!), è il rafforzamento del sistema di esternalizzazione delle frontiere. Sembrerebbe infatti concepita la possibilità di spostare le persone verso cui è emessa un’ordinanza di rimpatrio verso paesi terzi con i quali siano stati siglati accordi in materia. Dunque, in tal caso, la si potrebbe considerare come un’istituzionalizzazione del sistema italiano dei CPR in territorio albanese (o ancor prima, seppur in un quadro normativo differente, i campi di reclusione libici- sotto il governo Renzi). Si parlerebbe infatti, di “hub di rimpatrio”. 
Tutto sotto l’attenta osservazione dei diritti umani e delle varie carte che li sanciscono…

PER SAPERNE DI PIÙ:


FONTI: 


DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE


“DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE”

Qui di seguito raccolti alcuni commenti trovati in giro scorrendo sui social network. Si riportano solidarietà nei confronti della manifestazione che ha attraversato Messina lo scorso sabato 1 marzo. A fronte di opinioni ciecamente critiche ampiamente rappresentate nel contesto del dibattito cittadino sembra opportuno, con i modesti mezzi ed infrastrutture attualmente a disposizione, provare a dare respiro a parole con toni e piani differenti. A fronte di un modo di fare notizia sempre più improntato alla riduzione semantica del pensiero di quattro passanti, letteralmente, qui di seguito un copia/incolla di dieci commenti incontrati sui social network relativi alla giornata di sabato 1 marzo.

L’auspicio è che lo strumento auto-critico non diventi un banale passe-partout per imporre ciechi giudizi, quanto un modo per approfondirci ed imparare a condividerci sempre di più.

Di seguito le posizioni incontrate:

1)“FOGLIA DELLO STESSO ALBERO

Per due anni ho ospitato un gatto, Simba. Gli piaceva stare in casa e crogiolarsi sul divano, ma quando voleva uscire iniziava a miagolare fino a quando non otteneva quello che voleva: la libertà di uscire, la libertà di scegliere cosa fare, di sentirsi animale, di sentirsi libero … la Libertà. Domenica scorsa ho pianto, non per lui, ma per Lei. Ho pianto perché ho sentito che questa Libertà giorno dopo giorno ci viene tolta, tra colpi di fucile, filo spinato, genocidi, confini, odio, separazioni, tecnologia: a cosa servono le ringhiere se mi impediscono di toccare il mare? A cosa servono i confini se quando gli oltrepasso mi spari? A cosa serve la democrazia un giorno ogni 5 anni? A cosa servono le telecamere in città se non vedo cosa chiede mi chiede il cuore? A cosa servono i giorni della memoria se poi ci dimentichiamo dei popoli che vengono sterminati oggi?!?! Tutte queste domande, queste immagini e più, hanno iniziato a sgorgare a fiumi, insieme alle lacrime, accompagnandomi tra pensieri e riflessioni il giorno seguente di quello che sarebbe stato un semplice corteo [noponte] di carnevale. Quando scendo in piazza è difficile che lo faccia solo per un motivo, solo per manifestare il mio dissenso verso un’arma, ma lo faccio anche (e soprattutto) per manifestare contrarietà verso tutto l’arsenale cui quell’arma appartiene. Quando scendo in piazza per mostrarmi favorevole verso quella causa, lo faccio anche per portare sostegno a tutto il resto. Lo faccio per difendere quella Libertà. Sabato scorso come altre volte sono stato in piazza, ma quel pomeriggio non è stato come gli altri. Quel pomeriggio ho prese tante manganellate.Non sono stato l’unico a prenderle, da una parte e dall’altra ce le siamo date. Anche se una parte era nettamente più equipaggiata con scudi, caschi, paratibie, stivaloni, occhiali, microfoni, paraorecchie e manganacci. Ma la violenza (carnevalesca) alla base di questo litigio era quella di un astio che viene perpetrato e alimentato da decenni (se non secoli). C’era rabbia, ma non era la rabbia esplosa per qualche petardo, era una rabbia di irrisolti e incompresi verso coloro che disobbediscono alle regole imposte da altri, quando tu nato col caschetto sei costretto e obbligato a calare la testa. Noi invece eravamo in piazza col cuore! Non siamo di certo pagati e se ci va bene non ci arriva la denuncia. La denuncia per aver manifestato in modo concitato tutti i violenti soprusi che la nostra Libertà, in silenzio, subisce. Quel pomeriggio mi ha scosso, e nonostante i lividi stiano quasi scomparendo, quello che ha smosso dentro si sta ancora assestando verso una nuova forma di equilibrio. La paura non sarà più la stessa. La mia decisione nel portare avanti quelli che sono i miei ideali, soprattutto se caricati e manganellati, sarà ancora più ferma e decisa. Sabato i mascherati coi manganelli e i manifestanti armati di stelle filanti e bom(bol)ette erano relativamente pochi, ma potrebbero essere molti di più, e ben più armati. Spero solo che i grandi se ne accorgano e che la smettano di assecondare questo PNM piano nazionale mafioso (perché alla base ci sta il ricatto). Perché lo Stretto non ha bisogno delponte.

̴ Fiero di sentirmi una foglia facente parte dello stesso Albero della Libertà ̴”;


2) “Tuttu stu buddellu per 2 scritte sui muri aggiunte alle migliaia già presenti (tra le quali anche chiari simboli neofascisti, che a quanto pare non vi danno fastidio.) Vi scandalizzate per la scritta “più preti morti” e non per l’arresto di un prete messinese accusato di stupro (ex responsabile di cristo re, luogo considerato tra i più importanti di Messina.) lo brucerei 1000 Monna Lisa al giorno pur di avere un mondo più sano. Pensate al decoro urbano, ma della Natura ve ne strafottete altamente. Gliela ghiavate nel culo ai vostri fratelli e alle vostre sorelle, ma poi vi fate il segno della croce e dormite sonni tranquilli. Ah tagghiatibbi ‘a facci, piddavera… Perché non vi incazzate così tanto con i migliaia di concittadini che ghiavano quotidianamente munnizza per terra??? Viviamo nella ‘munnizza da sempre, siete ‘munnizza da sempre. Imparate a rispettare la Natura, poi ci pensiamo ai palazzi e alle chiese. Col ragionamento di molti fra non molti decenni ci ritroveremo/si ritroveranno un pianeta morto ma senza scritte sui muri. L’apparenza e la superficialità a cui vi legate sono le vostre peggiori nemiche.”;


3) “[Messina] Durante lavori finalizzati al raddoppio della linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo sono emersi materiali con elevate concentrazioni di arsenico, contenute naturalmente nei monti Peloritani,che a causa dell’inadeguata copertura dei vasconi di stoccaggio da parte della società competente del cantiere sono poi confluiti, complici le piogge, all’interno del suolo e delle falde acquifere sottostanti. Le stesse che portano acqua nelle case circostanti. Preferite fare girare le foto di quattro scritte sui muri o di questo scempio? Rispondete e, in caso, fate girare.”;

-Foto aerea del deposito di Contesse. Qui i materiali estratti dalle montagne nel contesto dei cantieri del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo. Materiale che risulterebbe altamente contaminato da arsenico.-


4) “Sto pensando che il cosiddetto coordinamento no ponte ha qualche problema d ‘identitá. In questi ultimi due giorni sta coordinando la solidarietà alle forze dell’ordine e l’attacco ad una parte del movimento”.;


5) “All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano. Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


6) “Sapete che c’è? Che sono arrivato alla fine del corteo contrariato perché non mi sono piaciute una buona parte delle scritte sui muri e perché questo ha rovinato il clima allegro e dissacrante che c’era in una proposta nuova, ma adesso me li avete fatti diventare simpatici con tutto questo perbenismo. A chi parlo? Parlo a quelle parti della società critica che si sono accodate a una versione convenzionale di quanto accaduto. E sapete pure che c’è? Che tutto questo non ha neanche a che fare col no ponte. Ha a che fare con la paura di essere additati dalla parte del torto in un tempo che vede una svolta reazionaria che mette in discussione anche le forme più consuete dell’agibilità democratica delle piazze. La violenza? Ma andatevi a vedere i video. C’è tutto in rete ormai. Nel 68 tanto celebrato quella manifestazione sarebbe stata considerata pacifica e nonviolenta. Ma il 68 è di più di 50 anni fa e voi vivete oggi, al tempo di Trump e di Elon Musk.”;


7) “Comunque la città di Messina e’ ridotta a una latrina da secoli di colonialismo e mala politica ! Quindi un paio di scritte peraltro in istituzioni clericali piuttosto discutibili, ( nulla togliere allo spirito genuino dei credenti)in cui la clausura non è stata spesso una scelta libera, di certo non peggioreranno le cose. Perciò scaldatevi tutt di meno e iniziate a combattere di più in prima persona per decorare i vostri ambienti, in primis evitando di votare certa merda ! Poi chiaro sull’ autoreferenzialita, lo spirito adolescenziale e tante altre cose che accompagnano da 20 anni le stesse identiche pratiche se ne può discutere infinitamente e in altre sedi.Ma parliamoci chiaro, a me che il culo sia tremato a un paio di divise che han sempre fatto soprusi nella nostra città ricattando a destra e a manca non può che fare piacere. E ancora più piacere mi fa il fatto che qualche massone si sente sfidato nel proprio status quo che credeva eterno! Quindi io guarderei positivamente a quanto accaduto sabato a Messina, e lotterei affinché più pratiche estremamente diverse tra loro possono coesistere piuttosto che imbattersi in divisioni ridicole tra violenti e non violenti ! Per farlo ovviamente occorre umiltà e ascolta da parte di ogni componente e la forte volontà di rompere dannati isolazionismi. Altra cosa, semmai partissero i lavori per questa grande opera, mettetevi il cuore in pace, che militarizzeranno il territorio il triplo, e non sempre sarà possibile essere pacifici, choosey e non violenti . Inclusivi, aperti alla partecipazione sempre, ma resa e proni solo alle pratiche pacifiste anche no! E questo punto bisognerebbe davvero accettarlo una volta per tutte! Buona giornata e che sia l inizio di tanti buoni propositi!

Carnevale messinese=capodanno col botto! ❤️✨🇵🇸💛❤️”;


8) “Tra le critiche e le prese di distanza più accorate dai fatti del carnevale no ponte un’ampia fetta di interventi ruota attorno alle facciate deturpate dalle vandaliche bombolette spray. Si invoca- con il grassetto maiuscolo – il rispetto per palazzi, scuole e monumenti, in nome di un sinistro decoro pubblico. Eppure il concetto di decoro urbano è a tutti gli effetti un dispositivo di controllo sociale, uno strumento flessibile e adattabile alle esigenze delle politiche repressive e neoliberali. Il suo utilizzo politico va letto nel quadro delle strategie di disciplinamento degli spazi urbani e delle forme di esclusione sociale che si manifestano a tutte le latitudini attraverso processi di gentrificazione, turistificazione ed espulsione delle classi povere. Guardando allo scenario nazionale degli ultimi anni il richiamo al decoro urbano è stato utilizzato per giustificare le politiche securitarie che hanno colpito senza fissa dimora, migranti, venditori ambulanti e tutte le soggettività presentate come elementi di disturbo nella costruzione di una città “presentabile”. Una città funzionale al consumo, all’investimento immobiliare e alla valorizzazione degli spazi secondo una logica di accumulazione per espropriazione. Le ordinanze comunali che vietavano di bivaccare nelle piazze, la rimozione delle panchine per impedire la sosta, l’espulsione di intere comunità dai centri storici sono esempi concreti di come il decoro è stato trasformato in uno strumento per ridefinire l’uso legittimo delle città. Attorno al decoro urbano riemerge la centralità della dimensione di classe e del conflitto tra chi ha da perdere i proprio privilegi e chi rischia la stessa sopravvivenza. All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano.Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


9)” […] Il corteo di sabato pomeriggio, per quanto mi riguarda, è stata un’importante giornata di lotta e anche un utilissimo sasso nello stagno. Dalle reazioni suscitate, infatti, si può capire molto – a cerchi concentrici – del paesaggio sociale in cui viviamo immersi. Mi scorre in petto un fiume in piena di emozioni, e sento il desiderio non tanto di arginarle quanto di farle traboccare – anche tramite le parole. In questi giorni ho letto moltissimo e taciuto altrettanto, ma è arrivato per me il momento di non trattenere dentro ed esternare almeno una parte di quel che penso e sento. Alle tristi certezze di chi ha diffuso i comunicati di dissociazione qualche ora prima che la polizia inscenasse una caccia all’uomo fin dentro la galleria Vittorio Emanuele, mi sento di opporre la felicità per non essere così meschino, qualche domanda non solo retorica, e qualche inoppugnabile dato di fatto che possa ingolfare il dilagare delle menzogne. Tanto il sindacato giovanile della cgil quanto esponenti politici di partiti che per fortuna non fanno parte di alcun movimento reale, infatti, hanno deliberatamente scelto di oscurare la limpidezza di un percorso collettivo che in due mesi si è via via infittito di numerosissime assemblee pubbliche, da torre faro a contesse, da piazza del popolo a piazza casa pia. Ognuna seguita da pranzi condivisi e passeggiate esplorative dei luoghi che i cantieri del ponte devasteranno definitivamente a meno di non inciampare in una molteplice e determinata opposizione conflittuale. (Alcuni di questi luoghi, tocca evidentemente ribadirlo a chi preferisce contestare e tentare senza riuscirci di impallinare l’eventuale inefficacia altrui pur di non guardare mai allo specchio la propria, sono già stati avvelenati dai lavori per il raddoppio ferroviario eseguiti da webuild con lo stesso metodo con cui ha costruito dighe e grandi opere in mezzo mondo: ossia pensando solo ai propri profitti e facendo strame delle comunità locali) E, in tutti questi appuntamenti collettivi, nessuna e nessuno che si sia in quei momenti presentat* è stat* mai allontanat* come indesiderabile. Che si dica dunque che si è deciso di tenere fuori alcune energie, alcune sensibilità, alcuni comitati, è totalmente e incontrovertibilmente falso. […] Come ho letto in qualche commento più lucido, quando saremo invasi dalle ruspe non è detto che basteranno interrogazioni (euro)parlamentari, ricorsi ai giudici, e accorati appelli alla costituzione più bella del mondo. La quale, ricordo en passant agli smemorati, non ha impedito che l’Italia pur ripudiando formalmente la guerra prendesse parte ai bombardamenti su Belgrado e alla guerra in Afghanistan e in Iraq – è bastato, Orwell docet, chiamarle missioni di pace. Così come il genocidio a Gaza è per il Partito Democratico un modo tutto sommato digeribile di proteggere la popolazione israeliana e combattere l’antisemitismo (e qui, a fronte di tanta schifosa manipolazione, ad ognun* le sue reazioni..). E che dire del reato di clandestinità? Forse che la costituzione haimpedito la strage di Cutro e tutte le altre di migranti in mare? O il trattamento che viene riservato loro all’interno dei cpr? […] Su questa questione delle scritte ho letto davvero un profluvio di esternazioni, e vorrei dire sinteticamente la mia. Intanto relativamente alla certezza che taluni esprimono senza riserva alcuna che trattasi di una modalità comunicativa che nessuno -tranne i teppisti che le fanno- può apprezzare. Ebbene la città è piena di scritte sui muri, e coloro che oggi inaugurano in favore di telecamera panchine rosse contro i femminicidi non hanno smosso un dito per cancellare dalle vie del centro, sulla facciata del municipio, una scritta durata più di 10 anni che diceva ‘o ti amo o ti ammazzo’. Quindi registro la corrente alternata dello sdegno e cerco di andare oltre, domandando sinceramente: sì, ci sarà pure una ideologia, forse prevalente, di decoro piccolo-borghese che intride le coscienze, e capisco il punto posto da chi mi chiede arrabbiato: ma non ve ne frega niente di trovare nuovi complici, invece di fare incazzare a destra e manca? Ma mi viene istintivamente di replicare che in questo modo di pensare vedo del tutto obliterata la sensibilità e l’attitudine di tutte e tutti coloro che per comunicare scelgono quella modalità espressiva. […] A Genova, venticinque anni fa, c’era chi aveva le mani dipinte di bianco per testimoniare la propria attitudine nonviolenta – e le ha viste tingersi di rosso per il sangue fatto versare dai tutori dell’ordine. Chiunque pensi che quel sangue è scorso per colpa dei black block, mi ricorda coloro che attribuiscono ai partigiani la responsabilità dell’eccidio delle fosse ardeatine. […]”;


10) “Premesso che non sapevo della manifestazione e che in ogni caso non sarei potuto essere presente perché impegnato con lo spettacolo alla Laudamo, a fine spettacolo come di consueto per gli attori ci si è recati a cena in pizzeria e in particolare al tavolo esterno de “Gli antenati”, notoriamente nei pressi di piazza Antonello. Nell’attesa dell’arrivo del cibo apro il telefono e mi accorgo delle scritte sui muri pubblicate in vari post facebook. Devo essere sincero, la mia prima reazione è stata “nooo, che cosa è successo!” (Notando con sconforto che erano stati imbrattati muri di opere storiche, e pensando istantaneamente al grandissimo assist d’oro che avevamo fatto alla destra e ai proponte con questo strafalcione). Poco dopo, passa accanto al tavolo il gruppo di ragazz* del corteo, colorati e pacifici, che si dirigevano verso piazza Antonello facendo una calma e spensierata passeggiata (erano infatti circa le 22:30 e la manifestazione era terminata). Dopo pochi minuti salto in aria udendo e vedendo sfrecciare la camionetta della polizia verso piazza Antonello e a quel punto penso “ma se la manifestazione è finita a chi stanno inseguendo?” (e già questo mio pensiero è molto contaminato dal sistema in cui viviamo in quanto il mio cervello crede automaticamente che la polizia stia inseguendo dei manifestanti, il che non dovrebbe esistere né in cielo né in terra, eccetto i casi in cui i manifesti non si siano trasformati in pericolosi criminali). Poco dopo sempre su facebook vedo le dichiarazioni di dissociazione dei vari movimenti rispetto agli atti vandalici e contemporaneamente cominciano ad apparirmi video di scontri con la polizia e in particolare uno che ha testimoniato anche il pre-scontro: il corteo stava scendendo per Boccetta da via 24 maggio, e si è trovato uno schieramento di forze a blindare lestrade adiacenti in assetto antisommossa, alcuni manifestanti hanno cominciato a tirare delle “bombette” (da quanto vedo “innocue”) verso la polizia che era più che corazzata e gridavano insulti (mi domando, la polizia dovrebbe scortare il corteo per difenderlo da eventuali attacchi di oppositori, come mai era schierata in antagonismo al corteo? Il ché evidentemente ha generato astio dalla parte dei manifestanti). I manifestanti e la polizia erano tuttavia distanti abbastanza, c’era l’intera carreggiata del Boccetta a separarli e questo mi ha fatto pensare che sarebbe finita lì e che dopo lo sfogo verso le forze dell’ordine il corteo avrebbe continuato a scendere. Ad un tratto, invece, due poliziotti in borghese con il casco d’ordinanza partono all’impazzata brandendo il manganello e corrono verso i manifestanti per dargliele di santa ragione, a quel punto tutto lo schieramento a testuggine della polizia è costretto a seguire i due eroi per dare manforte. Dopo due colpi a destra e a manca i due schieramenti si fermano e tutto finisce lì quando un ragazzo invita a riprendere a camminare per il Boccetta. Premesso che io non avrei attaccato con insulti e bombette le forze dell’ordine, bisogna però sottolineare che i poliziotti superano un concorso con tanto di visite e contro visite psicologiche psichiatriche psicoattitudinali ecc e che seguono un corso di addestramento di mesi e mesi prima di entrare in servizio e continuano a essere formati anche durante tutta la carriera per non essere persone comuni in balia delle emozioni e degli istinti ma per avere un autocontrollo fuori dal comune e degno dell’istituzione quale sono, soprattutto perché armati. Alla luce di questa considerazione io credo proprio che se la polizia saggiamente e professionalmente non avesse reagito, il corteo avrebbe ripreso a scendere per Boccetta e non sarebbe accaduto niente. Detto questo io non ho voluto fare nessun post di dissociazione dagli atti vandalici (anche se io non li avrei praticati) perché sinceramente credo sia più grave l’inferno di mondo in cui viviamo col cemento, l’inquinamento, rispetto a delle pareti rimediabilmente scritte (d’altronde è una pratica atavica dell’uomo scrivere o disegnare sulle pareti, molto più sana rispetto alle pratiche tipiche della società industriale che ha disunito sí l’uomo dal suo vero essere). Per concludere il mio pensiero, direi comunque di vedersi per parlare senza additare di inadeguatezza nessuna parte dei movimenti no ponte in quanto tutti noi siamo atti a tale battaglia ognuno con la sua modalità di lotta secondo propria coscienza. E che nessuno si investa della carica di guida, o che detti le regole entro cui manifestare sia buono o cattivo, perché sarà l’impedire la costruzione del ponte ad essere solo e unico discrimine tra buono e cattivo. Ti abbraccio, car* compagn* che eri in strada… “sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”;




*i commenti sono riportati letteralmente come incontrati sulle varie pagine social, alcuni sono stati accorciati solo per questioni di lunghezza, con la coscienza che forse se ne sarebbe potuto alterare il contenuto;  che non ne vogliano le persone autrici di questi commenti.  (:
Di certo a tuttx loro, come anche a tante altre persone che non rientrano in questo campione per cosi dire, chi scrive si sente di mandare loro un caloroso sguardo di complicità oltre che un piccolo palpito di cuore.

*Un pensiero sempre va a chi lotta contro ogni gabbia, individuale o collettiva che sia. Ad ogni complice respiro. Ad ogni evasione. Ad ogni fanciullezza che brilla, a prescindere dall’anagrafica.


FUORI DAI RIFLETTORI – Un’altra cronaca del Carnevale NOponte dell’1 marzo 2025

 

Data l’enorme mole di parole versate da chi non è stato al corteo, pensiamo sia utile fare una cronaca dei fatti di tutta la giornata, vista dagli occhi di chi c’era. Ognuna potrà farsi la sua opinione in merito.

 

*LE INTIMIDAZIONI PRE-CORTEO

Alle ore 11:15, un gruppo di cinque persone è stato fermato presso la Stazione Centrale di Messina. Gli agenti hanno proceduto con una serie di domande di carattere personale, tra cui: da dove venite? Perché siete qui? Come siete arrivate? Siete a conoscenza della manifestazione? Dove alloggerete? Successivamente, i documenti sono stati ritirati e, dopo un’attesa di circa 30 minuti, gli agenti sono tornati comunicando che era necessaria una perquisizione. Alla richiesta di chiarimenti in merito, è stato risposto che si trattava di una semplice prassi ordinaria e che non vi era nessun problema. Le persone coinvolte hanno chiesto fosse contattatx unx legale che fosse presente durante la perquisizione; la richiesta non è stata accolta e seriamente presa in considerazione (‘a cosa vi serve?’), con la scusa che la perquisizione fosse una procedura standard Le cinque persone sono state quindi condotte nella stazione di polizia della stazione centrale, dove la perquisizione è durata circa 10 minuti. A seguito di questa operazione, sono state lasciate in attesa per ulteriori due ore, al termine delle quali sono stati consegnati loro dei verbali contenenti diverse imprecisioni e informazioni errate. In uno dei verbali è stato erroneamente riportato che la persona in questione portava con sé uno zaino, sebbene ciò non corrispondesse al vero. La motivazione della perquisizione, inizialmente giustificata dagli agenti come una normale prassi, è stata invece indicata nel verbale come conseguenza di un presunto comportamento di ‘agitazione e mancata collaborazione’. Le generalità delle persone fermate presentavano errori e solo a fronte di ripetute richieste di rettifica è stata effettuata la modifica, seppur malvolentieri. Alla richiesta di ulteriori spiegazioni in merito alle discrepanze riscontrate, gli agenti si sono limitati a dire che se vi erano lamentele queste potevano essere presentate nelle opportune sedi, non meglio specificate. Durante tutta l’operazione non è stato spiegato nessuno dei passaggi fatti dalle forze dell’ordine, rispondendo alle domande sulle procedure con reticenza. Le persone non sono statx informatx dei diritti e facoltà che avevano in quella situazione.

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*IL CORTEO

Poco prima delle 15.00, un nutrito gruppo di manifestanti arriva nel luogo del concentramento: piazza Antonello; via via, il numero cresce. Arrivata l’ora del concentramento le manifestanti devono occupare la strada, dato che le forze dell’ordine sostengono di non dover chiudere l’incrocio fino a che non arriva un certo numero di persone non meglio specificato. Il corteo si deve quindi comporre nella strettoia della via S. Agostino, già chiuso in testa da un blindato e da una volante dei carabinieri; da dietro, un cordone di carabinieri; intorno un numeroso gruppo di agenti della digos armati di telecamere.

Verso le 16.30 il corteo parte, mantenendo la propria autodeterminazione, difendendo i propri spazi con la gioia della musica, del ballo e del canto. Svolta subito sulla via XXIV maggio in direzione nord; le forze dell’ordine, in testa e in coda, relativamente a distanza.

Il corteo passa per la via cantando e ballando, diverse persone lasciano scritte sui muri contro il ponte, ma anche contro altri tasselli del sistema di cui il ponte fa parte (cpr, galere, mafia, repressione, guerra, palestina, militarizzazione, patriarcato).

Quasi arrivati all’incrocio di viale Boccetta, si ribadisce ulteriormente dai microfoni che si sta arrivando nei pressi della strada interdetta dalla questura il giorno prima (venerdì 28) per via della presenza del comando provinciale dei carabinieri: via Monsignor D’Arrigo.

 

 

Arrivato all’incrocio, il corteo è completamente chiuso e circondato, senza alcuna via di fuga praticabile.

La situazione è la seguente:

davanti la testa del corteo si fermano,  subito dopo la svolta, le vetture già presenti (ovvero una volante della municipale, una dei carabinieri, un blindato dei carabinieri e una squadra di carabinieri in assetto antisommossa rivolta contro la testa del corteo); alla coda del corteo si trova il cordone di carabinieri presente dall’inizio in antisommossa; sulla sinistra, nella carreggiata direzione valle, è presente una squadra di polizia in antisommossa, mentre sulla sinistra, carreggiata direzione monte, un’altra squadra antisommossa con dietro un blindato della polizia parcheggiato di traverso a sbarrare la strada; a chiudere la via Monsignor D’Arrigo, praticamente sul viale Boccetta, ancora un’altra squadra in antisommossa con alle spalle due blindati parcheggiati trasversalmente per chiudere totalmente la strada interdetta.

Entrate nell’incrocio, tra i fumogeni colorati, lo striscione di testa si posiziona tra le due carreggiate del Boccetta, frapponendosi tra il resto del corteo e la celere; la testa del corteo svolta a destra con l’intenzione di proseguire, ma le vetture dei carabinieri davanti si fermano impedendo, di fatto, di avanzare.

In questa manciata di secondi, dal corteo vengono lanciati in direzione dei blindati alcuni petardi e qualche bottiglia, in risposta all’ingiustizia di una deviazione che non ha niente a che fare con l’ordine pubblico ma che rimarca simbolicamente l’intoccabilità dell’ordine costituito.

Senza alcun motivo evidente, un primo agente parte correndo verso il corteo dando il primo colpo di manganello lateralmente allo striscione; la squadra lo segue lanciandosi a manganellare i manifestanti e smembrando lo striscione. I manifestanti rispondono difendendosi con quello che rimane della struttura e spruzzando stelle filanti; alcuni agenti iniziano a colpire una persona con una bicicletta ferma nei pressi dei disordini, poi tentano di strappargliela dalle mani, senza riuscirci, grazie anche all’aiuto delle altre presenti.

Mentre questo gruppo di manifestanti rimette distanza tra la celere e il corteo dopo la prima carica, la testa è ancora bloccata dall’antisommossa dei carabinieri, che non si muove impedendo al corteo di proseguire.

Diverse manifestanti e persone presenti alla scena gridano ai carabinieri di muoversi per far defluire il corteo dal cul de sac dell’incrocio, per togliere dal pericolo le persone rimaste bloccate alla fine della via XXIV maggio e abbassare la tensione; ma senza successo per diverso tempo.

Quando le manifestanti all’incrocio rimettono distanza con la celere, finalmente arriva l’ordine ai carabinieri di far muovere il corteo.

A un certo punto due agenti della polizia cominciano a correre giù dal viale, sul marciapiede, uno dei due cade a terra, alcune persone vanno verso di lui; questo attira l’attenzione dell’intero schieramento che fino a un attimo prima aveva manganellato le manifestanti, che inizia a correre compattamente per raggiungerli.

Unx manifestante, intuendo le intenzioni di aggressione dello spostamento, si frappone lungo il tragitto, dando le spalle alla squadra, con le braccia aperte, e viene travolta dalla foga di un agente che lx spinge deliberatamente a terra (peraltro redarguito da un collega). Diverse persone si lanciano a soccorrere lx manifestante a terra, e parte un’altra carica di manganellate alla cieca. Dopo un acceso diverbio, le manifestanti allontanano la squadra antisommossa e il corteo prosegue, diminuito, tra canti e balli.

 

 

Svoltato in via Garibaldi direzione nord, un altro blindato dei carabinieri con annessa squadra antisommossa (fino ad allora fermi all’incrocio con la cortina del porto) si unisce allo schieramento in coda al corteo. Per tutta la via Garibaldi si avvicina sempre di più, minacciando e insultando i manifestanti che cercano di tenere spazio tra lo schieramento e il corteo. In coda l’atteggiamento verbale e fisico dei carabinieri si fa più provocatorio ma si riesce a impedire che entrino nello spazio del corteo.

Il corteo percorre via Garibaldi sempre più compresso tra lo schieramento dei carabinieri in testa, che rallenta, e quello in coda, che accelera, mentre altre squadre si pongono davanti ad alcuni edifici bancari sul marciapiede della carreggiata opposta a quella dove passa il corteo.

Vengono lasciate ancora alcune scritte; all’incrocio del Nettuno viene dettagliatamente ricordata la storia di devastazione, distruzione e menefreghismo che ha caratterizzato WeBuild (ex SaliniImpregilo) sin dalla sua nascita, complice di disastri ambientali, sociali, sanitari in tutto il Sud del mondo; mettendo in evidenza che lo stesso atteggiamento è già palese nell’esecuzione dei lavori del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo, che procedono senza alcun rispetto degli abitanti, della loro quotidianità e della loro sicurezza; lavori i cui scarti tossici sono stati lasciati alle intemperie accanto alle case di Nizza di Sicilia e di Contesse, con conseguenze pesantissime per le persone e l’ambiente, e leggerissime per l’impresa.

 

 

Arrivato a piazza Juvara, il corteo deve svoltare per raggiungere la fine (piazza Casa Pia).

L’antisommossa si schiera all’inizio della salita e sugli spartitraffico laterali, a formare un imbuto da cui il corteo sarebbe dovuto passare a contatto con gli agenti.

Il pericolo è così evidente che unx manifestante prende il microfono e inizia a chiedere alle forze dell’ordine quali siano le loro intenzioni, se l’idea è quella di chiudere di nuovo il corteo in un vicolo cieco e far partire altre cariche; li esorta a indietreggiare e lasciare spazio al passaggio del corteo.

Il cordone lentamente retrocede su via Fata Morgana, e il corteo raggiunge l’angolo della piazza; qui, di nuovo, deve essere esortato a non impedire l’accesso al punto di arrivo, e si sposta di qualche metro verso il torrente Trapani.

Dato il mancato divieto di sosta nell’angolo della piazza dove è presente lo scivolo carrabile per entrare nella stessa, e la via Monsignor D’Arrigo dove circolano veicoli, le manifestanti sono costrette a improvvisare e far fermare il camion di testa nei parcheggi sopra la piazza.

Per tenere in sicurezza il corteo e le persone, mentre questo avviene, alcune manifestanti tengono la distanza con l’antisommossa mettendosi a bordo strada e accendendo dei fumogeni colorati.

Tutte le uscite dalla piazza sono bloccate da blindati e volanti, che restano fermi là per più di un’ora.

Il corteo si conclude con il concerto in piazza dal camion, spostato quando la strada è stata chiusa e resa agibile ai manifestanti. Tra la musica e i balli, un grande cerchio ha bruciato simbolicamente, in un falò catartico, il carro in cartapesta del ponte sullo Stretto.

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* LA CACCIA POST-CORTEO

Dopo aver ripulito i resti del falò dalla piazza, lx manifestanti rimastx si dirigono in gruppo verso il centro, notando il concentrarsi progressivo e sospetto di mezzi e personale di polizia di fronte alla piazza.

Da subito, il gruppo è seguito da alcuni agenti della digos in moto e in macchina e da una camionetta. Nella confusione, si inizia a frammentare e la digos approfitta del momento per prendere di mira poche delle persone che si erano allontanate dalla piazza.

Accorgendosene e temendo recriminazioni violente da parte dei poliziotti, questx pochx manifestanti cercano rifugio in galleria Vittorio Emanuele.

Qui gli agenti della digos, con il supporto della celere, bloccano le uscite e si avventano in massa su una singola persona, strozzandola e costringendola in ginocchio, urlando di volere i suoi documenti, senza permetterle al contempo di tirarli fuori.

La forte determinazione dellx altrx manifestanti, immediatamente accorsx in soccorso della persona fermata, ha permesso di liberarla dalla stretta dei poliziotti e di liberare la galleria dalla loro violenta presenza, tra cori e fischi, sotto gli occhi increduli delle centinaia di giovani presenti sulla scena, permettendo alla persona fermata di dileguarsi. Diversx manifestanti riportano ferite durante la collutazione con gli agenti.

Poco dopo, su una via nelle vicinanze e dopo un lungo inseguimento a piedi, la stessa persona viene nuovamente placcata e schiacciata a terra assieme ad un’altra da un nutrito gruppo di poliziotti.

Uno di questi minaccia di sparare alle persone fermate nel caso di un’ulteriore fuga.

Le due persone chiedono da subito e a più riprese di poter parlare con un avvocato ma le loro richieste non vengono ascoltate.

Come se non bastasse, si vedrà poi, nel verbale di rilascio di una delle due viene scritto che la stessa avrebbe dichiarato di non volersi avvalere dell’assistenza di un avvocato (insieme a diverse altre informazioni scorrette o false).

La prima persona viene ammanettata, minacciata a più riprese, anche con l’uso di una paletta da poliziotto in bocca, e fatta salire violentemente su una volante. La seconda viene fatta salire su un’altra volante poco dopo, dovendo insistere per essere portata nello stesso posto dell’altra e dovendo aspettare che la prima persona fosse già in commissariato.

Durante l’attesa per strada, dopo vari avvertimenti da parte della seconda persona di non essere toccata, viene chiamata  un’agente donna che provvede tempestivamente a darlx diversi strattoni. La persona chiede ripetutamente di poter bere dell’acqua, le viene data una bottiglietta e dopo pochi sorsi dalla suddetta viene violentemente strattonata e privata dell’acqua, che viene gettata a terra sostenendo si fosse ormai dissetata abbastanza.

Negli 8 minuti di tempo tra la partenza con la volante e l’arrivo in commissariato, la prima persona viene minacciata di morte più volte da un agente della digos seduto in macchina con lxi, che nega e ripete a più riprese le proprie minacce, tirando la persona per i capelli.

Nei 15 minuti di tempo tra l’arrivo della prima persona in commissariato e l’arrivo della seconda, la prima viene scaraventata contro un muro, minacciata ancora di morte e presa violentemente a ceffoni da due agenti della digos e uno di polizia, con come conseguenza un’importante ferita al labbro superiore e un forte dolore al ginocchio destro. Fatta notare la cosa, gli agenti negano all’unisono la loro responsabilità nel ferimento della persona e sostengono sia successo “prima”. Solo l’arrivo dell’altra persona, insieme a un gran numero di altri poliziotti, impedisce che il pestaggio abbia seguito.

In commissariato, dopo numerose altre richieste della seconda persona di bere dell’acqua, un agente recupera dalla spazzatura una bottiglietta vuota e fa per riempirla da un rubinetto recante la scritta “acqua non potabile”. La prima persona nota la cosa e chiede con forza che sia fornita alla seconda persona una bottiglietta nuova, come a lxi.

Il fermo procede con la perquisizione e l’identificazione dettagliata delle due persone. Non mancano degli inopportuni commenti sulla corporatura (bodyshaming) e sull’orientamento sessuale  (queerfobici) della seconda persona durante la perquisizione. A entrambx vengono prese le impronte e scattate foto segnaletiche, sedute e in piedi, da ogni lato. Alla prima persona vengono fotografati tutti i vestiti, anche rovesciati, mentre alla seconda viene sequestrato un coltellino svizzero evidentemente non atto a offendere.

Dagli sbirri viene ripetuto più volte, durante il fermo, che non c’è bisogno di sentire un avvocatx perchè “gli avvocati ora siamo noi”. Questa resta la loro risposta fino al rilascio, e l’unico momento in cui alle due persone è consentito l’uso di un cellulare è per cercare il numero dell’avvocata per la nomina, senza comunque poter telefonare a nessunx.

Nel mentre un nutrito gruppo di persone si ritrova davanti alla questura,  dove gli è stato detto che le due persone fermate si trovano (nonostante, in realtà, fossero in un’altra caserma), a chiedere notizie e il loro rilascio. Tutte le vie limitrofe a questura e prefettura, dove già si era svolta la caccia alle persone con posti di blocco e agenti in borghese, sono presidiate da volanti e blindati.

Sia in commissariato che in questura, la cosa crea scompiglio: gli agenti volevano solo una rapida vendetta, speravano di sbrigare il tutto molto più in fretta e verso l’1, dopo 3 ore di fermo, iniziano a chiedere alle due persone fermate di dare loro notizie allx manifestanti per far tornare tuttx a casa, sbirri inclusi.

Le persone fermate rifiutano di chiamare lx manifestanti, affermano che avranno loro notizie quando verranno liberatx e accelerano così il processo del proprio rilascio.

Alle 2, entrambe le persone fermate sono libere, la prima solamente con una denuncia per resistenza al fermo, la seconda col solo sequestro di un coltellino. Finalmente si ricongiungono al presidio solidale e possono riabbracciare lx proprix amix.

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*A GIORNI DA…

A giorni dalla conclusione del corteo continua la caccia a manifestanti, dislocata principalmente nei grossi centri cittadini su tutto il territorio regionale siciliano, dove agenti in borghese mediante foto del corteo sui loro telefonini attenzionano persone che gravitano introno a spazi e ritrovi sociali.

 

 

 

 


ALCUN PENSAMENTO CONFUSO


ALCUN- 

PENSAMENTO

-CON/FUSO


 

Ed ancora ci tocca respirare molto piano, cercare di non fare rumore, di immagazzinare una totalità di aria capace solo di farci sopravvivere. I polmoni rintrizziti dall’ennesima sigaretta, il silenzio delle meste solitudini, le iniziali di qualche persona amata incise sulla pelle da qualche parte sul corpo…corpi, corpi, corpi e corpi. Ammassi di corpi, vagoni di corpi, container di corpi, abitazioni di corpi, carceri di corpi. Quanto è pesante quell’ovatta che occlude il suono dell’esistere? Quanto è schiacciante quel cemento, pesante, sul petto?

Una vita organizzata a raggiere; curioso come da ste parti la ‘raggia’, in dialetto, sia la rabbia.

E così, pensando l’esistere organizzato in raggi, compartimenti, viene da pensare ancora ed ancora alla collera. La tristezza. “Non mi fare prendere collera” si può sentire alle pendici del Vesuvio. In quel momento, la fobia per la patologia asmatica. Di fatti la possibiltà di mettere gli alveoli sottovuoto è una cosa che terrorizza. Ma si può veramente cessare di esservi? Quanto l’ipotetica mancanza di qualcosa, precisamente di fiato, ha determinato, oggi, asma? Una concezione spaventosa dell’irreversibile, che non si manifesta come opzione impossibile di tornare indietro, ma come schiacciante loop di sempre uguali che si ripetono in maniera, solo poche volte, veramente disordinata. L’impressione di una ruota che gira, si, ma comunque troppo spesso su se stessa. Tutto molto metaforico, è vero. Ma quanto anche materialmente galera?

Quanti ritorni e ritorni e ritorni; quanta staticità, quanta pesantezza… certo, irreversibile per definizione è qualcosa cui verso non può tornare ad essere ciò che era esattamente poco fa. Così questo senso è divenuto irreversibile e le parole sono divenute ancora una volta governo. Il senso unico di questa toponomastica del controllo sta determinando sempre più in quali argini fluire, o almeno avere la percezione di farlo; noi, invece, tuttx rischio idro-geologico. Forse, siamo più la montagna che si sgretola, si liquefa, sulle costruzioni prepotenti, presidi di civiltà, trincee della guerra totale contro noi stesse;  piuttosto che tutte quelle istituzioni, materiali o mentali, impalcature del perenne cantiere, la vita. Probabilmente, ancora, siamo scintilla, siamo incendio, siamo dirompenza e paura costruita. Siamo gli argini che abbandonano la presa su tutta sta civiltà imposta, crollano, si dice.. ma quanto questo gesto passivo, meglio, narrato come tale, della terra è invece via indicata? Una società costruita con tiranti, argini, muri, aggrappamenti vari… quanto franare, quanto esondare, quanto abbandonarsi ad un moto micidiale è gioia? Ma noi tutti costruttrici di argini abbiamo, perlopiù, messo al palo dirompenze varie, guardando quella triste ferraglia contorcersi sotto la forza di questi spasmi, che claustrofobia in questo cono di luce, calcolato; un vertice, una base,

UN SILENZIO.

Ma che brutto vialone è questo? Il pappone ci guarda male, sta intessendo la nostra tristezza, ha stabilito un prezzo e ci ha già vendutx. I clienti non sono pazienti, hanno fretta, la maglia è stretta, ancora una volta,

SOFFOCA.

Non è che un’altro richiamo allo scioglimento della distinzione tra “noi”, umani, e tutto il resto, brutalmente messo a servizio, a produzione. Distinzione sulla quale poi si fonda la grande collera del capitale, con i suoi secondini, finanziatorx, amministranti, consociate… Il mutaformismo del, quasi, tutto possibile consumatore non permette libertà nell’illusione di poter personalizzare la propria gabbia. Così abbiamo parruccato i nostri repressori, i detrattori delle nostre esistenze li abbiamo voluti ridicolizzare truccandoli, personalizzandoli, rendendoli forse innocui. Cosa succede se adesso le maschere le indossiamo noi? Cosa succede se adesso assumiamo che siamo frana? Incendio? Trasformiamo questa parodia da replica grottesca a sovvertimento totale, carnevalesco? Possiamo essere ogni cosa ed in ogni momento, l’ambiguità che sfugge ad ogni capacità normativa. Il mutaformismo che affligge in mille forme, infatti, il nostro respiro, che lo tappa; che ci infligge paura; ci impone disfatta; frustrazione; che distrugge le sfere del sentire appropriandosene e riempondele di polarizzazione, adesso lo distruggiamo e non lo rimpiazzeremo con nuove forme di sentire sordo, perdendoci invece in quelle che erano esagerazioni, in quelle che erano prima amare lacrime adesso, invece, fiumi pieni che straripano in ogni modo, riconoscendo una volte e per tutte la violenza degli argini.


Cosa distrugge per davvero? Una linea retta di cemento perforante e velenoso o la roccia che vi si accascia sopra? Le città altamente digitali o i cuori che ne tagliano i cavi? Un fucile e il dito che preme sul grilletto o quella persona, dall’altro lato del mirino, pericolosamente resistente, come gente gazawa?


Il boato tristemente ritmato della società della produzione, dell’inesistenza, scandisce ogni battito di vita, la plastifica. Scava in petto dei vuoti che poi riempe, stucchevolmente, di piaceri continuamente rimandati. Cosa c’è di peggio di un consumatore soddisfatto? Cosa c’è di meno auspicabile per questo “regno delle definizioni” di un cuore sorridente? Di un palpito aritmato? Così che le loro ruspe sono a lavoro nei cantieri dell’esistente già da sempre, dal momento in cui violentemente si viene sommerse da tutto il corollario di usi e costumi di un mondo che tutti subiscono. L’idea di cantiere è interessante, quante lotte di senso si possono intrecciare nel suono di una parola?! Ma se il costruire diviene riferimento incessante alle colate di cemento, allo spossesso della vita, ad una trincea, come si può mai credere che “costruirsi un futuro” possa essere un buon auspicio?! Qualcosa da dover espletare nel tempo minore possibile, così da rispettare quanto detto dai nostri flinstones e quanto di eco ci arriva dal futuro, dai non nati, da coloro che hanno in sè, solo a causa nostra, il flaggello del “tutto possibile”; vite pivotali della collettiva illusione che cambiare significhi aspettare un ipotetico domani, 

PER SEMPRE. 

Di certo non è una novità accostare ‘idea’ a ‘cantiere’, già questo suggerisce quanto questi (i cantieri) possano assumere forme, nel loro essere fatto concreto, che hanno dimensioni immaginarie, idealistiche. In questo allora viene ad intrecciarsi il rimando ad un futuro, costantemente incerto, in nome di un’idea che ha tanto effetti concettuali quanto materialmente distruttivi nell’attraversare porzioni di territorio.
Non è un lotta di senso, ma ‘progresso’ diviene per antonomasia una categoria collegata ad un’ipotetico sviluppo imminente, apogeo del capitalismo, in nome di un certo sacrificio attuale, rinunciando quasi del tutto alla propria vita così per come la si era conosciuta sino ad allora. Le ruspe scavano e spianano tanto i terreni per il passaggio dei binari quanto il petto delle persone che abitano quelle frontiere di un domani perforza illusorio, narrato come idillio del vivere comodx, applicato come somministrazione di veleni multiforme tutti egualmente letali. Così che desiderio divene la gabbia di un mondo camicia di forza. Ma quanto insoddisfazione e desiderio sono coniugati in questo binarismo capitale? Questa è pura epistemica della sottomissione, della conquista. Basti pensare ad una città assetata ed a quanto la gente possa anelare tubi d’acqua, COSTI QUEL CHE COSTI!!! Barattando troppo spesso morte per morte (mors tua vita mea).
Hanno scavato ancora nelle montagne, tirando fuori ciò che non è per essere guardato dall’occhio umano. Le hanno buttate li, in bella vista, le fosse comuni dei loro intralci e l’acqua ci batteva sopra, con impeto. Hanno dato un nome a questo presunto killer, è nella tavola periodica, concepito nel grembo della scienza, strappato da quello della terra, inniettato nell’esistenza, nell’acqua, sulla pelle. Cosa distrugge per davvero? Cosa distrugge per davvero? Ed ogni centimetro cubo in meno per noi è, per loro, una freccetta verde, gloriosamente puntata verso l’alto, nel portafoglio azionario dei mandanti di questo avvelenamento totale.

“NOI COSTRUIAMO”!!

NOI DISTRUGGIAMO!!

NOI VI SEQUESTRIAMO -non c’è riscatto-  SOLO RAPINA, SOLO ESTORSIONE!!

Si fa sempre più sottile il dubbio che le aree indicate dal progetto ponte, nella sua complessiva capacità invasiva su scala praticamente totale nel territorio strettese, possano essere solo (sigh) una parte del complessivo comparto cantieristico che travolge(rà) questi luoghi. Si straparla di “opere compensative”, ma cosa vogliono compensare? come lo vogliono fare? indovina indovina….ALTRO CEMENTO!!!! Qui uno dei troppi intrecci caratteristici del progetto ponte sullo Stretto, ossia la capacità di divenire pioniere di tutta una serie di sciami depredatori di mostri incravattati. Ed in tal caso non si sta certo scovando niente di più della proverbiale “america nto bagghiolu” (l’america nella bacinella), d’altronde è proprio il loro vanto che tutto ciò sarà vettore di grandi, giganti, investimenti…

Giusto, giusto, arriva l’ALTAVELOCITÅ…

…le sue stazioni, la sua esocentricità di devastazione turistica, edile, innovativa, tecnologica, digitale etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc… Un sasso in questo stagno, stagnante solo per la precisa volontà di svuotarlo, nel tempo, di ogni humus vitale, per sostituirlo ai grandi intenti e paroloni del capitalismo chissàqualenumero.zero. Dove sono arrivate le stazioni dell’alta velocità la freccia rossa del loro arco ha scoccato una pioggia di merda per interi quartieri che hanno visto la loro vita sociale, fino ad allora conosciuta, completamente stravolta; espropriata; criminalizzata; banalizzata; folklorizzata; ed, ancora, venduta al sandaluccio galoppante di turno. Flussi organizzati di persone-capitale libere di circolare, con i loro flash facili, li dove prima c’èra la vita vissuta della gente è stata scacciata a manganellate e presidi fissi di forze armate e dell’ordine. Per esempio, per esempio… persone-capitale e persone-merce; delle industrie, dei prodotti, dei prezzi. Cosa accade se i prodotti sono le persone?! se le industrie sono galere?! se i loro profitti, invece, il nostro costo?!

Quanti cantieri collaterali travolgeranno ancora ed ancora le nostre vite? Collaterali in un duplice significato; da un lato certamente quanto appena scritto giusto qualche riga fa; dall’altro lato, un territorio, attraversato da equilibri geologici e quant’altro di certo non garantibili da sti trapanatori di montagne, che già da tempo manifesta il suo inesorabile moto verso le valli, quando piove, quando trema, in ogni momento in cui vive. Le manacce di sta gente frugano e frugano, lasciandosi dietro poltiglie di non-vita, devastazione garantita,  fanghiglia velenosa che continua a caderci addosso inesorabilmente.

Per circa due mesi, in maniera continuativa, da questa fanghiglia, delle persone hanno intrecciato respiri, alcune volte aliti alcolici, sbuffate di fumo e di sconforto, spesso. Ma cosa ci ha impedito di esservi? Cosa ci ha impedito di respirare a pieni polmoni anche nel mezzo di quest’area sulfurea e sorvegliata? 

INCONTRIAMOCI, ADESSO, TUTTX QUANTX ANCORA UNA VOLTA PER LE STRADE!!! INCONTRIAMOCI SABATO 1 MARZO A MESSINA, A PIAZZA ANTONELLO!! SQUARCIAMO IL SILENZIO DELLA NOIOSA PROVINCIA!!! CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO!!! TORNIAMO INSIEME IN CORTEO!!! 


IL PENSIERO VA SEMPRE A CHI RESISTE ALL’INVASIONE DELLA PALESTINA; A CHI LOTTA CONTRO QUALUNQUE FORMA DI REPRESSIONE E SOFFOCAMENTO; A CHI DANZA CON IL FUOCO; A CHIUNQUE EVADE DA QUESTA GABBIA! 


 

da: .na qua-l- Cuno qua -lun- quE

 


VOLI LA CIVETTA Alfredo M. Bonanno Discussione e testimonianze sul movimento anarchico degli anni ’60 ’70 ’80

//CATANIA// PALESTRA L.U.P.O. //  4 MARZO H 17.30

VOLI LA CIVETTA
Alfredo M. Bonanno

Discussione e testimonianze sul movimento anarchico degli anni ’60 ’70 ’80

Se la lotta non è una meta, ma un modello interpretativo della realtà, per riappacificarci con il nostro intelletto abbiamo la necessità di conoscere la storia delle lotte nel nostro territorio. La nostra isola trattata alla stregua di una colonia; dove riversare nocività industriali, basi, armi e soldati oltre a ogni tipo di prigione, ha ormai una salda ed univoca narrazione.

La sottomissione, il disinteresse e l’indifferenza, queste le caratteristiche che regnano sovrani nella Trinacria, non sono solo un atteggiamento temporaneo legato ad uno specifico contesto, ma sono una categoria dell’anima, un tratto comune della popolazione, una tara di lombrosiana memoria. Questa tossica vulgata è strumentale, palesemente per proteggere lo Status Quo ed è fondamentale per isolare tra rabbia e impotenza qualsiasi pensiero sovversivo individuale.

Riappropriarsi della conoscenza di una Sicilia ribelle e indomabile non è assolutamente da ritenere come risolutivo, ma è senza ombra di dubbio concime per le teste che nascondono un seme di ribellione, che altrimenti potrebbe non germogliare mai.

Nel giorno in cui Alfredo Maria Bonanno avrebbe compiuto 88 anni ci sembra doveroso cogliere l’occasione per parlare di un eccezionale figura anarchica e del suo contesto.

Prolifico autore che ha scritto più di 150 opere tradotte in decine di lingue, non ha mai smesso di mettere il suo pensiero e il suo corpo al servizio della libertà, senza aver avuto mai paura di perderla. I suoi continui studi ed interventi sui metodi e le strutture organizzative anarchiche, in un modo o in un altro, hanno influenzato nella sua interezza l’odierno pensiero anarchico; rimanendo per lo più sconosciuto nel territorio dove è nato, ha passato la sua giovinezza e soprattutto, ha dato luogo alle sue prime battaglie. Nostra intenzione è recuperare questo passato attraverso le testimonianze di chi, quelle battaglie, le ha vissute in prima persona prima che cadano nell’oblio, rafforzando il mito della Sicilia impassibile e inerte a qualsiasi moto di rivolta.


VERSO IL CARNEVALE NO PONTE

 

VERSO IL CARNEVALE NO PONTE!


 Ci vediamo Venerdi 21 Febbraio dalle ore 17:00 al CSOA Cartella (Via Quarnaro, 1, Gallico, Reggio Calabria).

Lo Scirocco soffia prepotente sullo Stretto, profumi dal Sud del mondo, il passaggio. Ecco cosa siamo, passaggio, attraversamento, ricco di spore, il cammino di chi passa è prolifero di nuovo, di non stabilito.
Quanto vorrebbero fare carcasse di noi tuttx?! Ma noi balliamo e ci intrecciamo come il vimini che trasporta il pasto per persone fuggiasche tra le campagne. La nostra danza macabra del tutto nuovo, fulmine nel loro ciel sereno.

 

Strofe, rime, bassi e passi.

“L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO È LA SOLIDARIETÅ TRA INSORTX.”

Attraversiamo lo Stretto, afferriamo il passaggio, muoviamoci insieme verso danze sfrenate, esagerazioni, maschere, trucchi ed infinitamente indefiniti stupori.


APPUNTAMENTO PER TRAGHETTARE INSIEME DA MESSINA ALLE ORE 16:00 AGLI IMBARCHI DELLA CARONTE\\

DALLE 17:00 SERVIZIO NAVETTA PER CHI VIENE DALLA SICILIA (PER INFO SCRIVERE @carnevalenoponte OPPURE @csoa_cartella__ )

 

-Dalle 17: allestimento banchetti ed a seguire  assemblea “verso il carnevale No ponte” (che si terrà a Messina l’1 Marzo alle ore 15. Punto di concentramento Piazza Antonello).

-Dalle 21 live rap con: @cyborganafem @moskella_aka_moskillz @skilla___ @malatommi

-A seguire dj set con: @cr.u.do @mimmo_pompadour @mari_j_vocab @xv_xlxv

VOLETE INONDARCI DI CEMENTO…MA SARÅ LA NOSTRA RISATA CHE VI SEPPELIRÅ


CORTEO “CARNEVALE NO PONTE”/ SABATO 01 MARZO/ MESSINA

MESSINA// CORTEO// SABATO 01 MARZO!

L’ombra del ponte è già qua: espropri, cantieri propedeutici, depositi di scorie, propaganda, sottrazione di risorse, decreti legge per aggirare prescrizioni e per reprimere il dissenso… Il ponte è il simbolo di un’idea di progresso che se ne infischia delle nostre vite: estrae valore dai territori a costo di devastarli, li sottrae ai bisogni e ai desideri degli abitanti… per far guadagnare i pochi soliti noti.

Per ribaltare questo scenario e far sì che non si ripresenti mai più, abbiamo bisogno di capovolgere prospettive, ricontattare energie, immaginare mondi nuovi, creare relazioni differenti.

E allora… CARNEVALE!

Da sempre festa popolare, eretica, liberatrice, che dissacra, rovescia, si fa beffe del potere, la festa del tempo che tutto distrugge e rinnova!

…un carnevale per difendere lo Stretto, un carnevale per esorcizzare i mostri del profitto, un carnevale di festa, un carnevale di lotta!

Volete inondarci di cemento… …ma sarà la nostra risata che vi seppellirà!

STAMPA E DIFFONDI

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