COMUNICATO IN SOLIDARIETÀ ALLE PERSONE ARRESTATE PER I FATTI DEL PRIMO MARZO IN SEGUITO AL CARNEVALE NO PONTE- L’UNICO INFILTRATO: IL PONTE SULLO STRETTO

Nella notte tra il nove ed il dieci settembre, tre compagnx sono state tratte in stato di arresto, e ora sono in carcere, rinchiusx con accuse che riguardano fatti avvenuti l’uno marzo di quest’anno, durante il Carnevale “No ponte, contro WeBuild e in solidarietà al popolo Palestinese”. Altrx compagnx, invece, sono statx perquisitx.

Le veline delle guardie confermano quanto emerso sui giornali nei giorni successivi al carnevale NO Ponte: già allora, immaginiamo su indicazione sbirresca, ci si scagliava contro “lx facinorosx arrivatx da fuori”.

Questo viene confermato dai tre arresti “cautelari” e dalle perquisizioni ai danni di compagnx pugliesi e di unx compagnx di Varese. 

D’altronde si sa, fin dai fatti di Genova nel 2001, che nella narrazione del dominio il dissenso e la conflittualità provengono sempre da corpi estranei al “territorio”, che lo attraversano solo per seminare devastazione e terrore.

Chi ha attraversato quella piazza sa che non è così: e da questa narrazione tossica vorremmo liberarci una volta per tutte, provando a restituire quello che i corpi in tensione verso la libertà hanno provato e agito per le strade di Messina l’uno marzo di quest’anno.

Due compagnx sono accusatx di lesioni gravissime, insieme – questo per tuttx e tre – a imbrattamento, concorso e resistenza aggravata nel corso di pubblica manifestazione. 

Ma la verità è che questo succede quando gli sgherri difendono i luoghi del potere: il primo marzo, su Viale Boccetta, la Digos difendeva la caserma dei carabinieri, respingendo chi si opponeva a chi stava a protezione di un luogo che viene usato per perpetrare soprusi, sopraffazioni e abusi. Allora le cariche, i manganelli, che si stoppano quando il corteo (bloccato all’incrocio dalle diverse camionette) viene fatto ripartire. Poi viene inscenata una corsa folle, perché lx manifestanti scendono la strada, alla cui fine è ubicata la guardia costiera, altro simbolo da difendere viste le morti in mare, visto che il Mediterraneo è stato trasformato in un cimitero. Un digossino cade, viene colpito, ma non è il solo: nella corsa per raggiungere il collega, colpiscono con due manganellate unx compagnx e un’altrx da quella corsa viene spinta a terra e travoltx. La prognosi per lo sbirro, che oggi porta all’arresto e alle accuse di “lesioni gravissime”, è di 135 gg per una spalla rotta. Verrebbe da ridere se non fosse vero, e se non fosse che alla terza persona arrestata viene contestata resistenza quando a fine corteo si inscena una caccia all’uomo per le vie del centro, a corteo finito.

《I padroni delle città, sempre più piene di telecamere indiscrete, sorvegliano ogni nostro passo a tutela del privilegio, prospettano il peggio (…) tribunali come sale operatorie e dopo la condanna, loculi del diametro di uno sputo, al cui interno sorprendere vite umane in nome della loro manifesta o potenziale pericolosità.》

(Estratto dall’opuscolo “non è forse questa guerra?!”)

L’UNICO INFILTRATO E’ IL PONTE

WeBuild, azienda che si occuperà della distruzione dello Stretto di Messina, ha all’attivo 61 cantieri, tra cui il raddoppio ferroviario Catania-Messina-Palermo, e negli scorsi anni ha realizzato nella base USA di Sigonella 14 edifici da adibire a uffici per uso militare e rimessaggio/attrezzaggio degli aeromobili, con specifica impiantistica radio/dati per operazioni militari aeree specialistiche.

E mentre la base viene usata con successo contro il popolo palestinese, aerei da guerra israeliani passano sulle nostre teste, e attaccano navi di solidali che si dirigono verso Gaza.

L’azienda firma nel 2023 un accordo con il DAP e il ministero della giustizia per la formazione di detenutx da “reinserire” nella società del capitale.

Webuild e il Ministero della Giustizia (tramite il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Dap) prevede la formazione e l’assunzione di detenuti per lavorare in progetti infrastrutturali, come i cantieri dell’Alta Velocità Napoli-Bari. Il progetto, iniziato a fine agosto 2025, mira al reinserimento sociale dei detenuti attraverso percorsi di formazione specialistica e lavoro, con la prima fase operativa avviata dalla Casa Circondariale di Benevento》.

La stessa sorte si augurano per il ponte sullo Stretto: che venga costruito dalle persone che hanno messo in gabbia.

Viene fatta passare come una grande operazione benefica e sociale, per abbattere i costi, creare nuovi posti di lavoro, massimizzare l’operatività dei cantieri, magari anche alleggerire per un po’ il sovraffollamento delle carceri. Ma la realtà è facile da capire: l’interesse è creare squadroni di detenutx-operaix facilmente ricattabili, che in cambio del loro sudore e del loro silenzio avranno l’occasione di uscire dall’inferno penitenziario per un po’.

E mentre a Gigi, compagno del campetto occupato di Giulianova, non è permesso di lavorare con le sue api, perché considerato “socialmente pericoloso” per lasciare i domiciliari dalla sua abitazione, i corpi dellx reclusx diventano così forza a servizio dei padroni. Perchè il “reinserimento” è buono e giusto solo se a servizio del profitto, incarnato da società come We Build, che costruisce luoghi di morte (come la sopracitata Sigonella) o che la morte la crea in prima persona, inquinando le falde acquifere da Nizza a Contesse, spargendo l’arsenico che estrae dalle montagne.

“CI TROVERETE VIVX”

Alla luce della giornata del carnevale e del dolore cui siamo sottopostx oggi, per l’arresto di tre compagnx, respingiamo con forza il retaggio che “è la conflittualità che ci mette nei guai”, conscx piuttosto che è l’unica via da percorrere. Mentre Gaza viene ridotta a brandelli, da questi ed altri padroni, mentre il popolo palestinese viene sterminato con la complicità dei governi tutti, mentre assistiamo a sempre più morti nelle carceri e nei cpr, mentre assistiamo a sgomberi di case occupate a favore delle speculazioni immobiliari (pensiamo a quelle di Remax sui territori occupati in Palestina come nei nostri quartieri), mentre comunità resistenti vengono sbattute fuori dai posti che hanno liberato dagli artigli dello stato, mentre interi quartieri vengono distrutti e lx abitanti deportatx, mentre le persone che abitano sullo Stretto perderanno la casa, il paesaggio, il luogo del “cuore”, quel minimo di ecosistema che permette di sopravvivere, mentre gli sbirri entrano a scuola a insegnare come funzionano le armi con lo scopo di addomesticare alla violenza del potere, mentre vediamo che anime come Andre, Gabri e Gui vengono strappate alle nostre comunità, siamo certx che l’unica opzione sia il conflitto contro lo stato e l’azione diretta contro il capitale ed i suoi sgherri. Poco importa se le nostre armi sono dei costumi di carnevale per sfuggire alla repressione e le vostre invece sono scudi e manganelli usati per difendere i luoghi che vorremmo vedere distrutti, non smetteremo di frapporci tra voi e le comunità che difendiamo, non smetteremo mai di sognare macerie delle prigioni, fiamme nei commissariati, fuoco nei CPR, solidarietà tra insortx, tuttx liberx.

Ci teniamo a sottolineare che qui, ed Andre, Gabri e Gui siamo certx non vorrebbero altro, auguriamo la libertà a tuttx le reclusx, da Tarek ad Anan, da Alfredo a Stecco, da Paska a Ghespe, da Juan ad Anna, a chiunque sia statx messx sotto chiave dallo stato, per mano e volontà dei suoi sgherri: FUOCO A OGNI GABBIA.

Di seguito le parole di un compagno, che facciamo nostre, di tuttx:

《E io mi vergogno di potere ancora guardare il cielo senza star riuscendo a combattere adeguatamente contro questo regno della menzogna istituita, che ogni giorno schiaccia vite viventi, tortura corpi e sensibilità, distrugge la terra. 

E per quanto le vicende collettive siano composte di una trama che eccede di gran lunga la nostra singolarità, la mia quota di responsabilità vorrei prendermela: e mi assilla il dubbio se sia stato giusto, sapendo che ci si erge – innanzi e contro – il più gelido dei gelidi mostri, organizzare a Messina un corteo per il quale era prevedibile che non ce l’avrebbero fatta passare liscia.

Ma non lascerò prendere piede a quel retaggio, più cattolico che cristiano, che interiorizza il senso di colpa invece di interrogare criticamente anche tutto ciò che lo circonda: e quindi, come ho scritto qualche giorno dopo quella manifestazione, nessun pentimento. 

Anzi: il più intenso rilancio di un’attitudine la meno rassegnata possibile alla catastrofe che tutto resti com’è, alla maledizione che il mondo dello sfruttamento, dei signori della guerra, del colonialismo e dell’estrattivismo continui così. 

Deve essere chiaro che a resistere alle cariche della polizia, quel giorno, sono state le prime file del corteo e non certo tre isolate teste calde: personalmente, anche se a un certo punto ho abbandonato il campo di battaglia per andare a gridare dal camion (che non accettavamo che la polizia facesse il bello e il cattivo tempo in un territorio nel quale a webuild era stato consentito di avvelenare i polmoni e le falde acquifere da Nizza a Contesse), ho preso una manganellata in testa che se non avessi avuto il casco mi avrebbe fatto molto male – e se c’è una cosa vera nel linguaggio orwelliano di questura e magistratura è che le “armi” con cui abbiamo fronteggiato il tutto erano davvero “improprie”. 

Stelle filanti, bombolette e pezzi raccattati da terra di quello striscione rinforzato talmente male da essere stato sbaragliato ai primi colpi di manganello (più qualche bottiglia vuota scagliata da lontano): a fronte di scudi pistole taser e manganelli. 

(Mai pensato infatti di poter sconfiggere lo Stato sul terreno militare…)

A Guì, Gabri ed Andre vorrei poter dare fisicamente il più fortissimo degli abbracci, e far sentire loro che anche se non possiamo liberarli dalle grinfie delle guardie, e non sappiamo distruggere quelle maledette sbarre, siamo con tutto il cuore al loro fianco.

(Come riuscirci? Personalmente, oltre a chiedere a chi legge, se può e vuole, di scrivere loro – perché la solidarietà è l’unica arma che non potranno mai scipparci dalle mani e sradicarci dalle viscere – mi sento di dire che cercherò di non conciliarmi mai, o comunque battendomi perché sia il meno possibile, con il sistema di apparenze allestito ogni giorno per educarci a disvedere e a non ribellarci.)

“Solo la generosità della vita che si vuole e che non sa di calcoli e prudenze può, ad ogni strappo, aprire di un poco le maglie della catena. Ogni caduta, individuale o no, è stata perché ha portato avanti, di un passo.”

In mezzo ai momenti di disperazione buia, cercherò sempre di non smarrire la gratitudine verso la vita che mi ha fatto incontrare le compagne e i compagni di lotta. E di essere il più all’altezza possibile di quel che ho avuto la fortuna di sentire e imparare nelle interazioni con loro.

“Bisogna fare profezie; si arrangeranno poi loro a compiersi”, scriveva John Keats a un amico.

E proviamoci dunque: 

Palestina libera

No ponte

Fuoco alle galere: liberx tuttx》


PER ESPRIMERE SOLDIARIETÀ ALLX RECLUSX :

-Guido Chiarappa

C/o Casa Circondariale di Varese, 

Via Felicità Morandi, 5, 21100 Varese (VA).

-Gabriele Maria Venturi

C/o C.c. di Napoli Poggioreale “Giuseppe Salvia”

Via nuova Poggioreale 167, 80143 – Napoli (NA)

-Andrea Berardi

C/o C. c. di Potenza “Andrea Santoro”

Via Appia 175, 85100 Potenza (PZ)


Per il sostegno economico è possibile mandare dei contributi alla cassa anticarceraria caricando la postepay numero 4023601012012746 intestata a Daniele Giaccone (causale: solidarietá NOPONTE). Per contattarci scrivere a: vumsec@canaglie.net 


SCARICA-STAMPA E DIFFONDI!!!!!!!!!


Sugli arresti (molto)post-Carnevale

Ieri ci siamo svegliate con una brutta notizia: 3 compagnx venutx a sostenere la lotta NOponte alla manifestazione del Carnevale del 1 marzo sono state arrestate nella notte (tra 9 e 10 settembre), e diverse hanno subito fermi e/o perquisizioni.

Per le notizie che abbiamo, le persone arrestate sono accusate, tra le altre cose, di resistenza, danneggiamento, imbrattamento, e due anche di lesioni.

Non ci stupisce ma come sempre ci colpisce la svergognata e pretestuosa narrazione del potere, che ha iniziato a farsi strada sui giornali con articoli tutti uguali, dai termini altisonanti, che riportano (evidentemente dalla velina della questura) la “progressione criminosa” del corteo, i comportamenti “trasmodanti la libera manifestazione del pensiero”, nonché la notizia (finora a noi sconosciuta) che un secondo poliziotto, l’1 marzo, abbia subito lesioni mentre identificava unx dex fermatx.

Come al solito, l’evidente squilibrio di potere, anche mediatico, viene utilizzato per ribaltare e normalizzare la realtà dei fatti.

La violenza, psicologica e fisica, messa in atto dalle forze dell’ordine il giorno del corteo (con la militarizzazione del centro città, la diffusione del panico tra le passanti, minacce e percosse alle manifestanti, cariche spettacolarizzate col corteo bloccato), ma anche nei giorni precedenti e in quelli successivi (in cui loschi figuri giravano per le città siciliane a chiedere alle persone se riconoscessero qualcuno nelle foto del corteo che avevano sul cellulare) viene totalmente normalizzata.

Così come viene normalizzato che per trovare il capro espiatorio da esporre alla pubblica gogna, l’1 marzo, reparti della celere siano stati fatti girare, a corteo finito, nelle strade della movida cittadina e fatti irrompere nella galleria Vittorio Emanuele, luogo chiuso e pieno di adolescenti che si facevano il sabato sera.

Così come è normalizzata la violenza che quella sera, quando due persone sono state “finalmente” fermate, è stata utilizzata per tentare di intimidirle, denigrarle, spaventarle…
E sarebbe da ridere se non fosse così schifoso, che proprio chi ha minacciato di sparare, chi ha ficcato la paletta in bocca durante il trasferimento in questura, chi ha negato di chiamare un avvocato e persino di bere dell’acqua, adesso accusi la sua prigioniera di avergli fatto violenza.

Non ci dilunghiamo oltre… non perché manchi materiale, ma abbiamo già scritto una dettagliata cronaca del teatrino messo in campo dalle istituzioni a ridosso del corteo (lo si può leggere QUI).

Dalle notizie che ci sono giunte, anche gli arresti, i fermi e le perquisizioni di ieri sono state all’altezza della violenza, della negazione dei diritti e della prepotenza già mostrate durante i giorni di marzo. Riportiamo alcuni resoconti diffusi dax compagnx QUI.

È utile ribadire, anche se dovrebbe essere scontato, che non faremo un passo indietro.

È altrettanto scontato (ma necessario ribadire) che rifiutiamo qualsiasi logica di “infiltrati venuti da fuori”: sentire l’ingiustizia sulla propria pelle, ovunque e a chiunque succeda, e mettersi in gioco per portare solidarietà e supporto è la base di ogni sensibilità per la vita.

Gli infiltrati sono ben altri…

Dalle cariche di polizia, ci teniamo inoltre a chiarire, si è difesa con determinazione (e ha difeso lx presentx) buona parte del corteo, non soltanto tre persone, che sono state estratte a caso dal mucchio e a cui sono state addossate tutte le responsabilità della resistenza.

È chiaro che le istituzioni tutte hanno deciso, già dall’inizio dell’anno, che la lotta NO ponte e in particolare le sue frange più determinate debbano essere il grande mostro da sbattere non solo in prigione ma anche in prima pagina per fare propaganda repressiva e lanciare un chiaro segnale: state zitte.

Non smetteremo di evidenziare, attaccare, difenderci dalla violenza delle istituzioni con i mezzi che abbiamo a disposizione.

Non smetteremo di difendere le nostre terre, le nostre compagne, le nostre vite.

Con i cuori stretti intorno alle arrestate, alle perquisite e alle intimidite.

Non vincerete mai.


Arresti e perquisizioni relativi al Carnevale NOponte

Apprendiamo che nella notte (tra il 9 e il 10 settembre) tre compagnx sono statx arrestatx in merito ai fatti del Carnevale NOponte dell’1marzo, e diversx hanno subito perquisizioni e/o fermi.

Riceviamo e diffondiamo alcuni resoconti della nottata.

*** *** *** da Bari 10/09/25 *** *** ***


Nella sera tra il 9 e il 10 settembre, in un piccolo paese della provincia di Bari, alcunx compagnx, hanno ricevuto la notizia dell’arresto di altrx tre compagnx G., A. e G. Questx, infatti, erano statx arrestatx rispettivamente a Napoli a Bari e a Varese, tuttx con molteplici accuse relative al corteo “Carnevale No Ponte” avvenuto a Messina nel marzo 2025.
Una volta ricevuta la notizia, lx compagnx hanno deciso di incontrarsi in una casa privata. Intorno alla mezzanotte, poco dopo aver raggiunto l’abitazione, lx compagnx hanno sentito bussare violentemente e ripetutamente alla porta. Sei agenti della DIGOS hanno intimato di uscire velocemente dall’abitazione. Una volta fuori hanno specificato di avere un mandato di perquisizione per la compagna S.
S. assieme ad un altro compagno sono statx caricatx nelle macchine della DIGOS e condottx all’abitazione dove risiede S.
Una volta entratx nell’abitazione, gli agenti della DIGOS sono raddoppiati. Inoltre è apparso evidente fin da subito che la metà degli agenti non proveniva da Bari. Come si legge dalle carte, sei di loro provenivano da Messina e l’obiettivo della perquisizione, oltre alla chiara intimidazione, era quello di recuperare materiale inerente alle indagini contro lx compagnx arrestatx. L’atteggiamento della DIGOS è stato quello di sempre, arrogante, violento e prevaricatore. L’abitazione è stata completamente rivoltata per sequestrare, oltre a due maschere di carnevale, dei poster e degli opuscoli di stampa anarchica. Intorno alle 01.30, dopo la perquisizione S., assieme ad un altro compagno, è stata portata nella questura di Bari per degli accertamenti, effettuare le foto segnaletiche e depositare le impronte digitali. S. ed il compagno che l’aveva accompagnata sono statx lasciatx liberx di andare solo dopo le 5 del mattino.

Al momento G. si trova nel carcere di Poggio Reale a Napoli, A. nel carcere di Bari e G. nel carcere di Varese.

Queste intimidazioni da parte dello stato non ci spaventano. Non faremo mancare la nostra solidarietà allx nostrx compagnx detenutx.

FUOCO AD OGNI GABBIA!
SIAMO TUTTX NO PONTE!

*** *** *** da Varese 10/09/25 *** *** ***

“NON È UN FILM” – UN’ALTRA OPERAZIONE SBIRRESCA CHE IRROMPE NELLE NOSTRE CASE

Verso la mezzanotte di martedì 9 settembre, una decina di sbirri, tra cui qualche faccia nota della digos di Varese, è entrata nella casa di un nostro compagno.
Hanno circondato le persone presenti intorno al divano obbligandole a stare sedutx e hanno subito ritirato i telefoni che hanno trovato in giro, senza dare informazioni o mostrare alcun mandato. L’unica informazione comunicata era che si trattava di notificare un avviso di garanzia.

Hanno iniziato una perquisizione superficiale della casa, distraendo dai loro movimenti le persone presenti e intimando loro di stare fermx, pertanto la perquisizione è avvenuta senza che nessunx compagnx potesse sincerarsi di cosa stesse avvenendo nelle stanze accanto.

La richiesta di poter contattare unx avvocatx è stata negata subito: “Non è un film”, hanno risposto.

La sbirraglia si è mossa indisturbata fra tutte le stanze della casa, senza comunicare nulla di quanto preso e lasciato.
Hanno chiesto a Guido tutti i suoi altri dispositivi, sequestrando computer, tablet, un altro computer e il telefono.

Dopo essersene appropriati, hanno detto a Guido che doveva andare in questura con loro.
Inizialmente sembrava fosse solo per verbalizzare la perquisizione, ma alla richiesta di spiegazioni non davano risposta. Gli hanno poi detto di preparare una borsa con dei vestiti, aggiungendo in seguito che doveva portare cinque cambi con sé.
Le motivazioni su quanto stava accadendo venivano date solo in seguito alle azioni, con modalità confuse e arroganti.
Alla domanda sul perché dovesse essere portato in questura e passarci la notte, due degli sbirri presenti si sono fatti riconoscere, chiedendogli se si ricordasse di loro. Il compagno non ricordava, quindi, scambiandosi prima uno sguardo e poi la domanda “glielo diciamo?”, gli hanno rivelato di essere gli sbirri di Messina e gli hanno consegnato il foglio con le accuse (violenza) che hanno portato al suo arresto.

Queste sono riferite ai fatti avvenuti durante e dopo il corteo NoPonte di marzo. Hanno aggiunto la frase “il collega ha ancora il braccio rotto”. Per queste accuse hanno proceduto con la notifica dell’applicazione di una misura cautelare. Non siamo riuscite a leggere che tipo di misura nello specifico.
Al momento Gui si trova nel carcere di Varese: sappiamo che dovrà rimanerci perché entro cinque giorni gli verrà fatto un interrogatorio di garanzia.

Evidentemente ci vien da aggiungere che se da Marzo il braccio del collega è ancora rotto, probabilmente “era già così”.

Sappiamo anche che ci sono altrx due compagnx coinvoltx in questa operazione repressiva. Arrestatx a Napoli e Bari, attualmente detenutx al carcere di Poggioreale e di Bari, a seguito di perquisizioni in casa e la notte passata in questura. A loro va tutta la nostra solidarietà.

SOLIDARIETÀ A GUI BAK E ANDRE

L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORTX

Per scrivere:

Casa Circondariale di Varese
Via Felicità Morandi, 5
21100 Varese (VA)
NOME COGNOME

Gabriele Maria Venturi
C/o C.c. di Napoli Poggioreale “Giuseppe Salvia”
Via nuova Poggioreale 167, 80143 – Napoli

Andrea Berardi
C/o Casa circondariale di Bari “Francesco Rucci”
Via Alcide De Gasperi 307, 70125 – Bari

*** *** *** da Napoli e Bari 12/09/25 *** *** ***

STATO ZEBBI: ARRESTI E PERQUISIZIONI A BARI E NAPOLI PER IL CARNEVALE NO PONTE DI MESSINA

Il 9 settembre alle ore 20 G scende da un bus a Napoli insieme ad una compagna e mentre prendevano gli zaini sono statx accerchiatx da 6 digossini e 3 poliziotti.I digossini chiedono i documenti ad entrambx dicendo che è un normale controllo di polizia, lx compagnx fermate riconoscono due Digos di Bari che negano di conoscerli e sapere di cosa si tratta.Dopo pochi minuti dicono che G. doveva salire in macchina con loro per essere portato in questura, per una notifica. G chiede di chiamare l’avvocato e gli viene negato dicendo che se ne occuperà direttamente la digos, una volta in questura G. decide di chiamare e gli viene sequestrato violentemente il telefono, lo stesso succede alla compagna.

Gli sbirri insistono per andare in questura, per una notifica erogata dalla questura di Lecce a G., e la compagna richiede di andare insieme per avere informazioni su cosa sta succedendo.

Dopo lunghe tarantelle e intimidazioni, vengono perquisitx e portatx in questura in due macchine diverse.

Una volta arrivatx G. è portato in una stanza assieme ai digossini, e la compagna viene accompagnata nell’ufficio di un’ispettrice. Passano 6 ore nelle quali nessunx dice niente alla compagna, che piu volte chiede cosa sta succedendo, quanto tempo ci vuole, se puo vedere G. All’ una G informa la compagna di essere in arresto per fatti relativi al Carnevale No ponte di Messina, senza aver ancora mai parlato con il suo avvocato e senza sapere di cosa è accusatx. Dopo poco viene ammanettato e portato in carcere a Poggio reale.

Non ci bastava la digos di Bari mo’ pure quella di Messina.

Alle 22.30 del 9 settembre A. usciva da un locale con due persone e fin da subito sono state notate due macchine appostate lì nei pressi. Erano auto della digos che prontamente si sono accodate alla macchina in cui c’era A. e l’hanno accerchiata: una davanti, una dietro e una terza sul lato.La digos a quel punto ha dichiarato che si trattava di un normale controllo di polizia smentendosi, però, subito dopo perché hanno comunicato che avrebbero portat A. in Questura per una semplice notifica, sequestrandogli il telefono e impedendogli di sentire l’avvocato. Hanno detto ax compagnx di non preoccuparsi perché sarebbero stat avvisat una volta in Questura e che avrebbero telefonato loro all’avvocato. Pare, inoltre, che la rimessa in moto della macchina sia stata rallentata per evitare che questa seguisse l’auto in cui c’era A.

Scopriamo poi che invece di essere portat in Questura A. ha subito due perquisizioni: una nell’abitazione di residenza e l’altra nel domicilio. Le informazioni che abbiamo relativamente alla seconda è che, oltre ad esserci stati 5 digossini più l’avvocato d’ufficio, sono stati visionati gli spazi comuni, hanno provato a guardare dentro la stanza di uno dei coinquilini e sono stati sequestrati dei telefoni, un computer, un quaderno e delle bombolette spray.

In più durante la perquisizione è stato detto ad A. di portare dei cambi con sè perché sarebbe stat portat in carcera non prima però di passare la notte in Questura e fotosegnalazione in Commissariato.

L’unica informazione ufficiale che riceviamo è alla mattina, ben dopo 12 ore dal “normale controllo”, dall’avvocato d’ufficio che ci informa del trasferimento di A. in carcere.

Oggi è fissato l’interrogatorio di garanzia e ieri pomeriggio ci sarebbe dovuta essere una chiamata con l’avvocato, ma questo non è avvenuto. A. è da due giorni in custodia cautelare e ancora non ha potuto confrontarsi con il suo avvocato.Ieri mattina ci svegliamo con la notizia che A. è stat trasferit a Potenza e non ci risulta difficile pensare che la motivazione altro non sia che allontanarl da compagnx e amicizie..

Non sarà questo a fermare la solidarietà e la rabbia.

Restiamo vicinx allx compagnx arrestatx, in quella piazza c’eravamo e continueremo ad esserci, unite contro il ponte, a difendere con i nostri corpi ed i territori colonizzati vittime di devastazione e soprusi.

La mattina dell’11 A. è stato spostato al carcere di Potenza, pensiamo come forma di punizione a seguito del saluto di solidarietà portate da alcunx compagnx sotto il carcere di Bari la sera del 10. Durante il saluto c’era come usanza un dispiegamento di celere e digos, che ha più volte minacciato lx compagnx di denunciarlx.

Mostrare solidarietà è fondamentale, non lasciare mai sole compagni vittime della violenza repressiva dello Stato.

FUOCO ALLE GALERE, TRIBUNALI E MAGISTRATITUTTX LIBERXHURRYIASOLIDARIETÁ ALLX COMPAGNX RECLUSXIL PROGRESSO CI DISTRUGGE,DISTRUGGIAMO IL PROGESSO


“IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO”; “CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE”

Riceviamo e diffondiamo da Materiale Piroclastico

IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO

“Un silenzio assordante, di quelli che fanno un rumore, circonda il complesso penitenziario Bicocca di Catania. Un silenzio che fa salire la rabbia e chiede vendetta. Sì perché quel silenzio è carico di odio, di ingiustizia, di isolamento e repressione. Dentro quelle mura esterne, si trovano, separati ma assieme, reclusx giovani detenutx e detenutx in alta sicurezza, anime che condividono sotto regimi diversi la stessa tortura, quella dello Stato.” Il carcere di Bicocca a Catania è un luogo disumano, e per la prima volta, il 13 Aprile del 2025, solidali hanno rotto l’isolamento di questo luogo: (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/04/15/catania-saluto-al-carcere-di-bicocca/)

Per farlo, in preparazione, sono state scritte queste pagine che raccontano, attraverso testimonianze e dati raccolti, la vita all’interno di quello che ai nostri occhi risultava invalicabile e disumano; queste racchiudono la sofferenza e l’unione di due luoghi, difatti il Bicocca, diviso solo da un muro di cinta, tiene insieme un carcere minorile ed un carcere ad alta sicurezza. Prevaricazione, razzismo, violenze, somministrazioni di psicofarmaci e repressione, quello che stato e guardiani hanno scelto di collocare fuori città, a ridosso della zona industriale, dove adesso sorgono i cantieri di WeBuild, azienda costruttrisce del raddoppio ferroviario, della ristrutturazione di aree di sigonella e non ultima azienda che si è assicurata la costruzione del ponte sullo stretto. La stessa che nel 2023 ha firmato un protocollo d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) per favorire il reinserimento sociale e lavorativo dellx detenutx attraverso l’assunzione e la formazione. Accordo che mira a creare nuove opportunità di sfruttamento per lx reclusx, combinando il supporto professionale con lo sviluppo delle infrastrutture. Quella volta, da alcunx solidali, è stato urlato: “torneremo”. Il motivo per la quale si diffonde questo testo è nella speranza di rendere accessibile a tuttx la rottura dell’isolamento a cui sono costrettx adultx e minori.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RIMANGANO ALTRO CHE MACERIE

Catania, aprile 2025


CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE

“C. detenuta nel carcere di Piazza Lanza racconta una prassi abominevole perpetrata dai guardiani, esseri dalla quale ci asteniamo da giudizi in quanto i loro gesti non si qualificano come tali. Una volta che si viene tradotti in un altro carcere, senza alcun preavviso e senza alcuna informazione su dove si andrà a finire, i secondini ti buttano dentro la cella due sacchi della spazzatura dicendoti “preparati”. Questa prassi viene condita da frasi che paragonano le detenute a spazzatura: “un po’ di immondizia è andata via, ora vediamo quale altra immondizia arriva”. Ma “non siamo dell’immondizia siamo delle persone umane che abbiamo sbagliato”. Il carcere di Piazza Lanza, nel pieno cuore di Catania, dopo tanti saluti effettuati dai solidali (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/03/13/catania-saluto-al-carcere-piazza-lanza/) è stato passaggio fondamentale della mobilitazione scesa in piazza il 17 maggio contro il DL 1660. Affinchè tuttx le persone che attraversassero quel luogo fossero consci delle violenze che ogni gabbia ripropone sui corpi dellx reclusx, sono state scritte queste pagine, che qui diffondiamo. Fondamentali, oltre ai dati raccolti, sono state gli ascolti di chi c’è stato dentro, come C. che in un’intervista radio ha raccontato le violenze che i guardiani perpetrano alle donne recluse nelle sezioni di questa prigione. Ad oggi il carcere conta un sovraffollamento tra i più alti in Italia, le reclusx battono ed urlano dalle finestre: “siamo stanche di stare qui”. Difatti, una delle lamentele che più torna, sia dai racconti, sia dai saluti effettuati è lo totale inesistenza di attività, ed il tempo scorre lento segnando di fatto irremidiabilmente la vita di chi è reclusx. Nella speranza che saluti e mobilitazioni continuino a toccare questo luogo disumano, diffondiamo queste pagine affinché possano essere strumento per rompere l’isolamento, e portare solidarietà e vicinanza a chi si sente solx.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RESTINO CHE MACERIE

Catania, maggio 2025


20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO:

20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!
SOLIDARIETA’ DA ROMA CON LA LOTTA ANTIFASCISTA IN OGNI DOVE!


Dal 1997, ogni anno, in Ungheria i nazionalisti dell’estrema destra provano a commemorare i soldati ungheresi e tedeschi che morirono nell’assedio realizzato dall’esercito sovietico a Budapest nel 1945, annichilendo quasi 30.000 soldati nazisti – un giorno nominato come “il giorno della gloria” dai neofascistidei nostrigiorni. In questo contesto i gruppi più forti della destra hanno sempre accolto estremisti fascisti da molti paesi, superando le 2000 visite, rendendolo uno dei raduni neofascisti più grande e importante della scena europea. A Budapest, l’uso di simbologia autoritaria è sempre stato tollerato meglio rispetto ad altre capitali europee, all’interno della retorica della “conservazione della tradizione”. Negli ultimi anni si è registrata la partecipazione di numerosi fascisti con le uniformi delle SS o della wehrmacht con svastiche annesse. Secondo la legge vigente, qualsiasi celebrazione che minimizzi i crimini fascisti non è consentita, tuttavia questi raduni si sono svolti non solo nella totale impunità, ma anche con la piena tutela garantita dallo Stato protofascista ungherese.


Nel periodo andato dal 9 all’11 febbraio del 2023, ci sono stati diversi scontri con nazisti, alcuni dei quali molto ben coordinati, al margine dell’evento. Gli interventi antifascisti hanno messo bene in chiaro che i fascisti non possono portare la loro propaganda revisionista per le strade di Budapest senza essere disturbati o affrontati direttamente. Però questi interventi e azioni antifasciste hanno avuto come conseguenza l’arresto di alcunx compagnx. È questo il contesto in cui Maya, una compagna antifascista tedesca, è stata arrestata in modo violento nella casa dei suoi genitori nel marzo 2023, estradata in Ungheria alla fine di giugno del 2024, a dimostrazione della complicità protofascista dei due stati e del risultato dell’ “implacabile lavoro” dello stato ungherese nell’opprimere e perseguitare persone queer e antifasciste. Da allora si trova lì, in regime di isolamento, accusata di aver partecipato agli attacchi ai danni dei nazisti.


Dal 5 giugno 2025 è in sciopero della fame, in protesta contro le condizioni inumane cui è stata sottoposta nell’ultimo anno, carcerata in un contesto che non riconosce la sua identità queer – la quale è trattata come una brutta malattia infettiva:
“Non posso sopportare le condizioni di detenzione in Ungheria. Per tre mesi la mia cella è stata videosorvegliata costantemente. Per sette mesi ho dovuto indossare sempre le manette fuori dalla mia cella – e a volte anche dentro la cella”.


Il 20 giugno 2025 è stata rigettata la sua richiesta di detenzione domiciliare e resta quindi in Ungheria e in sciopero della fame. Le notizie riguardo il suo sciopero della fame si possono trovare qui: https://www.basc.news/category/tagesbericht/

In Ungheria rischia 24 anni di carcere.
Lo Stato ungherese conduce da molti anni una caccia serrata allx antifascistx, in cui lo stato tedesco non solo è complice, ma mostra apertamente la propria agenda fascista. Mentre da un lato gli assassini della destra estrema vengono classificati come mentalmente infermi e trattati con leggerezza, la cassetta degli attrezzi a disposizione degli assassini dello Stato per dare la caccia allx antifascistx clandestinx e perseguitare lx arrestatx è in continua espansione. Non è certo una coincidenza che l’NSU abbia potuto vagare per la Germania assassinando sistematicamente persone razzializzate indisturbata per dieci anni, che gli estremisti di destra abbiano potuto commettere crimini di massa come incendiare case di rifugiati, attaccare dissidenti e allo stesso tempo accumulare armi, e che solo raramente siano stati affrontati con la repressione statale, mentre tutti i tentativi della sinistra di organizzarsi e resistere sono stati criminalizzati e meticolosamente perseguitati.
In procedimenti come quello del complesso di Budapest, la polizia indaga la formazione di una organizzazione criminale in virtù dell’articolo 129. Questa accusa, facile da formulare per la polizia, apre allx investigatorx tutto il repertorio di mezzi di sorveglianza: perquisizioni domiciliari, controllo, intercettazioni telefoniche, uso di videocamere, dispositivi di localizzazione e investigatorx sotto copertura. Le reti sociali della sinistra radicale vengono indagate attraverso procedure di indagine strutturate, in base alle quali la polizia è inizialmente interessata a chiunque sia associato ai sospettati. Un altro compagno, attualmente in custodia cautelare a Norimberga, è stato recentemente accusato di “tentato omicidio” nel tentativo di fare pressione sui clandestini con accuse esagerate.


Risulta chiaro, ancora una volta, come l’autorappresentazione degli stati non corrisponda con la realtà delle loro azioni e come le loro agende non facciano altro che implementare ulteriormente i programmi fascisti e servire la classe dominante. Tutti gli stati, le loro concezioni di legge e giustizia e i loro sbirri assassini continuano ad essere i nemici di ogni popolo!


LIBERTA’ PER TUTTX – FUOCO ALLE GALERE!

La pratica antifascista è diversificata e necessaria, che sia a Berlino, Leipzig, Jena, Milano o Budapest: “Chi lotta contro i nazisti non può mai confidare nello stato”.
Esther Bejarano

TESTO ORIGINALE: https://lapeste.org/20-22-junio-jornadas-acciones-internacionales-maja/


“LARGO ALLE FACINOROSE”

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO DELLE PAROLE CIRCA ALCUNE MOBILITAZIONI DI MAGGIO CHE HANNO ATTRAVERSATO L’ISOLA E LA PENISOLA:

“LARGO ALLE FACINOROSE

Le manifestazioni individuali sono sorrette da un percorso collettivo.

Quando lo sfaldarsi di una rete è preceduto da un mettere le mani avanti; colpevolizzando a priori, una pratica manifestazione del proprio dissenso, da tempo ormai palesata e principio cardine di un percorso collettivo; ti rendi conto di quanto la sua colpevolizzazione sia una manovra precedentemente pensata e voluta, quanto sia una disintegrazione interessata..

E viene meno il principio di unione. Si utilizza la parola “prevaricazione” per giustificare la decisione di togliere la fiducia nel poter continuare a tessere una rete, che sia strumento politico in mano nostra per opporci ad una repressione statale sempre più palesata e pressante.

Ma c’era da aspettarselo, non tanto dalle compagne e dai compagni (di chi?) con cui per mesi, abbiamo deciso di costruire una lotta unitaria contro un decreto legge liberticida, ma da quella porzione di realtà politiche presenti in città che sempre hanno temuto lo strutturarsi di una percorso di lotta che non sia solamente pura rappresentazione di dissenso.

Ma si è preferito ritornare a sfilare, una passerella al fianco e complice con gli oppressori.

Largo allx fcinorosx ordunque!


COSA SONO I CPR? PARLIAMONE IN VISTA DEL PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO DEL 28 GIUGNO

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa. 

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio. 

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 



Sabato 28 giugno 2025:

-Cpr Trapani-Milo: presidio solidale h 16.00 nel prato adiacente all’ingresso;

-Messina: corteo per la Palestina (seguiranno maggiori informazioni).


PER IL TESTO DELLA CHIAMATA AL PRESIDIO: SICILIANOBORDER


LOTTA QUEER

Riceviamo e diffondiamo le parole di alcunx compagnx maturate in occasione dello Stretto Pride, che ha attraversato la città di Messina ieri, giorno 7 giugno:


‘e se la natura scrivesse e leggesse, facesse politica e copulasse nei modi più perversi, anche distruttivi? E se, nella discontinuità, nell’apertura radicale, nella metamorfosi, differenziazione, promiscuità dei suoi processi la natura fosse già sempre perversa e queer’

“Animali si diventa”, di Federica Timeto).

Ieri ( 7.06) abbiamo attraversato il ‘pride dello Stretto’ con un’urgenza diversa, quella di riappropriarci di una giornata che nasce come atto di rivolta disorganizzata, lontana dalla strumentalizzazione da parte di comitati, lontana della logiche delle istituzioni e, soprattutto, come lotta contro ogni tipo di oppressione; ci siamo mossx per ricordare (e ricordarci) che il pride nasce come pratica di disobbedienza. Lo abbiamo fatto portando con noi degli scritti che nascono da rabbia, riflessioni, letture, confronti; convinte che ogni corpo che si espone, soprattutto nel clima politico costruito attorno al nuovo decreto sicurezza, è già di per se una minaccia ai dispositivi di potere, una crepa nell’ordine dominante. Non abbiamo bisogno di permessi per esistere, né di riconoscimenti per lottare. La lotta queer e transfemminista non è un capriccio di pochx, né una battaglia isolata dalle altre. La distruzione dell’etero-cis-patriarcato richiede la messa in atto di una resistenza che si sviluppi su più fronti, non è, quindi, una ‘tematica specifica’, indipendente da altre prassi di liberazione, perché viviamo in un sistema di oppressioni interagenti, capaci di sommarsi nelle vite delle persone. ‘per le strade ci ammazzano e ci prendono a pugni e noi dovremmo cristianamente porgere l’altra guancia? Denunciarli alle stesse guardie che vengono a menarci ai cortei? Non abbiamo bisogno di essere tutelatx dallo stato, ci tuteliamo noi. Bello essere così privilegiati da pensare che esista un abbassarsi alla loro stessa violenza’ (commento di unx compagnx in seguito all’aggressione transfobica subita a Roma da 3 donne).

Pensare di rispondere alla violenza omolesbobitransfobica affidandosi alla repressione punitiva di matrice statale presenta una serie di criticità. La prigione è una istituzione che riproduce e amplifica lo stesso machismo che, nella vita di tutti i giorni, opprime le persone queer. Il carcere è uno spazio chiuso all’interno del quale vige una forte disparità di potere tra la popolazione carceraria e le guardie che la sorvegliano, disciplinano, ‘che diventano padri, preti, educatori, che si arrogano il diritto di entrare nell’intimità, di spiare il dolore, la rabbia, il modo di vestire, di camminare, di parlare. Trovano normale dirti come e quando lavarti, quanto mangiare, quanto dormire’ (da: “Carte forbici sassi, sfide da e contro le prigioni e il patriarcato”).

Il carcere è, quindi, una istituzione intrinsecamente machista, sessista e radicata in una logica etero-cis-patriarcale, e dunque troviamo illogico pensare che un detenuto colpevole di omolesbobitransfobia possa uscire dalla prigione come una persona aperta a chi non è etero-cis normato. Come ci appare contraddittorio, anche se ovviamente ne riconosciamo la necessità e l’urgenza in una società che ci isola, chiedere protezione alle stesse autorità e istituzioni che per secoli ci hanno invisibilizzatx, torturatx e uccisx; invece, ci piacerebbe pensare ad una comunità LGBTQIA che scelga di aprirsi a relazioni politiche interpersonali basate su reti di tutela reciproca e di solidarietà mutualistica dal basso. Una comunità che non si affida alla tutela simbolica di ‘padre Stato’, perché lottare per un’istruzione inclusiva e aperta alla messa in discussione della norma affettiva e sessuale non significa soltanto rendere più vivibile l’esistenza di una ‘minoranza’ della popolazione, ma attentare alle basi di un intero sistema fatto di oppressx e di oppressori, un sistema etero-cis-patriarcale, dove ciò che sta fuori dalle proprie logiche deve esse cancellato, nascosto, bestializzato, patologizzato. Se continuiamo a pensarci solo ed unicamente come altri hanno finora voluto che ci pensassimo, e cioè come ‘diversità da celebrare’, rischiamo di sottovalutare la forza che riguarda la nostra condizione e ci perdiamo tutte le sfumature del nostro immaginario.

‘THE FIRST PRIDE WAS A RIOT’, ed è stato anche multirazziale, queer, HIV+, sexworker. Il primo pride ha iniziato una rivoluzione contro lo stato, è stato costantemente anti- oppressione, qualsiasi oppressione, perché la liberazione o è totale o non è. Stonewall non fu un’espressione organizzata, guidata da organizzazioni; fu una violenta e caotica esplosione di rabbia contro la polizia, responsabile di infliggere tanta sofferenza, e fu privo dell’approvazione e direzione di alcun gruppo.

Oggi non chiediamo Stati che beneficiano della nostra oppressione: non chiediamo che cambino le leggi, ma che venga distrutto tutto il sistema. Siamo stancx di vedere le colpe spostate dalle istituzioni ai singoli, trattati come casi isolati o patologizzandoli attraverso lo stigma del malato di mente’ (con lo scopo poi di lucrare attraverso le industrie farmaceutiche e strutture detentive come carceri e ospedali psichiatrici).

Le istituzioni sono parti integranti dell’oppressione, arrestano, criminalizzano, perseguitano, molestano, uccidono e ci costringono al margine della polis (in senso sia figurativo che fisico), dove il confine della polis è sempre stato il confine dell’umano. Rifiutiamo i tentativi del capitalismo di rubare e guadagnare dal nostro movimento, di capitalizzarlo, di vedere i nostri corpi marginalizzati e criminalizzati e le nostre istanze di liberazione cementificate sotto la pietra tombale della lobby sponsorizzante di turno. Perché si, ancora quest’anno leggiamo che tra i più grandi sponsor del pride è presente la Caronte e Tourist, i boss dei traghetti che controllano l’economia di questa città da decenni, riempendola di smog e morte; con i loro progetti economico infrastrutturali che tutto hanno a cuore meno che la vita stessa. Iniezioni letali di cemento e progresso imposto si adoperano nell’immobilizzare le nostre esistenze tutte. Rifiutiamo il sistema ciseteronormativo che attribuisce il nostro valore al nostro’inserimento’, piuttosto siamo qua per rompere il binario, per abbracciare le posizioni al margine, dissidenti.

La scelta non è docile accettazione di norme cis-etero violente a cui le soggettività queer non possono aderire. ‘L’insurrezione sboccia dal semplice esistere e dal rinnegare le norme di una società a cui si è soggiogatx.’

Il pride è anche tutt lx compagnx non umane con cui lottiamo accanto, sistematicamente sfruttatx, stuprate, uccisx, oggettificatx attraverso la riduzione a carne, frammentatx e consumatx. Mai consideratx soggetti ma solo strumenti, mezzi per ottenere un fine, sia esso economico o affettivo. Anche, e soprattutto, i corpi delle non umanx sono totalmente e pervasivamente controllati, tanto da trasformare la loro esistenza in una vera e propria ‘non-vita’, privandolx della libertà di esistere indipendentemente da noi dalla loro nascita, passando per l’infanzia, la riproduzione, la socialità l’alimentazione.

La necessità è di un radicale sovvertimento dell’architettura sociale che si fonda sullo smembramento produttivo dei corpi, non umani e umani, trasformandoli in capitale umano; sulla riproduzione eterosessuale che offre così risorse, umane e non, per affermarsi storicamente e continuare a riprodursi.

‘Mettendo in gioco i nostri corpi vulnerabili, mortali e macellabili, solidarizziamo con tuttx lx oppressx per realizzare una politica di opposizione e resistenza radicali allo smembramento istituzionalizzato’ (dalla prefazione di “Manifesto queer vegan”).

Anche oggi sentiamo l’urgenza di lasciare spazio ad una voce palestinese, queer, in lotta. Non per raccontarla ma per fare silenzio e ascoltarla. Le persone palestinesi non hanno bisogno di essere da noi narrate, non hanno bisogno di essere da noi salvate. La loro resistenza è quanto di più reale oggi e noi abbiamo scelto di fare da megafono per la loro voce; perché nessuna liberazione è possibile se non è collettiva e perché ogni alleanza reale passa per l’ascolto e dalla rinuncia ad ogni forma di protagonismo coloniale.


Frammenti di una lettera di un artista queer palestinese:

‘Sono Elias Wakeem, un artista, filmmaker, performer ed essere umano queer palestinese, nato sotto occupazione e cresciuto in un sistema che non ha mai voluto che vivessi liberamente, amassi apertamente o parlassi con verità. Non sono qui per intrattenervi. Sono qui per rompere le illusioni confortevoli che avete costruito mentre noi siamo sepolti sotto le macerie del vostro silenzio. Sono nato nella Palestina del ’48 – cioè, quella che voi chiamate ‘Israele’ – con un passaporto che non ho mai chiesto, circondato da recinzioni, posti di blocco e coloni che vivono con impunità, mentre la mia famiglia, sia biologica che scelta, guarda membri in Cisgiordania e Gaza venire affamati, torturati e assassinati. Lavoro a livello internazionale come artista performativo ed educatore, eppure ovunque io vada porto con me il peso dell’essere palestinese – dell’essere sorvegliato, interrogato, sospettato e cancellato. Uso l’arte drag come strumento di disobbedienza politica. Il mio alter ego, Madam Tayoush, incarna il glamour come mezzo di resistenza – e no, non una resistenza come i vostri hashtag ripuliti e rassicuranti. Intendo la resistenza come rifiuto dell’annientamento. Intendo la resistenza come una gioia che sputa in faccia al genocidio. La mia queerness non è separata dal mio essere palestinese. Non è una contraddizione. È lo stesso grido di vita in un mondo costruito sulla morte. Suggerire che l’essere queer e il sostegno alla Palestina siano in qualche modo incompatibili non è solo ignorante – è una grottesca perversione della verità. È il sintomo di un mondo profondamente malato e indottrinato, che ha imparato ad associare la ‘libertà’ solo alle bandiere coloniali che sventolano sopra i nostri cadaveri. Si chiama pinkwashing: una strategia propagandistica adottata dallo Stato israeliano per dipingersi come paradiso dei diritti Lgbtq+, mentre copre la sua apartheid, l’occupazione e il genocidio contro i palestinesi. Il pinkwashing è la cancellazione della vita queer palestinese e la celebrazione della violenza nel nome della ‘tolleranza’.Le persone queer palestinesi esistono. Ci organizziamo, amiamo, creiamo e resistiamo. E resistiamo non solo al patriarcato locale – che, come ovunque, esiste – ma anche alla sorveglianza, ai checkpoint, alle invasioni militari e agli attacchi mirati, perché siamo palestinesi. Vorrei aggiungere un’altra cosa. L’ironia è crudele: Gaza è sotto assedio totale. Bombardata ogni giorno. La gente è stata ridotta alla fame, intere famiglie cancellate dai registri civili, ospedali rasi al suolo con personale e pazienti all’interno. Come osate chiedermi se le persone queer siano perseguitate a Gaza, come se questa fosse la domanda rilevante in un momento di genocidio? Come osa qualcuno parlare di queerness come cartina al tornasole dell’umanità – e applicarla solo quando fa comodo all’impero? Ditemi: le persone trans non vengono forse uccise per strada a Roma? Marielle Franco non è stata forse assassinata in Brasile? Le donne trans nere non vengono forse braccate negli Stati Uniti? È solo a Gaza che le persone queer non sono al sicuro – o è solo lì che scegliete di preoccuparvene, quando serve alla vostra agenda di guerra? Che tipo di schema contorto e disumano guarda un popolo massacrato e dice: ‘Beh, ho sentito dire che non sono molto gentili con i queer, quindi forse se lo meritano’? Che tipo di libertà queer è questa? Se la queerness significa qualcosa – se parla davvero di liberazione, di famiglia scelta, di rottura dei sistemi di controllo – allora non può essere cooptata dall’apartheid. Se la queerness davvero significa qualcosa deve significare stare dalla parte delle oppresse, non di chi li bombarda in nome della libertà. Non vi sto chiedendo di prendere posizione – vi sto chiedendo di svegliarvi. Di vedere attraverso la propaganda. Di chiedervi: chi trae beneficio quando la queerness viene usata come giustificazione per un genocidio? Chi guadagna quando la nostra sofferenza viene riconosciuta solo selettivamente? Se la vostra queerness viene mobilitata solo quando è politicamente conveniente per l’impero, e non quando dei bambini vengono bruciati vivi nelle tende, allora forse non è queerness. Forse è solo codardia travestita da bandiera arcobaleno. Questa non è solo una lotta palestinese. È una lotta per ciò che significa essere umani. Sosteneteci, chiedete al vostro governo di interrompere il commercio di armi in Israele. Spingete per un boicottaggio culturale e accademico totale. Non usateci come simboli, non piangere lacrime arcobaleno mentre votate per governi che forniscono gli F16, non condividete la nostra arte se ignorate il nostro sangue’

THE PRIDE WILL BE RADICAL OR IT WON’T


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

DIFFONDIAMO DA SICILIANOBORDER:


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

Il CPR di Trapani è un luogo di detenzione amministrativa, dove lo Stato rinchiude in gabbia le persone che non hanno il giusto pezzo di carta, per poi tentare di deportarle.

Come tutti i CPR è un luogo dove il regime dello Stato e delle frontiere si perpetua tramite la violenza e la tortura. I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

Perché provare a rompere l’isolamento sotto le mura del CPR di Trapani-Milo?

Le notizie che arrivano all’esterno sono di un luogo che tenta in ogni modo di sotterrare le voci che urlano rabbia e chiedono libertà.

Nel CPR di Milo i telefoni personali sono stati sequestrati anche quando ne erano state spaccate le fotocamere e spesso viene impedito anche di usare le cabine del centro. Lenzuola e biancheria sono fatte in modo che non possano esser usate per bruciare, e se lo fanno è per poco, o per impiccarsi – è anche così che lo stato prova ad affossare ogni forma di insubordinazione o determinazione.

Questo luogo è stato teatro di numerose rivolte. Nel marzo 2023 una ribellione aveva costretto, in seguito ad un rogo, alla riduzione dei posti a 40.

A Gennaio del 2024 invece lx reclusx hanno distrutto la struttura, rendendola inagibile per circa il 90% e determinandone la chiusura.

I CPR si chiudono col fuoco dellx reclusx, con la rabbia di chi da dentro urla vendetta e diventa scheggia che si scaglia contro il potere.

In seguito alla distruzione di maggior parte della struttura, e dopo gli ennesimi lavori di ristrutturazione e ammodernamento, il CPR di Milo è tornato ad essere agibile ad Ottobre del 2024, aumentando la capienza fino a 204 posti. Le persone recluse, che in un primo momento erano una 40ina, sono presto diventate più di cento. La vicinanza con l’aereoporto di Palermo, snodo a livello nazionale per le deportazioni in Tunisia ed in Egitto, ha così permesso di far riaccendere anche a Trapani i motori della macchina che uccide, tumula e deporta le persone migranti.

Sabato 28 Giugno ci ritroveremo sotto le mura di questa prigione, in solidarietà allx reclusx e contro lo Stato che rinchiude e tortura. Nella speranza che il CPR di Milo torni inagibile e mai più in funzione, nella speranza che sbarre massicce e muri altissimi per un giorno vengano abbattute dallx reclusx e dallx solidali.

Che questa solidarietà polverizzi anche per poco la distanza che vogliono frapporci, saremo lì, perché compagnx di chi si ribella.

Dove lo stato segna confini noi sogniamo orizzonti, complici e solidali con lx reclusx in lotta

Fuoco alle galere

Freedom, Hurryia, Libertà


link alla fonte: https://sicilianoborder.noblogs.org/post/2025/06/06/presidio-al-cpr-di-trapani-milo-28-giugno-h-16-00/


PRESIDIO DAVANTI AL CONSOLATO TUNISINO/ 11.06 ore 10.00- Piazza Ignazio Florio, 24 (Palermo)

Riceviamo e diffondiamo:

PRESIDIO DAVANTI AL CONSOLATO TUNISINO/ 11.06 ore 10.00- Piazza Ignazio Florio, 24 (Palermo).

Il consolato tunisino affronta con totale disinteresse la sorte delle persone scomparse e di chi è stato ucciso dal regime di frontiera. Non garantisce l’identificazione delle salme né nel loro rimpatrio. Le famiglie sono abbandonate, costrette a cercare da sole figli, fratelli, sorelle. Ogni corpo lasciato senza nome è un crimine in più. Eppure, quando si tratta di collaborare con le autorità italiane nella repressione dei vivi, l’azione è immediata: identificazioni rapide, per rinchiudere e deportare. Questa è l’unica collaborazione attiva: quella che permette e legittima la detenzione e la tortura nei CPR. È grazie agli accordi di rimpatrio Italia- Tunisia che tutto questo accade.

DAI CPR AI CENTRI DI DETENZIONE IN TUNISIA, LA FRONTIERA E UNA MACCHINA DI MORTE!!

Un sistema che reprime, tortura e uccide. Un sistema che vieta la libertà di movimento e normalizza la violenza istituzionale. Un sistema che si nutre di razzismo, di silenzi e complicità.

IL GOVERNO TUNISINO È CORRESPONSABILE!!

Reprime le persone migranti, in particolare quelle subsahariane, con violenza, arresti arbitrari e deportazioni nel deserto.


Le comunità migranti, le persone solidali, le voci che non accettano l’ingiustizia si ritrovano in piazza. Per dire che ogni vita conta. Ogni morte merita memoria. Ogni corpo ha il diritto di tornare a casa.