IMMAGINA DI ESSERE IN UN INCUBO

IMMAGINA DI…

…vedere la tua casa espropriata, la tua città ferita da cantieri lasciati a metà, aria

e acqua avvelenate, la spiaggia una discarica, le montagne un groviera; dici a

qualcuno che si dovrebbero bloccare i cantieri: rischi una condanna da 6 mesi a 4

anni di reclusione.

…lavorare in fabbrica, con una paga bassa, norme di sicurezza non rispettate, e la

cassa integrazione dietro l’angolo; coi colleghi vuoi protestare bloccando la

strada: rischi una condanna da 6 mesi a 2 anni di reclusione.

…non avere una casa, non poterti permettere un affitto, ne trovi una

abbandonata e ci vai a vivere: rischi una condanna da 2 a 7 anni di reclusione.

…dire a un pubblico ufficiale (poliziotto/militare/vigile/ufficiale giudiziario/

curatore fallimentare/portalettere/notaio/sindaco/consigliere comunale/

capotreno) che non sei d’accordo con quello che sta facendo e troverai come

impedirlo: rischi una condanna da 6 mesi a 5 anni.

…stare protestando contro una grande opera (ponte sullo Stretto, TAV, grandi

discariche, basi militari); partono i manganelli, un poliziotto cade: rischi una

condanna da 8 mesi a 7 anni.

…essere incinta o avere un bambino piccolo, non avere soldi; rubi il latte al

supermercato: non c’è più l’obbligo di una pena alternativa al carcere, per te e

per tuo figlio.

…essere su una barca, vedere un gommone di migranti affondare, provare ad

aiutarli; la guardia costiera ti dice di non avvicinarti, ti rifiuti: rischi una condanna

fino a 2 anni.

…vivere in 3 in una cella di 7mq, coi materassi per terra, le finestre schermate,

caldo d’estate, freddo d’inverno, senza acqua calda; per protesta, vi rifiutate di

rientrare in cella: rischi una condanna dai 2 agli 8 anni.

…aver traversato deserto e mare, torturato in una prigione libica; arrivi in Italia e

vieni chiuso in un CPR senza sapere fino a quando, dormendo per terra,

mangiando cibo scaduto; salite tutti sul tetto per protesta: rischi una condanna

da 1 a 4 anni….

e non puoi neanche comprare una sim  per chiamare a casa e dire che sei vivo.

…ESSERE IN UN INCUBO

 

Il 18 settembre 2024 viene approvato alla Camera il testo del DDL sicurezza (ex

‘ddl1160’): “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in

servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”

. In attesa dell’approvazione in Senato, la legge proposta dal governo Meloni allarga la

possibilità di carcerazione, o di detenzione in generale, per tutte quelle persone

che vanno contro e si oppongono a quello che il governo decide.

Questo decreto non fa altro che inasprire pene per comportamenti già

considerati criminosi e per persone già discriminate e criminalizzate:

occupanti o inquilini morosi; ambientalisti; movimenti sindacali; persone

detenute nelle carceri e nei CPR; abitanti dei quartieri marginali; movimenti di

protesta (in particolare quelli contro le “grandi opere”); e anche chiunque

esprima solidarietà a tutti questi soggetti. Con il “terrorismo della parola”

punisce il pensiero e non l’azione, il famoso processo alle intenzioni, cioè si

punisce ciò che potrebbe accadere e non ciò che accade.

Di contro, è previsto che lo Stato possa anticipare sino a 40.000 euro per ogni

agente di sicurezza citato in giudizio per fatti relativi allo svolgimento del

servizio; che i circa 300.000 appartenenti alle forze di polizia e forze armate

possano avere un’arma personale senza licenza, da portare con sé al di fuori

del servizio; è ampliato il numero di reati per cui. Insomma: una nuova ondata di novelli sceriffi e giustizieri della notte.

La guerra si avvicina, e bisogna disciplinare la società, per permettere senza

problemi il drenaggio di risorse pubbliche: togliere dalle spese sociali a vantaggio

della spesa militare. Una tendenza che non riguarda soltanto l’Italia, ma tutti gli

stati occidentali. E ovunque le persone si stanno opponendo.

Non barattiamo la libertà di tutti per la sicurezza di chi comanda!

ASSEMBLEA CONTRO IL DDL SICUREZZA

 

APPUNTAMENTO MARTEDI 19 NOVEMBRE ALLE ORE 19:00 IN VIA MARIO GIURBA, 15 (MESSINA) PER CONTINUARE AD ORGANIZZARE INSIEME L’OPPOSIZIONE ALL’ENNESIMO DECRETO LIBERTICIDA E RAZZISTA. 

 


CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO

Ci vediamo venerdi 25 ottobre alla piazza dell’ex fiera (passeggiata a mare) dalle ore 17.00, 

In un mondo sempre più scandito dal ticchettio del profitto, distruggiamo le lancette; ’divertirsi è un bisogno vitale’.

Incontriamoci, organizziamoci, creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

Prepariamoci al corteo contro il ‘ddl sicurezza’ di giorno 26 Ottobre.

 

Microfono aperto, musica e socialità. 

Porta i tuoi strumenti musicali, vecchie lenzuola per striscioni, indumenti, colori e/o tutto quello che vorresti decorare con la stampa serigrafica e trovare in piazza.

CONTRO IL DDL SICUREZZA

LIBERX DI LOTTARE!

 


IL SOLO PONTE È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORT*

Continue reading


IL VOSTRO PROGRESSO, LA NOSTRA COLONIZZAZIONE. NOTE DA SUD, TRA SCILLA E CARIDDI

 

 

Il mese scorso, le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento al pacchetto sicurezza che intende inasprire le pene per chi protesta contro le grandi opere infrastrutturali, come il ponte sullo Stretto o la TAV (tra le tante in corso di realizzazione o di progettazione).

L’emendamento, proposto da un deputato leghista e sottoscritto anche dagli altri partiti di maggioranza, intende colpire chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro la costruzione di una grande opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, rischiando oltre 25 anni di carcere. Si introduce poi una nuova aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale: le pene aumentano “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con armi; o da persona travisata; o da più persone riunite; o con scritto anonimo o in modo simbolico”.

Come se non bastasse, lo Stato potrà anticipare le spese legali agli “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza indagati o imputati per fatti inerenti al servizio”, dunque accusati di violenza nei confronti dei manifestanti; addirittura raddoppiano il budget che passa da 5000 a 10000 euro per ciascuna fase del procedimento processuale. In totale, per la difesa degli sbirri violenti vengono stanziati 860mila euro l’anno, a partire dal 2024.

In una spirale di forsennato giustizialismo e legalismo nel nome del “progresso”, la scure della repressione si abbatte sulle individualità in lotta per sottrarre alle sporche mani di Stato e capitale tutti quei territori, come anche quello ‘libidico’, presi costantemente di mira da interessi di speculazione e mero guadagno economico.

Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso. Così in nome di questo presunto sviluppo si giustificano enormi appropriazioni indebite delle nostre esistenze tutte: il loro progresso è solo un ricatto, la loro visione di “migliore”, intrisa di un ‘do ut des’ spietato ed unicamente a nostre spese, non propina mai sviluppo se non in cambio del nostro esistere, dell’essere al mondo. Così che il fetido avanzare delle frontiere del capitale necessita dell’innervatura linfatica affinché questo corpo, formato da diversi organi, possa crescere e crescere, senza mai badare alla distruzione del suo passare.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sé ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno gia portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. Supposti sviluppi arrivati in Sicilia promettendo futuri radianti e dignità a colpi di lavoro: lo abbiamo già visto, ad esempio, con il polo petrolchimico nel siracusano, una zona ormai compromessa da esalazioni e corrosione degli spazi. Case vennero abattute per fare largo a questi mostri, lavoro venne promesso; ed infine, crescita economica a dismisura per tutti e tutte. Quello che si è ottenuto è povertà, monopolio dell’indotto lavorativo della zona, malattia ed aria cancerogena. Dov’è finito il futuro radioso? Quale riscontro con la realtà avevano le promesse vuote di signori della politica e del business? Quelle torri che esalano fumo nero simboleggiano, tronfie e prepotenti, l’inganno del progresso e della delega che ha trasformato in mera gestione amministrativa lo stesso processo vitale. Rappresentano le grinfie del luminoso oblio entro la quale ci vorrebbero costringere. Rappresentano anche quello stesso inganno che si sta profilando per le persone dello Stretto.

Il progetto del ponte sullo Stretto, nella retorica dei detrattori della vita, sarebbe funzionale ad accelerare i processi di turistificazione, fonte a loro volta di lavoro precario e sottopagato per chi in questi territori ci vive e non viene in vacanza. La solita storiella che eguaglia turismo e ricchezza diffusa per gli abitanti di un luogo non è altro che l’ennesima menzogna malcelante un futuro (immediato) di estrazione forzata e devastazione diffusa, in cambio di sole briciole (come se poi un qualunque supposto guadagno potesse essere bastevole per la posta in gioco).
Se dunque da una parte la Sicilia viene venduta come una vetrina per turisti, una sorta di paradiso terrestre dove trascorrere le ferie, andare al mare e degustare il buon cibo locale; dall’altra parte si concretizza come una tra le frontiere che continua a uccidere quotidianamente, trasformando il Mediterraneo in un cimitero per chi non ha avuto il privilegio dei “requisiti” giusti per attraversarlo. Ricco, bianco e occidentale?! Allora benvenuto; se sei povero, migrante e non bianco, invece, la deportazione verso il CPR o carcere più vicino diventa come un percorso naturale, una sorte quasi scontata.

Strumenti, quelli detentivi, di messa a profitto di quei corpi “altri” da cui immunizzarsi! Solo su quest’isola ci sono ventitre istituiti detentivi, cinque hotspots, due CPR (più il CPRI di Pozzallo), che rendono la Sicilia una vera e propria colonia penale. Quindici tra basi e installazioni militari USA, due (quelle ufficiali) basi NATO, tre raffinerie.
Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari; come la costituzione di poligoni di tiro, dove fare il “giochetto” della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale, al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; e a rischio di ripetizione, il proliferare dei luoghi di detenzione, della localizzazione forzata delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Ed arriviamo alla Calabria, costellata di cattedrali nel deserto e opere incompiute.

Mentre la nostra sfera del desiderio, ricca dello Stretto indispensabile, va letteralmente in fumo insieme ai nostri boschi secolari, le nostre sorgenti sono secche e le falde ormai prosciugate, le cattedrali nel deserto continuano a configurarsi come l’unica possibilità per i nostri territori, monumenti a scempio delle nostre vite sacrificate sull’altare di un presunto sviluppo di cui non sentiamo alcun bisogno, approccio coloniale dello stato italiano garantito dall’avallo colluso della classe politica regionale e locale e dal malaffare ‘ndranghetista. Opere pubbliche se completate lasciate marcire nel degrado, oppure a malapena cominciate e poi abortite, benché finanziate con grande sperpero di pubblico denaro. Uno sfacciato spreco di risorse economiche che avrebbero dovuto essere impiegate altrove. E così non smettiamo di essere terra di incessante emigrazione e di mancata accoglienza, di servizi e trasporti pubblici assenti.

Ma non siamo più negli anni in cui, in nome del progresso e dello sviluppo di questo stato nazione, che continua a trattarci come colonia da sfruttare e da cui estrarre valore fino alla nuda vita, dobbiamo continuare a barattare il pane con la morte, una Calabria terra di lavoro avvelenato come nell’ex polo chimico Montedison della Pertusola a Crotone, città edificata con i rifiuti tossici e i veleni industriali impastati nei materiali di costruzione di case e strade. Terra di promesse e pacchetti fantasma: il V Centro Siderurgico nella Piana di Gioia Tauro, la Liquichimica di Saline Jonica, impianti morti prima di essere nati, terra di espropri e scempi ambientali, di bonifiche mai effettuate, di discariche private più o meno autorizzate ma sempre supertossiche, di torrenti che straripano e interi territori che franano, di utilizzo delle ‘ndrine per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, interrati in grotte e fiumi o nelle “navi dei veleni”, carrette del mare stipate di fusti di scorie nucleari, affondate a decine lungo le nostre coste, di dighe costate centinaia di miliardi, come la diga sul Metramo mai collegata alla rete di distribuzione né per uso potabile né per uso irriguo a servizio della Piana di Gioia Tauro,  mentre città e campagne bruciano di sete o bruciano letteralmente negli incendi annualmente programmati all’arrivo del solleone e il deserto continua ad avanzare.

Si esortano le famiglie all’uso consapevole dell’acqua per evitare gli sprechi, ma non si mette in atto alcun intervento per evitare le enormi perdite di acquedotti vecchi ridotti a colabrodo. Così si invoca a gran voce l’arrivo di piogge in piena estate, le uniche che possono salvarci dal morire disidratati. Anzi Sorical ci consiglia di utilizzare per tanti usi l’acqua già usata. Si grida alla siccità ed al pericolo della desertificazione, ma si continuano a tagliare boschi per piantare pale eoliche e costruire le strade solo per il transito dei megatir necessari ai cantieri. Sull’altare della transizione verde lo stato italiano e le grandi multinazionali dell’energia stanno facendo grossi affari e chiunque proverà ad opporsi verrà duramente perseguitato grazie all’ultimo decreto sicurezza. E così su montagne e colline ancora incontaminate e al largo delle nostre coste ioniche svetteranno gigantesche pale eoliche e  i campi agricoli si stanno riempendo di pannelli fotovoltaici. Il Marchesato crotonese, le Preserre catanzaresi e vibonesi, la Locride sono i territori in cui avanza l’aggressione incontrollata dei nuovi megaimpianti eolici: 440 impianti attivi e 157 progetti in corso.

Ma la stessa nuova sfrenata corsa alla produzione di energia green non riesce a staccarsi dalla modalità di lasciarsi dietro delle cattedrali nel deserto. Gli impianti green divorano il nostro territorio, ma troppo spesso sono impianti fantasma: pale eoliche pronte all’uso mai messe in funzione, come le mostruose torri eoliche del crotonese, a centinaia sparpagliate per chilometri ma ne girano pochissime; o interi tetti di scuole ricoperti di pannelli fotovoltaici mai collegati alla rete di distribuzione. Ad Antonimina alle porte dell’Aspromonte, la torre eolica di 150 metri nella magnifica località del monte Trepizzi non ha mai preso a funzionare. In questo assalto ammantato di green si inserisce anche il progetto del rigassificatore alle spalle del porto di Gioia Tauro e proliferano impianti proposti come assolutamente innovativi, come la criminale idea di una centrale idroelettrica di pompaggio dell’acqua del mare che la multinazionale Edison chiede di piazzare poco distante da Scilla in piena zona di protezione speciale della Costa Viola. Appalti milionari per progetti ambiziosi e di interesse nazionale, grazie alle facilitazioni procedurali garantite dal pacchetto energia del Governo Meloni, che pensa alla nostra regione come un hub energetico tutto proiettato all’esportazione dell’energia elettrica prodotta (ne esportiamo già i 2 terzi di quella che produciamo grazie anche alle 4 centrali a turbogas già in funzione). Si continuano a progettare opere prima di aver fatto gli studi adeguati; così poi si trova cobalto radioattivo scavando gallerie, come è stato per l’arteria stradale Sibari- Sila o per l’aviosuperficie di Scalea, costruita sul letto di un fiume ad elevata pericolosità e limitrofa ad una zona di protezione speciale, per di più interessata a fenomeni di erosione.

Come puoi tu, calabrese o siciliano, credere che il Ponte sullo Stretto non rientri in questa logica illogica di (non)costruzione e pura devastazione? Come puoi tu credere più alle parole di un nessuno proveniente da altrove, che ai tuoi occhi e ai disagi che vive la tua gente? E non è lampante dunque che quest’ultima trovata dello spacchettamento del progetto definitivo in fasi costruttive non produrrebbe altro che una nuova annunciata devastante incompiuta di uno sviluppo di cui non abbiamo alcun bisogno?

Sappiamo bene verso dove volgere questi sguardi, sappiamo bene chi e quali strutture ci costringono in queste catene. Sappiamo bene che firma porta la militarizzazione sfrenata ed il profitto sul sangue, sappiamo bene anche chi sono i complici, colpevoli tanto quanto gli ideatori di questi foschi intenti. Leonardo S.p.a. capolista delle fabbriche di morte, paziente zero dell’economia targata bombe e bombardamenti, droni e software di spionaggio utili alla repressione di popolazioni in rivolta. RFI, complice del monopolio armato di capitalisti e statisti firma accordi di precedenza a tutto campo della mobilità militare, immaginando sempre di più la propria infrastruttura a misura bellica. WeBuild, incaricata del riadattamento del manto autostradale per renderlo idoneo al passaggio di mezzi, anche pesanti, militari. Stretto S.p.a., della serie “duri a morire”, ripresenta il tombale volto di Ciucci a rassicurare tutte e tutti circa la cura del territorio di cui è capace una società che, sotto il nome Salini-Impregilio, si è macchiata di crimini orribili durante la realizzazione di mega infrastrutture idro-elettriche in paesi dell’Africa e del Sud-America. Medihospes, società gestrice del hotspot di Messina, vince gli appalti per la gestione dei futuri CPR italiani nei confini albanesi, a braccia aperte brama e produce profitto sull’accoglienza e la CARCERAZIONE dei migranti.

Tutti tentacoli del capitalismo che dirigono ogni loro sforzo e azione verso l’aridificazione della Terra e degli spiriti di chi la abita con la sfacciata connivenza di Stati e governi, con la spietata tutela di sbirri, eserciti e procure che sempre meno lesinano nel premere grilletti, far scoccare manganellate, saturare l’aria di gas lacrimogeni ed infliggere condanne liberticide che si configurano come vere e proprie torture.

Lo Stato italiano tortura, lo fa attraverso il braccio armato dei suoi sgherri; lo fa finanziando lager in Libia, CPR in Albania, con ogni esternalizzazione delle frontiere e la complicità di Frontex o altre cooperative intrallazzate nella c.d. “accoglienza”. La morsa repressiva non smette di stringersi, si adopera con nuovi strumenti legislativi ed esecutivi, innervando le città di occhi elettronici e dotando di sempre più strumenti offensivi gli operatori di polizia. Quanto più aumenta il potenziale di conflitto determinato dalla pressione oppresoria dello Stato, tanto più aumenta il pericolo per il loro monopolio della violenza, tanto più per noi è un segno che le gambe del Leviatano adesso tremano. Più la bestia affila gli artigli più significa che si sente sotto attacco; tanto più si avvicinano le ‘notti bellissime’ tanto più si inasprirà il conflitto interno ad opera delle istituzioni contro i vagabondi di pensieri erranti, di logiche e pensieri ‘altri’, completamente stranieri, completamente indefinibili e, dunque, liberi.

Un pensiero non può che essere allora rivolto a chiunque lotta contro le galere; a chiunque continui a bruciare quei centri di detenzione e rimpatrio; a tutte quelle persone che quotidianamente sfidano la fissità dei confini; a chiunque resista e combatta questa macchina fagocitante e distruttiva. Ad ogni compagna e compagno con lo sguardo incendiario che non permetterà mai a nessuno di occultarlo ne tantomeno di spegnerlo. Ad ogni insurrezione, personale o collettiva che sia; ad ogni diserzione, e che queste si moltiplichino infrangendosi contro il loro regno del cieco asservimento.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI.


Creiamo insieme gli spazi che sogniamo

 

Ci vediamo giovedì 8 agosto alla passeggiata a mare dalle 18.30 per un pomeriggio di socialità no ponte! Musica, birrette, chiacchiere e preparazione di materiali in vista del corteo no ponte del 10 agosto.

«Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sè ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno già portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. 

Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari, come la costituzione di poligoni di tiro dove fare il ‘giochetto’ della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; il proliferare dei luoghi di detenzione, della ‘localizzazione forzata’ delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.»

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI

Chi c’è c’è e chi non c’è dovrebbe esserci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Presentazione LA TEMPESTA – L’imprevisto palestinese nella guerra globale

dalle 17.00
merenda senza confini
ore 18.00
presentazione della rivista e discussione con alcuni redattori
a seguire
letture contro la guerra

 

* * *

Quando, nel 2022, in un impeto di gioia di liberazione dalla pesantezza della “guerra al covid”, si è deciso di voler festeggiare una pasquetta liberata contro la guerra al parco Aldo Moro, pochi di noi avrebbero potuto prevedere quello che ora succede in Medio Oriente. Ci era ben chiaro però che si potesse tendere un filo rosso che legava il lockdown al green pass e poi al precipitare della situazione legata all’Ucraina: dal lessico militare all’isolamento sociale, dal “razzismo vaccinale” alla sempre più pressante criminalizzazione delle lotte sociali, allo scoppio della guerra vera e propria, l’andazzo era palesemente quello di creare nelle popolazioni due sentimenti che vanno spesso a braccetto, la paura e l’abitudine. La paura, indefinita, indeterminata, senza una causa concreta e individuabile, condita di regole sparate a mitraglia spesso poco chiare e in continuo mutamento; e poi l’abitudine, a fare più del (già tanto) richiesto, ad affidarsi ciecamente alle direttive che vengono dall’alto, abdicando al senso critico personale e collettivo per evitare di ricadere nella paura. Un circolo vizioso potenzialmente infinito.

Oggi, nel pieno di una guerra mondiale (per noi occidentali, ancora) a bassa intensità, con le nostre sorelle e i nostri fratelli palestinesi vittime della foga colonialista di Israele, nel pieno di un movimento di solidarietà mondiale che in tutti i modi, ovunque, si cerca di reprimere, non possiamo che constatare quanto il nostro sentire si fosse incamminato sulla strada giusta, quel 18 aprile.

Abbiamo quindi deciso di ospitare la presentazione della rivista antimilitarista LA TEMPESTA, a pochi giorni dalla prima udienza del processo per quella “occupazione” (che vede indagate 26 persone), proprio in questo luogo. Uno dei pochi polmoni verdi della città, un parco che senza tutti i gruppi e collettivi che negli anni gli hanno dato attenzione parlandone, aprendolo o vivendolo “clandestinamente”, oggi non sarebbe quello che è.

Poche settimane fa, per rimpolpare la martellante campagna elettorale, è stato aperto in fretta e furia e riempito di persone a favore di telecamera; due anni fa, per lo stesso motivo, era stato deciso che doveva restare chiuso e vuoto, che (cosa mai successa nelle precedenti aperture popolari) doveva essere sgomberato «a ogni costo», con ogni mezzo, e che andava punito chi aveva osato attraversarne il confine.

L’invito è ancora una volta quello di ritrovarci, di riappropriarci degli spazi e dei tempi, di escogitare sempre nuovi modi per resistere all’aria del tempo.

CONTRO LA GUERRA, LE SUE NOCIVITÀ, I SUOI PADRONI E TUTTI I COLONIALISMI

Ri-belle e ri-belli del parco Stefano Cucchi

 

* * *

 

 

>> QUI il racconto della giornata del 18 aprile 2022

 


sabato 18 maggio CORTEO NO PONTE a VILLA S. GIOVANNI

 

***

 

Che il ponte sullo Stretto non verrà mai costruito è pressoché una certezza; quello che deve davvero far paura è tutto ciò che avviene nel mentre: espropri, blocco dei piani urbanistici, opere collaterali, apertura di cantieri farlocchi e leggi su leggi su decreti su proroghe, che terranno sotto scacco i nostri territori per chissà ancora quanto tempo.

Nei fatti, tutti questi traccheggi hanno un unico scopo: continuare a tenere in piedi l’apparato politico-economico che sulle grandi opere fonda la sua fortuna… e la rovina del pianeta!

Del binomio profitto-distruzione ne dovrebbe sapere più di qualcosa Pietro Salini con la sua Webuild: durante la sua storia (che passa appalti e amicizie di padre in figlio dal 1936, come i feudi nel medioevo) la multinazionale del cemento ha collezionato un’enorme quantità di grandi opere civili, soprattutto nel Sud del mondo (Italia compresa, dove al momento ha in corso una ventina di progetti).

Filantropia? Vocazione? Solidarietà? No: soldi e potere.

Diverse ricerche e inchieste svelano la vera faccia di questo colosso: le mega-opere dei patriarchi Salini hanno nella realtà avuto effetti devastanti sui luoghi e sulle persone che si sono trovate tra le maglie dei loro affari.

Mega-progetti ricevuti anche senza gara d’appalto valutazioni di impatto ambientale e sociale (come la diga più grande d’Africa, la ‘Gibe III’ tra Etiopia e Kenya, la cui costruzione ha ridotto coltivazioni, foreste pluviali e acqua potabile) che spesso hanno costretto la popolazione locale a spostarsi dalla propria terra, per forza o con la forza (come nel villaggio di Rio Negro in Guatemala dove più di 440 persone sono state uccise per essersi rifiutate di lasciare la loro terra alla diga ‘Chixoy’).

Altro che progresso, ambiente e domani migliori: decine e decine di esempi mettono in luce le mostruosità di un sistema che si fonda sull’intreccio di politica ed economia.

Tornando, allora, al nostro Stretto non possiamo che pensare a Scilla e Cariddi, da sempre dipinte come le mostruose figure femminili che distruggono chiunque passi tra loro, come due lame di una stessa cesoia.

E se fossero invece le anime di una terra stanca di essere stuprata? Di un Sud, tra i ‘sud’ del mondo, dal quale Stato e capitale estraggono valore?

CHI È IL VERO MOSTRO?

Come purtroppo stiamo vedendo nell’ultimo anno, non basta liquidare una società per liberarsi del folle progetto del ponte: bisogna mettere una definitiva pietra tombale sull’idea di un progresso che è sinonimo di devastazione, colonizzazione, predazione e sfruttamento. E dobbiamo farlo con le nostre mani.

‘A zoccula ‘nta l’ingranaggi

 

CORTEO NO PONTE 18 MAGGIO h. 9:30 VILLA SAN GIOVANNI
(da Messina 8:30 Rada S Francesco, nave alle 9:20)


CEMENTO MORI

contro il ponte sullo Stretto

Oggi mi libero dalla paura… la pazienza si vendica.

Scilla «Latra terribilmente: la voce è quella di un cucciolo di una cagna, ma è un mostro spaventoso, e nessuno, neanche un dio, avrebbe piacere a trovarsi sulla sua strada. Ha dodici piedi, tutti orribili e sei colli lunghissimi, e su ognuno di loro una testa spaventosa e tre file di denti fitti e serrati, pieni di nera morte. Per metà è immersa nella grotta profonda, ma sporge le teste fuori dal baratro orribile e là pesca, frugando intorno allo scoglio, delfini e foche e bestie anche più grandi. Nessun navigante può vantarsi di esserle sfuggito illeso sulla sua nave; con ogni testa afferra un uomo, portandolo via dalla nave nera». «Di fronte a Scilla sta Cariddi in agguato all’ombra del fogliame di un immenso fico, su una rupe inaccessibile. Il mostro Cariddi per tre volte al giorno inghiotte e vomita dall’orrenda bocca enormi quantità di acqua con tutto quel che contiene».
Così Circe descrive a Odisseo questo pezzetto di mare, crocevia dei più diversi popoli che lo attraversano da sempre, incontrandosi, commerciando e scontrandosi. Due mostruose figure femminili che distruggono chiunque passi fra loro, come due lame di una stessa cesoia.

E se fossero invece le anime di una terra stanca di essere stuprata? Di un Sud, tra i ‘sud’ del mondo, dal quale Stato e capitale estraggono valore?

Succhiano vita, cacano disperazione e ce la spacciano per progresso: «Gioite selvaggi, lavorerete per costruire la vostra stessa miseria. Sarete lavoratori e lavoratrici in nero al servizio dell’industria turistica e i vostri figli cresceranno in placente con alto contenuto di plastica. Sarete operai e operaie del petrolchimico, vi spetta in premio un cancro per famiglia. Sarete operatori e operatrici nei lager per migranti, secondini, militari e poliziotti: e mangerete pane condito col sangue e le lacrime dei vostri vicini di casa. La maggior parte di voi rimarrà disoccupata, ma se ci supplicherete come si deve potremmo sempre edificare altre magnifiche opere che vi daranno da sopravvivere e vi condurranno più rapidamente alla morte, vi libereremo così anche dall’onere di lavorare!».

Ma noi, avanzi di furti subìti, dignità del dubbio che sa imporsi, grideremo il nostro discorso politico senza saliva: «Se invece fossimo il vento e la sabbia che si incontrano e si fanno bufera? Se fossimo le onde che stanno per rompersi? Siamo la forza delle nostre montagne e i nostri sogni sono radici di ginestra che cresce nel fuoco. Siamo pazienze stanche pronte a vendicarsi. E la zagara ci accompagna e la madonna nera ci protegge. E i cormorani e i pescispada ci sono amici. Nelle vene ci scorre il sangue brigante delle lotte passate. La nostra vita non è in vendita!».

Il ponte sullo Stretto, nell’ideologia prima e nella messa in opera dei lavori poi, è l’ultimo manifesto dell’economia simbolica del potere. Ma chi è questo potere? Nella fitta maglia dei rapporti sociali e politici è possibile cercare, con l’anima in spalla e la determinazione in mano, i redattori di questa storia che ha ancora la possibilità di finire in modo diverso.

 

Webuild: anatomia del cemento

Una rapida occhiata al sito di Webuild suggerisce un’impresa non solo attenta a valori come la sostenibilità o la compatibilità delle sue mega-infrastrutture con i territori e chi li abita, ma anche promotrice di uno sviluppo incentrato su «un domani migliore» – per dirla con le parole dell’amministratore delegato Pietro Salini.

Ma la domanda qui sorge spontanea: migliore per chi? Infatti, a guardar bene gli effetti degli interessi economici del gruppo in determinate aree si può nitidamente vedere quale sia il modello di sviluppo tanto caro a Webuild e a chi appalta la realizzazione di opere per il “bene pubblico” – che coinciderebbe con l’aumento dei profitti per i soliti noti. La necessità di estrarre valore ad ogni costo ha troppo spesso indotto a nascondere volutamente tutta una serie di effetti di questa visione del mondo: ma quegli effetti sono invece ciò che non si può più tacere, né tantomeno accettare.

La specializzazione del gruppo Webuild è la costruzione di dighe: operando principalmente nel continente africano, in Asia e nel latino-america, ha costruito più di 300 impianti.
Ma webuild è solo il capitolo più recente di un percorso imprenditoriale che ha inizio negli anni ‘30 del secolo scorso. Un capitolo che ha inizio quando la Salini s.p.a. si consolida nel mercato edilizio e infrastrutturale in Italia, dopo Impregilo e Astaldi.

Diversi sono gli esempi in cui il gruppo imprenditoriale, con il suo agire, ha determinato una serie di effetti devastanti sui luoghi interessati dalle sue opere e sulle persone che li abitavano. Pensiamo alla costruzione della diga di El Quimbo, in Colombia, per la quale sono stati inondati circa 8.500 ettari di terra, che erano prima coltivati e servivano in qualche modo da sussistenza per chi viveva quelle zone; inoltre, non si sarebbe veramente tenuto conto di quanto la deviazione dei flussi idrici interessati nella costruzione della diga avrebbe potuto impattare negativamente sull’abitabilità di quelle zone per diverse specie, tra cui quella umana. In altre parole, il tessuto sociale, economico e biologico è stato del tutto lacerato dalla predominanza del cemento. L’imposizione di un processo tecnologico, giustificato dalla necessità di produrre energia elettrica (ma per chi? e per cosa?), ha avuto conseguenze devastanti ovunque si sia verificato.

Altro progetto esemplificativo del progresso targato Webuild è la diga Gibe III, costruita sulla valle dell’Omo tra Etiopia e Kenya. Gli scopi di questa infrastruttura idroelettrica sono quello di produrre energia per il compartimento industriale (ossia da vendere sul mercato) e quello di deviare l’acqua per l’irrigazione di circa 500 ettari di terreno destinati ad uso commerciale dallo Stato etiope. Si possono anche solamente immaginare quali siano stati gli effetti della costruzione della Gibe III su popolazioni per cui l’acqua e la terra erano tutto.
Vengono private dei mezzi di sussistenza di base parecchie persone che sono costrette per lo più ad andare a (soprav)vivere altrove. Inoltre, da un rapporto dell’human right watch del 2012, emergono dettagli tetri circa il trattamento riservato a chi aveva avuto l’ardire di opporsi a questo stupro della Terra. Il nome Gibe III proviene dall’esistenza di Gibe I e Gibe II, altre due turbine idroelettriche costruite nella Valle dell’Omo. Tra l’altro per la Gibe II anche il governo italiano prese parte all’opera attraverso il ministero degli affari esteri.

Ma i dettagli inquietanti sembrano non finire mai quando si scava nel passato della ex Salini-Impregilo, coinvolta anche nella costruzione della diga del Chixoy, in Guatemala: per portare a termine i ‘lavori’, in quel caso, intere comunità vennero disgregate e centinaia di persone massacrate a morte.

Attualmente Webuild ha in corso, solo nel Meridione d’Italia, circa 19 megaprogetti (che spaziano dalla realizzazione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità e alta capacità, a tutta una serie di lotti autostradali, e infine ad alcune linee metropolitane). Tutto questo apparato cantieristico per l’infrastruttura è retto da due «centri di addestramento avanzato per il lavoro» che si trovano in Sicilia e in Campania: terminologia niente affatto casuale, implicita ammissione di una vera e propria invasione, nella cui logica interna la persona che lavora in cantiere è considerata alla stregua di personale militare.
Questa occupazione economico-militare dei territori fa tanto pensare a un dislocamento bellico pronto alla grande operazione, come potrebbe essere la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Le modalità sono sempre le stesse, la predatorietà pure.
Sembra quasi che le loro reti, i loro jersey e le loro ruspe appaiano tutte all’improvviso, precedute da una retorica di miglioramento delle condizioni dei luoghi dove operano, praticano senza pietà le loro amputazioni su di un corpo che ai loro occhi algoritmici appare ridotto in fin di vita ed è pertanto un’ottima cavia per sperimentare e per arricchirsi.

La logica dell’invasione pervade in tutti i sensi, la comunicazione e le modalità operative di queste corporazioni; Webuild non è l’unica a leccarsi i baffi dinanzi a un bottino appetibile a molti interessi – tutti volti al mero guadagno, al crescere dei flussi turistici, alla necessità di una sempre maggiore quantità di energia elettrica, beffardamente spacciata per green. La logica dell’invasione, le sue ruspe e gli scudi e i manganelli che le ‘scortano’ quando alziamo la testa, incalza ogni giorno i nostri corpi, bracca le fibre di cui è fatta la nostra vita.

Ma la cattura non è mai completa: ogni giorno succede che qualche sensibilità si incammini, da sola o in compagnia, in direzione ostinata e contraria; e non smettono di aprirsi crepe, e varchi, ogni volta che i nostri polmoni riescono a non arrendersi all’aria del tempo, e i nostri cuori a respirare, disertare, insorgere.

 

PDF STAMPA: CEMENTOmori_OR_(2)[1]


SABATO 12 AGOSTO 2023 h 18.00 piazza Cairoli (ME) CORTEO NO PONTE – difendiamo lo Stretto –

>> 𝗔 𝘀𝗲𝗴𝘂𝗶𝗿𝗲, 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗺𝘂𝗻𝗶𝗰𝗶𝗽𝗶𝗼: concerto resistente e solidale, con artiste e artisti da Sicilia e Calabria <<
‘°•𝗔𝗽𝗽𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗡𝗢 𝗣𝗢𝗡𝗧𝗘 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟮 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼•°’
Nelle intenzioni di Matteo Salvini, Pietro Salini (AD di Webuild) e Pietro Ciucci (AD della riesumata s.p.a. Stretto di Messina), 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘃𝗶𝘃𝗲𝗻𝗱𝗼 𝘀𝗮𝗿𝗮̀ 𝗹’𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗮 𝗲𝘀𝘁𝗮𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗿𝗶 del ponte sulle due sponde dello Stretto di Messina. Secondo il triste cronoprogramma che stima i tempi del riavvio dell’iter di progettazione e costruzione dell’opera, a luglio 2024 dovrebbero essere messe in moto le ruspe. Si sarebbe quasi tentati di dirsi «Godiamocela, finché è possibile»…
…𝗲 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗡𝗢.
Noi, le no ponte e i no ponte, i movimenti sociali e ambientalisti, siamo dell’idea che sia proprio questo il tempo di 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗱𝗲𝘃𝗮𝘀𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮̀ 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼: 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶.
La manifestazione del 17 giugno a Torre faro ha dimostrato (anche se non ce n’era bisogno, per chi ha occhi per vedere scevri dalla propaganda) che la costruzione del ponte è tutt’altro che avvolta dal consenso.
Migliaia di persone provenienti dalle due sponde dello Stretto, ma anche da altrove, hanno deciso di 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑟𝑒 – nel senso più alto e laico del termine, nel senso di 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑜 – il loro tempo e le loro energie per 𝗺𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝘃𝗼𝗹𝗼𝗻𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝗳𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼.
Migliaia di persone sono accorse nel luogo-simbolo della devastazione, dove dovrebbe sorgere il pilone del ponte, e hanno lanciato una prima avvisaglia di resistenza a quello che i sostenitori dell’opera vorrebbero rappresentare come un obbligo (stante la conversione in legge del decreto ponte).
Quella manifestazione ha detto, al contrario, che 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗮 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮 𝗲̀ 𝗹𝗲𝗴𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮 𝘀𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮𝗻𝗼 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗯𝗶𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶: i siciliani e i calabresi hanno dato un segnale di chiara avversione all’inizio dei lavori. E non ci sorprende. Nella consapevolezza di gran parte della popolazione, infatti, si è consolidata l’opinione che a guadagnarci, in questa operazione, siano solo costruttori, progettisti e politici a favore.
A rimetterci, al contrario, sarebbero i cittadini, che 𝗽𝗮𝗴𝗵𝗲𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝗱𝘂𝗲 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗲 𝗶 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲: la prima volta come abitanti, sottoposti a una quotidianità infernale in mezzo ai 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗽𝗿𝗶𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗱𝗮 𝗧𝗼𝗿𝗿𝗲 𝗳𝗮𝗿𝗼 𝗮 𝗖𝗼𝗻𝘁𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗲 𝗼𝗹𝘁𝗿𝗲, dalla durata imprevedibile se la si commisura con i tempi di realizzazione delle opere pubbliche in Italia e se si tiene conto degli inevitabili imprevisti che implica ogni opera di tale portata; la seconda volta da contribuenti, che si vedrebbero 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗿𝘀𝗲 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗻𝗱𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝘂𝘁𝗶𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗲 𝘂𝘁𝗶𝗹𝗶 𝗮𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 (messa in sicurezza idrogeologica e sismica, potenziamento del servizio sanitario, ammodernamento del sistema viario e dei trasporti nello Stretto, risorse per la scuola e per il welfare, sostegno alle piccole imprese locali, solo per dirne qualcuna).
Il ponte sullo Stretto, d’altronde, è espressione di un modello economico e politico che guarda agli ambienti solo come ‘spazio’ da occupare e da cui trarre profitto.
Per questa ragione, mentre chiamiamo le comunità dello Stretto a partecipare alla difesa della vivibilità dei luoghi che abitano, facciamo appello ai movimenti in difesa dei territori, ai comitati di base contro le nocività, a chi si batte contro i processi di militarizzazione, ai movimenti ambientalisti e contro il cambiamento climatico: 𝘀𝗰𝗲𝗻𝗱𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝗻𝗮 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗲.
Per accogliere chi verrà da fuori città e per ritagliare un momento di riflessione e confronto collettivo, 𝗹’𝟭𝟭, 𝟭𝟮 𝗲 𝟭𝟯 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗼𝗿𝗴𝗮𝗻𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻 𝗽𝗶𝗰𝗰𝗼𝗹𝗼 𝗰𝗮𝗺𝗽𝗲𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗡𝗢 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲.
Perché la lotta contro il ponte è rabbia contro la devastazione e lo sfruttamento del territorio, è ferma volontà di impedire la costruzione di un’opera inutile e dannosa, ma è anche amore, desiderio, immaginazione, creazione di qualcosa che non c’è e potrebbe essere…
…e allora 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗿𝘂𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗻𝗼𝗶, 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲, 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗲 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗼: libero da imposizioni devastanti, libere e liberi di decidere sulle nostre vite, sui territori che abitiamo, sui mondi che sogniamo.
Il 𝟭𝟮 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝟭𝟴:𝟬𝟬 𝗮 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗖𝗮𝗶𝗿𝗼𝗹𝗶 (ME), al 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗡𝗢 𝗣𝗢𝗡𝗧𝗘, mescoliamo ancora una volta i nostri desideri, facciamo ancora una volta sentire le nostre voci e tutta l’energia che opponiamo alla devastazione dei territori.

…::: 𝑵𝑶 𝑷𝑶𝑵𝑻𝑬 :::…

Per informazioni:
nopontemessina@gmail.com – Telegram t.me/noponte


L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere. Parole chiare contro il terrorismo di Stato in solidarietà ad Antudo

Da il rovescio.info

Riceviamo e diffondiamo questo testo, tre volte prezioso. Per la doverosa solidarietà ai redattori e redattrici di Antudo (https://www.antudo.info/), alla quale ci associamo. Per la chiarezza, e la precisione, con cui si scaglia contro la definizione data dall’Unione Europea del concetto di “terrorismo”, pensata appositamente per mettere fuori gioco ogni lotta concreta (definizione che lo Stato italiano, unico caso in Europa, ha integralmente recepito in uno specifico articolo di legge, il 270 sexies del “nostro” codice penale). Infine, per la rivendicazione del gesto, «non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi». In tempi come questi, quando la caccia alle streghe sovversive o anche solo dissidenti si fa quotidiana e parossistica, gettando persino l’esposizione di striscioni in solidarietà ad Alfredo nel calderone sempre più capiente del “terrorismo”, è anche di parole e concetti come questi che abbiamo bisogno.

Sull’uso sempre più frequente del concetto di “terrorismo” contenuto nell’articolo 270 sexies, si veda anche questo testo sulla recente operazione repressiva in Trentino: https://ilrovescio.info/2023/08/04/ennesima-inchiesta-per-270-bis-in-trentino-richieste-e-non-concesse-12-misure-cautelari/

Qui l’articolo e il video di Antudo incriminati: https://www.antudo.info/sanzionata-leonardo-palermo-defendkurdistan/

L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere

«…intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale»

In queste poche righe sta racchiuso il colpo di genio che l’intelligenza repressiva ha elaborato negli ultimi decenni. Grazie al lavoro degli instancabili giuristi con l’elmetto, necessari al Sistema quanto lo sono gli enti di ricerca sui sistemi d’arma, la vaghezza della nozione di terrorismo è stata completamente assunta dalla lingua dello Stato per potere essere impiegata come arma contro i suoi nemici. Se «intimidire la popolazione» o le popolazioni è una prerogativa morale e materiale di ogni Stato – e quindi senza effetti giuridici, visto che è inimmaginabile uno Stato che persegua se stesso – rimane, a moralizzare l’azione repressiva, la seconda parte del periodo. Scompare dall’orizzonte dei sacerdoti del diritto la violenza strutturale, le migliaia di morti annue prodotte da frontiere, carceri, lavoro, inquinamento, nocività; scompaiono le carneficine perpetrate dagli eserciti e gli orizzonti attuali di terza guerra mondiale con corredo di olocausto nucleare. Mostro è, in questo bel mondo, chi pensa di opporsi e pensa di farlo non solo platonicamente ma agendo «contro le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali»: a dimostrare che niente, neanche il rapporto tra significati e significanti, resta fuori dalla guerra sociale.

In queste settimane stanno fioccando le inchieste per associazioni con finalità di terrorismo verso compagni e compagne che hanno lottato al fianco di Alfredo Cospito e contro il 41 bis. In Sicilia, le case di sei compagni e compagne di Antudo sono state perquisite con l’accusa di istigazione a delinquere e di atto con finalità di terrorismo (280 bis). Queste accuse si riferiscono tanto alla pubblicazione del video di un attacco ad una sede di Leonardo s.p.a. in Sicilia e al testo che l’accompagnava (istigazione a delinquere), quanto all’azione di attacco in sé (280 bis). Se una cosa vigliacca e schifosa come la repressione può avere un merito è che, nel farla, lo Stato parla chiaro.

Il carcere, il 41 bis, Leonardo s.p.a. e tutto l’apparato tecno-militare-carcerario, sono «strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali» dello Stato e dell’organizzazione sociale in attuale traghettamento verso l’utopia del controllo totale. Dalla guerra all’intelligenza artificiale, dalla collaborazione nella colonizzazione sottomarina con reti di cablaggio internet alla robotica e al 5G, per Leonardo s.p.a. non ha alcun senso la distinzione tra militare e civile (e scompare anche la distinzione tra “statuale” e “capitalistico”).

Quanto a noi, oltre a dare la più calorosa e sincera solidarietà alle inquisite e agli inquisiti, ci preme ribadire un concetto che ci è molto caro. A prescindere da chi quell’azione l’abbia realizzata, essa va difesa, dichiarata giusta, rivendicata – non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi, dei bombardati, dei morti che diventano statistica. Quella azione che per loro è terrorismo, è per noi fonte di incoraggiamento, è un atto di dignità esemplare. Loro hanno i codici, noi abbiamo la nostra memoria di oppressi: dalla colonizzazione di ieri all’estrattivismo e alle guerre di oggi, lo Stato è il più grande produttore di terrore.

Solidarietà a tutti i compagni e le compagne indagate nei recenti procedimenti!

Solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, Zac, Rupert, Davide e a tutti i rinchiusi, i ristretti, i braccati dalla legge!

Solidarietà alle popolazioni e agli individui colpiti dagli incendi devastanti! Il problema non è il fuoco, è la miscela tra il fuoco e l’etica assassina di una società basata sul profitto e sulla sopraffazione.

alcune/i siciliane/i contro lo Stato e i suoi tentacoli