Monthly Archives: Agosto 2023

SABATO 12 AGOSTO 2023 h 18.00 piazza Cairoli (ME) CORTEO NO PONTE – difendiamo lo Stretto –

>> 𝗔 𝘀𝗲𝗴𝘂𝗶𝗿𝗲, 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗺𝘂𝗻𝗶𝗰𝗶𝗽𝗶𝗼: concerto resistente e solidale, con artiste e artisti da Sicilia e Calabria <<
‘°•𝗔𝗽𝗽𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗡𝗢 𝗣𝗢𝗡𝗧𝗘 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟮 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼•°’
Nelle intenzioni di Matteo Salvini, Pietro Salini (AD di Webuild) e Pietro Ciucci (AD della riesumata s.p.a. Stretto di Messina), 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘃𝗶𝘃𝗲𝗻𝗱𝗼 𝘀𝗮𝗿𝗮̀ 𝗹’𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗮 𝗲𝘀𝘁𝗮𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗿𝗶 del ponte sulle due sponde dello Stretto di Messina. Secondo il triste cronoprogramma che stima i tempi del riavvio dell’iter di progettazione e costruzione dell’opera, a luglio 2024 dovrebbero essere messe in moto le ruspe. Si sarebbe quasi tentati di dirsi «Godiamocela, finché è possibile»…
…𝗲 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗡𝗢.
Noi, le no ponte e i no ponte, i movimenti sociali e ambientalisti, siamo dell’idea che sia proprio questo il tempo di 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗱𝗲𝘃𝗮𝘀𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮̀ 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼: 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶.
La manifestazione del 17 giugno a Torre faro ha dimostrato (anche se non ce n’era bisogno, per chi ha occhi per vedere scevri dalla propaganda) che la costruzione del ponte è tutt’altro che avvolta dal consenso.
Migliaia di persone provenienti dalle due sponde dello Stretto, ma anche da altrove, hanno deciso di 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑟𝑒 – nel senso più alto e laico del termine, nel senso di 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑜 – il loro tempo e le loro energie per 𝗺𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝘃𝗼𝗹𝗼𝗻𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝗳𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼.
Migliaia di persone sono accorse nel luogo-simbolo della devastazione, dove dovrebbe sorgere il pilone del ponte, e hanno lanciato una prima avvisaglia di resistenza a quello che i sostenitori dell’opera vorrebbero rappresentare come un obbligo (stante la conversione in legge del decreto ponte).
Quella manifestazione ha detto, al contrario, che 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗮 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮 𝗲̀ 𝗹𝗲𝗴𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮 𝘀𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮𝗻𝗼 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗯𝗶𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶: i siciliani e i calabresi hanno dato un segnale di chiara avversione all’inizio dei lavori. E non ci sorprende. Nella consapevolezza di gran parte della popolazione, infatti, si è consolidata l’opinione che a guadagnarci, in questa operazione, siano solo costruttori, progettisti e politici a favore.
A rimetterci, al contrario, sarebbero i cittadini, che 𝗽𝗮𝗴𝗵𝗲𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝗱𝘂𝗲 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗲 𝗶 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲: la prima volta come abitanti, sottoposti a una quotidianità infernale in mezzo ai 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗽𝗿𝗶𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗱𝗮 𝗧𝗼𝗿𝗿𝗲 𝗳𝗮𝗿𝗼 𝗮 𝗖𝗼𝗻𝘁𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗲 𝗼𝗹𝘁𝗿𝗲, dalla durata imprevedibile se la si commisura con i tempi di realizzazione delle opere pubbliche in Italia e se si tiene conto degli inevitabili imprevisti che implica ogni opera di tale portata; la seconda volta da contribuenti, che si vedrebbero 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗿𝘀𝗲 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗻𝗱𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝘂𝘁𝗶𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗲 𝘂𝘁𝗶𝗹𝗶 𝗮𝗹 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 (messa in sicurezza idrogeologica e sismica, potenziamento del servizio sanitario, ammodernamento del sistema viario e dei trasporti nello Stretto, risorse per la scuola e per il welfare, sostegno alle piccole imprese locali, solo per dirne qualcuna).
Il ponte sullo Stretto, d’altronde, è espressione di un modello economico e politico che guarda agli ambienti solo come ‘spazio’ da occupare e da cui trarre profitto.
Per questa ragione, mentre chiamiamo le comunità dello Stretto a partecipare alla difesa della vivibilità dei luoghi che abitano, facciamo appello ai movimenti in difesa dei territori, ai comitati di base contro le nocività, a chi si batte contro i processi di militarizzazione, ai movimenti ambientalisti e contro il cambiamento climatico: 𝘀𝗰𝗲𝗻𝗱𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝗻𝗮 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗲.
Per accogliere chi verrà da fuori città e per ritagliare un momento di riflessione e confronto collettivo, 𝗹’𝟭𝟭, 𝟭𝟮 𝗲 𝟭𝟯 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗼𝗿𝗴𝗮𝗻𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻 𝗽𝗶𝗰𝗰𝗼𝗹𝗼 𝗰𝗮𝗺𝗽𝗲𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗡𝗢 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲.
Perché la lotta contro il ponte è rabbia contro la devastazione e lo sfruttamento del territorio, è ferma volontà di impedire la costruzione di un’opera inutile e dannosa, ma è anche amore, desiderio, immaginazione, creazione di qualcosa che non c’è e potrebbe essere…
…e allora 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗿𝘂𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗻𝗼𝗶, 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲, 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗲 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗳𝘂𝘁𝘂𝗿𝗼: libero da imposizioni devastanti, libere e liberi di decidere sulle nostre vite, sui territori che abitiamo, sui mondi che sogniamo.
Il 𝟭𝟮 𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟯 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝟭𝟴:𝟬𝟬 𝗮 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗖𝗮𝗶𝗿𝗼𝗹𝗶 (ME), al 𝗖𝗢𝗥𝗧𝗘𝗢 𝗡𝗢 𝗣𝗢𝗡𝗧𝗘, mescoliamo ancora una volta i nostri desideri, facciamo ancora una volta sentire le nostre voci e tutta l’energia che opponiamo alla devastazione dei territori.

…::: 𝑵𝑶 𝑷𝑶𝑵𝑻𝑬 :::…

Per informazioni:
nopontemessina@gmail.com – Telegram t.me/noponte


L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere. Parole chiare contro il terrorismo di Stato in solidarietà ad Antudo

Da il rovescio.info

Riceviamo e diffondiamo questo testo, tre volte prezioso. Per la doverosa solidarietà ai redattori e redattrici di Antudo (https://www.antudo.info/), alla quale ci associamo. Per la chiarezza, e la precisione, con cui si scaglia contro la definizione data dall’Unione Europea del concetto di “terrorismo”, pensata appositamente per mettere fuori gioco ogni lotta concreta (definizione che lo Stato italiano, unico caso in Europa, ha integralmente recepito in uno specifico articolo di legge, il 270 sexies del “nostro” codice penale). Infine, per la rivendicazione del gesto, «non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi». In tempi come questi, quando la caccia alle streghe sovversive o anche solo dissidenti si fa quotidiana e parossistica, gettando persino l’esposizione di striscioni in solidarietà ad Alfredo nel calderone sempre più capiente del “terrorismo”, è anche di parole e concetti come questi che abbiamo bisogno.

Sull’uso sempre più frequente del concetto di “terrorismo” contenuto nell’articolo 270 sexies, si veda anche questo testo sulla recente operazione repressiva in Trentino: https://ilrovescio.info/2023/08/04/ennesima-inchiesta-per-270-bis-in-trentino-richieste-e-non-concesse-12-misure-cautelari/

Qui l’articolo e il video di Antudo incriminati: https://www.antudo.info/sanzionata-leonardo-palermo-defendkurdistan/

L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere

«…intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale»

In queste poche righe sta racchiuso il colpo di genio che l’intelligenza repressiva ha elaborato negli ultimi decenni. Grazie al lavoro degli instancabili giuristi con l’elmetto, necessari al Sistema quanto lo sono gli enti di ricerca sui sistemi d’arma, la vaghezza della nozione di terrorismo è stata completamente assunta dalla lingua dello Stato per potere essere impiegata come arma contro i suoi nemici. Se «intimidire la popolazione» o le popolazioni è una prerogativa morale e materiale di ogni Stato – e quindi senza effetti giuridici, visto che è inimmaginabile uno Stato che persegua se stesso – rimane, a moralizzare l’azione repressiva, la seconda parte del periodo. Scompare dall’orizzonte dei sacerdoti del diritto la violenza strutturale, le migliaia di morti annue prodotte da frontiere, carceri, lavoro, inquinamento, nocività; scompaiono le carneficine perpetrate dagli eserciti e gli orizzonti attuali di terza guerra mondiale con corredo di olocausto nucleare. Mostro è, in questo bel mondo, chi pensa di opporsi e pensa di farlo non solo platonicamente ma agendo «contro le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali»: a dimostrare che niente, neanche il rapporto tra significati e significanti, resta fuori dalla guerra sociale.

In queste settimane stanno fioccando le inchieste per associazioni con finalità di terrorismo verso compagni e compagne che hanno lottato al fianco di Alfredo Cospito e contro il 41 bis. In Sicilia, le case di sei compagni e compagne di Antudo sono state perquisite con l’accusa di istigazione a delinquere e di atto con finalità di terrorismo (280 bis). Queste accuse si riferiscono tanto alla pubblicazione del video di un attacco ad una sede di Leonardo s.p.a. in Sicilia e al testo che l’accompagnava (istigazione a delinquere), quanto all’azione di attacco in sé (280 bis). Se una cosa vigliacca e schifosa come la repressione può avere un merito è che, nel farla, lo Stato parla chiaro.

Il carcere, il 41 bis, Leonardo s.p.a. e tutto l’apparato tecno-militare-carcerario, sono «strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali» dello Stato e dell’organizzazione sociale in attuale traghettamento verso l’utopia del controllo totale. Dalla guerra all’intelligenza artificiale, dalla collaborazione nella colonizzazione sottomarina con reti di cablaggio internet alla robotica e al 5G, per Leonardo s.p.a. non ha alcun senso la distinzione tra militare e civile (e scompare anche la distinzione tra “statuale” e “capitalistico”).

Quanto a noi, oltre a dare la più calorosa e sincera solidarietà alle inquisite e agli inquisiti, ci preme ribadire un concetto che ci è molto caro. A prescindere da chi quell’azione l’abbia realizzata, essa va difesa, dichiarata giusta, rivendicata – non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi, dei bombardati, dei morti che diventano statistica. Quella azione che per loro è terrorismo, è per noi fonte di incoraggiamento, è un atto di dignità esemplare. Loro hanno i codici, noi abbiamo la nostra memoria di oppressi: dalla colonizzazione di ieri all’estrattivismo e alle guerre di oggi, lo Stato è il più grande produttore di terrore.

Solidarietà a tutti i compagni e le compagne indagate nei recenti procedimenti!

Solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, Zac, Rupert, Davide e a tutti i rinchiusi, i ristretti, i braccati dalla legge!

Solidarietà alle popolazioni e agli individui colpiti dagli incendi devastanti! Il problema non è il fuoco, è la miscela tra il fuoco e l’etica assassina di una società basata sul profitto e sulla sopraffazione.

alcune/i siciliane/i contro lo Stato e i suoi tentacoli


Terra, Mare e Libertà: contro il ponte sullo Stretto di Messina. Corteo noPonte 12 Agosto.

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

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