Monthly Archives: Marzo 2025

Appello per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra

Appello per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.1

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 82, 5 Hotspot su 63 e 2 CPA su 94. A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi5; l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi6; il Porto di Augusta7; RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala8

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

 

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

 

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella9. Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

 

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

 

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali10, ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide!Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
1 0 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.


Appello per una mobilitazione unitaria def


CENTO GIORNI DELLA “Comissione 2024-2029”

“Prosperità-sicurezza-democrazia” è il mantra che guida un’Europa che si appresta a grandi rinnovamenti davanti ad un contesto globale profondamente mutato. Chiaramente non parliamo di eventi che avvengono all’improvviso; l’interesse per i nuovi mercati, come quello digitale o, più in generale, dell’intelligenza artificiale; un clima sempre più diffuso di guerra e di conflitto imminente; l’ossessione per lo stabilimento di una politica comune sulla migrazione etc. sono, tra gli altri, elementi che permeano la politica europea sin da sempre, considerandoli tutti declinazioni di ciò che più comunemente possiamo chiamare “mercato”. 
Proprio in occasione dei primi cento giorni della “Comissione 2024-2029” von der Layen si appresta ad un discorso ove, oltre confermare il già evidente, ossia un diffuso clima di guerra che permea sin dentro i confini già porosi del continente europeo, anticipa alcuni elementi della nuova bozza sui rimpatri che domani (11/03/25) verrà resa pubblica.
Ancora una volta la saldatura tra mondi apparentemente scollegati tra loro; migrazione, guerra, detenzione. La forza del mercato europeo, dice von der Layen, dipende dalla sicurezza, tanto dei confini quanto dei suoi due corrispettivi lati, il dentro ed il fuori. Infatti, “prosperità, sicurezza e democrazia” iniziano a casa”. E dunque, 800 miliardi al compartimento difesa, “REARM Europa”. Un’unione europea della difesa. E lo si fa coinvolgendo quanti più investitori privati possibili. La saldatura aggiunge ai suoi elementi il settore industriale, che sfrega le mani all’idea di costruire nuove carceri, nuovi centri di trattenimento per migranti, nuove armi… Così mentre si spiana sempre più la strada all’industria detentiva e della guerra più in generale, si prova ad armonizzare tra paesi membri (in termini anche di prepotenza macista) un sistema di gestione delle “rinnovate sfide” che il mondo nuovo pone a questo mostro geo-politico (*con ‘mostro’ si intende un’essere ibrido, costituito di diverse parti e particolarità). Infatti; novità? L’inaugurazione di un “Colleggio di Sicurezza” che avrà il compito di ricevere continui aggiornamenti in materia di sicurezza. “Dalla sicurezza esterna ed interna all’energia, difesa e ricerca. Dal cyber, al commercio, alle ingerenze esterne”.  
Ma il punto focale è “una proposta legale ambiziosa sui rimpatri”. Non vengono dati troppi dettagli, vengono annunciate regole condivise in tema di rimpatri ed un sistema condiviso che semplifichi l’espulsione di persone che permangono irregolarmente nel territorio europeo. Ma se l’attività di deportazione non è certo nuova alla civilissima Europa, che traghettava schiave e schiavi in giro per il mondo come sacchi di farina, si svela l’arcano; anni ed anni di sperimentazione ed implementazione di tecnologie del controllo alle frontiere permetteranno infatti di imporre divieti di ingresso per circa dieci anni per persone “irregolari” che si opporrano al rimpatrio. Ossia, l’applicazione coatta, coercitiva, determinerà per il soggetto cui viene imposta la misura del rimpatrio l’impossibilità di ingresso sul suolo europeo. Criminalizzando e sottoponendo ad illegalità forzata tutte quelle persone che, rimpatriate a causa del considerare sicuri i paesi di provenienza o inezie le individuali volontà/necessità di spostamento, si troverebbero costrette a ritentare la fuga. 
Lo sviluppo preponderante del mercato del controllo e della sorveglianza rendono necessarie in capo all’Unione misure per poter normare tale mercato, saldando questa necessità, dunque, a quella di un sempre maggiore controllo, interno ed esterno, in un clima di guerra diffusa. Mentre le frontiere si stringono, i controlli si inaspriscono, le pene aumentano per chi attraversa le frontiere “illegalmente”, si predispone il compartimento detentivo per quelle, invece, in attesa di essere rimpatriate. Tecniche di contenimento e di localizzazione forzata apprese in contesti bellici che vengono, adesso, applicate nei confini così detti interni, a testimonianza, ancora una volta, di come quella guerra che ci viene narrata a volte “lontana”, a volte “alle porte”, sia in realtà già, seppur con forme ed applicazioni peculiari e contestuali, presente sotto casa. Una delle tante conferme che il mondo auto-percepitosi civile è piombato in un conflitto totale ed evidente; qualcunx potrà dire che non è mai cessato di esistere un clima di guerra totale, poichè questo è parte relativa e genetica del sistema di capitale, ma non si potrà obiettare più di tanto se si afferma che è quanto meno svanita l’opacità con la quale il sistema-mondo poneva tutte le nostre quotidianità in guerra. E si badi bene a non confondere conflitto con guerra. 
Tecniche e tecnologie di controllo galoppano nel loro sviluppo ed implementazione al pari dei numeretti delle varie “piazze affari” del mondo. Ed in tutti questi interstizi del nuovo mondo dell’iper-connessione, della morte istantanea, la nuova forma del capitale si insinua, rafforzandosi attraverso tutte le sue varie infrastrutture; produttive, sociali, politiche, materiali etc. 
Altro elemento ‘spoiler’ del regolamento in questione, anche questa per niente una novità (sigh!), è il rafforzamento del sistema di esternalizzazione delle frontiere. Sembrerebbe infatti concepita la possibilità di spostare le persone verso cui è emessa un’ordinanza di rimpatrio verso paesi terzi con i quali siano stati siglati accordi in materia. Dunque, in tal caso, la si potrebbe considerare come un’istituzionalizzazione del sistema italiano dei CPR in territorio albanese (o ancor prima, seppur in un quadro normativo differente, i campi di reclusione libici- sotto il governo Renzi). Si parlerebbe infatti, di “hub di rimpatrio”. 
Tutto sotto l’attenta osservazione dei diritti umani e delle varie carte che li sanciscono…

PER SAPERNE DI PIÙ:


FONTI: 


DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE


“DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE”

Qui di seguito raccolti alcuni commenti trovati in giro scorrendo sui social network. Si riportano solidarietà nei confronti della manifestazione che ha attraversato Messina lo scorso sabato 1 marzo. A fronte di opinioni ciecamente critiche ampiamente rappresentate nel contesto del dibattito cittadino sembra opportuno, con i modesti mezzi ed infrastrutture attualmente a disposizione, provare a dare respiro a parole con toni e piani differenti. A fronte di un modo di fare notizia sempre più improntato alla riduzione semantica del pensiero di quattro passanti, letteralmente, qui di seguito un copia/incolla di dieci commenti incontrati sui social network relativi alla giornata di sabato 1 marzo.

L’auspicio è che lo strumento auto-critico non diventi un banale passe-partout per imporre ciechi giudizi, quanto un modo per approfondirci ed imparare a condividerci sempre di più.

Di seguito le posizioni incontrate:

1)“FOGLIA DELLO STESSO ALBERO

Per due anni ho ospitato un gatto, Simba. Gli piaceva stare in casa e crogiolarsi sul divano, ma quando voleva uscire iniziava a miagolare fino a quando non otteneva quello che voleva: la libertà di uscire, la libertà di scegliere cosa fare, di sentirsi animale, di sentirsi libero … la Libertà. Domenica scorsa ho pianto, non per lui, ma per Lei. Ho pianto perché ho sentito che questa Libertà giorno dopo giorno ci viene tolta, tra colpi di fucile, filo spinato, genocidi, confini, odio, separazioni, tecnologia: a cosa servono le ringhiere se mi impediscono di toccare il mare? A cosa servono i confini se quando gli oltrepasso mi spari? A cosa serve la democrazia un giorno ogni 5 anni? A cosa servono le telecamere in città se non vedo cosa chiede mi chiede il cuore? A cosa servono i giorni della memoria se poi ci dimentichiamo dei popoli che vengono sterminati oggi?!?! Tutte queste domande, queste immagini e più, hanno iniziato a sgorgare a fiumi, insieme alle lacrime, accompagnandomi tra pensieri e riflessioni il giorno seguente di quello che sarebbe stato un semplice corteo [noponte] di carnevale. Quando scendo in piazza è difficile che lo faccia solo per un motivo, solo per manifestare il mio dissenso verso un’arma, ma lo faccio anche (e soprattutto) per manifestare contrarietà verso tutto l’arsenale cui quell’arma appartiene. Quando scendo in piazza per mostrarmi favorevole verso quella causa, lo faccio anche per portare sostegno a tutto il resto. Lo faccio per difendere quella Libertà. Sabato scorso come altre volte sono stato in piazza, ma quel pomeriggio non è stato come gli altri. Quel pomeriggio ho prese tante manganellate.Non sono stato l’unico a prenderle, da una parte e dall’altra ce le siamo date. Anche se una parte era nettamente più equipaggiata con scudi, caschi, paratibie, stivaloni, occhiali, microfoni, paraorecchie e manganacci. Ma la violenza (carnevalesca) alla base di questo litigio era quella di un astio che viene perpetrato e alimentato da decenni (se non secoli). C’era rabbia, ma non era la rabbia esplosa per qualche petardo, era una rabbia di irrisolti e incompresi verso coloro che disobbediscono alle regole imposte da altri, quando tu nato col caschetto sei costretto e obbligato a calare la testa. Noi invece eravamo in piazza col cuore! Non siamo di certo pagati e se ci va bene non ci arriva la denuncia. La denuncia per aver manifestato in modo concitato tutti i violenti soprusi che la nostra Libertà, in silenzio, subisce. Quel pomeriggio mi ha scosso, e nonostante i lividi stiano quasi scomparendo, quello che ha smosso dentro si sta ancora assestando verso una nuova forma di equilibrio. La paura non sarà più la stessa. La mia decisione nel portare avanti quelli che sono i miei ideali, soprattutto se caricati e manganellati, sarà ancora più ferma e decisa. Sabato i mascherati coi manganelli e i manifestanti armati di stelle filanti e bom(bol)ette erano relativamente pochi, ma potrebbero essere molti di più, e ben più armati. Spero solo che i grandi se ne accorgano e che la smettano di assecondare questo PNM piano nazionale mafioso (perché alla base ci sta il ricatto). Perché lo Stretto non ha bisogno delponte.

̴ Fiero di sentirmi una foglia facente parte dello stesso Albero della Libertà ̴”;


2) “Tuttu stu buddellu per 2 scritte sui muri aggiunte alle migliaia già presenti (tra le quali anche chiari simboli neofascisti, che a quanto pare non vi danno fastidio.) Vi scandalizzate per la scritta “più preti morti” e non per l’arresto di un prete messinese accusato di stupro (ex responsabile di cristo re, luogo considerato tra i più importanti di Messina.) lo brucerei 1000 Monna Lisa al giorno pur di avere un mondo più sano. Pensate al decoro urbano, ma della Natura ve ne strafottete altamente. Gliela ghiavate nel culo ai vostri fratelli e alle vostre sorelle, ma poi vi fate il segno della croce e dormite sonni tranquilli. Ah tagghiatibbi ‘a facci, piddavera… Perché non vi incazzate così tanto con i migliaia di concittadini che ghiavano quotidianamente munnizza per terra??? Viviamo nella ‘munnizza da sempre, siete ‘munnizza da sempre. Imparate a rispettare la Natura, poi ci pensiamo ai palazzi e alle chiese. Col ragionamento di molti fra non molti decenni ci ritroveremo/si ritroveranno un pianeta morto ma senza scritte sui muri. L’apparenza e la superficialità a cui vi legate sono le vostre peggiori nemiche.”;


3) “[Messina] Durante lavori finalizzati al raddoppio della linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo sono emersi materiali con elevate concentrazioni di arsenico, contenute naturalmente nei monti Peloritani,che a causa dell’inadeguata copertura dei vasconi di stoccaggio da parte della società competente del cantiere sono poi confluiti, complici le piogge, all’interno del suolo e delle falde acquifere sottostanti. Le stesse che portano acqua nelle case circostanti. Preferite fare girare le foto di quattro scritte sui muri o di questo scempio? Rispondete e, in caso, fate girare.”;

-Foto aerea del deposito di Contesse. Qui i materiali estratti dalle montagne nel contesto dei cantieri del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo. Materiale che risulterebbe altamente contaminato da arsenico.-


4) “Sto pensando che il cosiddetto coordinamento no ponte ha qualche problema d ‘identitá. In questi ultimi due giorni sta coordinando la solidarietà alle forze dell’ordine e l’attacco ad una parte del movimento”.;


5) “All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano. Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


6) “Sapete che c’è? Che sono arrivato alla fine del corteo contrariato perché non mi sono piaciute una buona parte delle scritte sui muri e perché questo ha rovinato il clima allegro e dissacrante che c’era in una proposta nuova, ma adesso me li avete fatti diventare simpatici con tutto questo perbenismo. A chi parlo? Parlo a quelle parti della società critica che si sono accodate a una versione convenzionale di quanto accaduto. E sapete pure che c’è? Che tutto questo non ha neanche a che fare col no ponte. Ha a che fare con la paura di essere additati dalla parte del torto in un tempo che vede una svolta reazionaria che mette in discussione anche le forme più consuete dell’agibilità democratica delle piazze. La violenza? Ma andatevi a vedere i video. C’è tutto in rete ormai. Nel 68 tanto celebrato quella manifestazione sarebbe stata considerata pacifica e nonviolenta. Ma il 68 è di più di 50 anni fa e voi vivete oggi, al tempo di Trump e di Elon Musk.”;


7) “Comunque la città di Messina e’ ridotta a una latrina da secoli di colonialismo e mala politica ! Quindi un paio di scritte peraltro in istituzioni clericali piuttosto discutibili, ( nulla togliere allo spirito genuino dei credenti)in cui la clausura non è stata spesso una scelta libera, di certo non peggioreranno le cose. Perciò scaldatevi tutt di meno e iniziate a combattere di più in prima persona per decorare i vostri ambienti, in primis evitando di votare certa merda ! Poi chiaro sull’ autoreferenzialita, lo spirito adolescenziale e tante altre cose che accompagnano da 20 anni le stesse identiche pratiche se ne può discutere infinitamente e in altre sedi.Ma parliamoci chiaro, a me che il culo sia tremato a un paio di divise che han sempre fatto soprusi nella nostra città ricattando a destra e a manca non può che fare piacere. E ancora più piacere mi fa il fatto che qualche massone si sente sfidato nel proprio status quo che credeva eterno! Quindi io guarderei positivamente a quanto accaduto sabato a Messina, e lotterei affinché più pratiche estremamente diverse tra loro possono coesistere piuttosto che imbattersi in divisioni ridicole tra violenti e non violenti ! Per farlo ovviamente occorre umiltà e ascolta da parte di ogni componente e la forte volontà di rompere dannati isolazionismi. Altra cosa, semmai partissero i lavori per questa grande opera, mettetevi il cuore in pace, che militarizzeranno il territorio il triplo, e non sempre sarà possibile essere pacifici, choosey e non violenti . Inclusivi, aperti alla partecipazione sempre, ma resa e proni solo alle pratiche pacifiste anche no! E questo punto bisognerebbe davvero accettarlo una volta per tutte! Buona giornata e che sia l inizio di tanti buoni propositi!

Carnevale messinese=capodanno col botto! ❤️✨🇵🇸💛❤️”;


8) “Tra le critiche e le prese di distanza più accorate dai fatti del carnevale no ponte un’ampia fetta di interventi ruota attorno alle facciate deturpate dalle vandaliche bombolette spray. Si invoca- con il grassetto maiuscolo – il rispetto per palazzi, scuole e monumenti, in nome di un sinistro decoro pubblico. Eppure il concetto di decoro urbano è a tutti gli effetti un dispositivo di controllo sociale, uno strumento flessibile e adattabile alle esigenze delle politiche repressive e neoliberali. Il suo utilizzo politico va letto nel quadro delle strategie di disciplinamento degli spazi urbani e delle forme di esclusione sociale che si manifestano a tutte le latitudini attraverso processi di gentrificazione, turistificazione ed espulsione delle classi povere. Guardando allo scenario nazionale degli ultimi anni il richiamo al decoro urbano è stato utilizzato per giustificare le politiche securitarie che hanno colpito senza fissa dimora, migranti, venditori ambulanti e tutte le soggettività presentate come elementi di disturbo nella costruzione di una città “presentabile”. Una città funzionale al consumo, all’investimento immobiliare e alla valorizzazione degli spazi secondo una logica di accumulazione per espropriazione. Le ordinanze comunali che vietavano di bivaccare nelle piazze, la rimozione delle panchine per impedire la sosta, l’espulsione di intere comunità dai centri storici sono esempi concreti di come il decoro è stato trasformato in uno strumento per ridefinire l’uso legittimo delle città. Attorno al decoro urbano riemerge la centralità della dimensione di classe e del conflitto tra chi ha da perdere i proprio privilegi e chi rischia la stessa sopravvivenza. All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano.Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


9)” […] Il corteo di sabato pomeriggio, per quanto mi riguarda, è stata un’importante giornata di lotta e anche un utilissimo sasso nello stagno. Dalle reazioni suscitate, infatti, si può capire molto – a cerchi concentrici – del paesaggio sociale in cui viviamo immersi. Mi scorre in petto un fiume in piena di emozioni, e sento il desiderio non tanto di arginarle quanto di farle traboccare – anche tramite le parole. In questi giorni ho letto moltissimo e taciuto altrettanto, ma è arrivato per me il momento di non trattenere dentro ed esternare almeno una parte di quel che penso e sento. Alle tristi certezze di chi ha diffuso i comunicati di dissociazione qualche ora prima che la polizia inscenasse una caccia all’uomo fin dentro la galleria Vittorio Emanuele, mi sento di opporre la felicità per non essere così meschino, qualche domanda non solo retorica, e qualche inoppugnabile dato di fatto che possa ingolfare il dilagare delle menzogne. Tanto il sindacato giovanile della cgil quanto esponenti politici di partiti che per fortuna non fanno parte di alcun movimento reale, infatti, hanno deliberatamente scelto di oscurare la limpidezza di un percorso collettivo che in due mesi si è via via infittito di numerosissime assemblee pubbliche, da torre faro a contesse, da piazza del popolo a piazza casa pia. Ognuna seguita da pranzi condivisi e passeggiate esplorative dei luoghi che i cantieri del ponte devasteranno definitivamente a meno di non inciampare in una molteplice e determinata opposizione conflittuale. (Alcuni di questi luoghi, tocca evidentemente ribadirlo a chi preferisce contestare e tentare senza riuscirci di impallinare l’eventuale inefficacia altrui pur di non guardare mai allo specchio la propria, sono già stati avvelenati dai lavori per il raddoppio ferroviario eseguiti da webuild con lo stesso metodo con cui ha costruito dighe e grandi opere in mezzo mondo: ossia pensando solo ai propri profitti e facendo strame delle comunità locali) E, in tutti questi appuntamenti collettivi, nessuna e nessuno che si sia in quei momenti presentat* è stat* mai allontanat* come indesiderabile. Che si dica dunque che si è deciso di tenere fuori alcune energie, alcune sensibilità, alcuni comitati, è totalmente e incontrovertibilmente falso. […] Come ho letto in qualche commento più lucido, quando saremo invasi dalle ruspe non è detto che basteranno interrogazioni (euro)parlamentari, ricorsi ai giudici, e accorati appelli alla costituzione più bella del mondo. La quale, ricordo en passant agli smemorati, non ha impedito che l’Italia pur ripudiando formalmente la guerra prendesse parte ai bombardamenti su Belgrado e alla guerra in Afghanistan e in Iraq – è bastato, Orwell docet, chiamarle missioni di pace. Così come il genocidio a Gaza è per il Partito Democratico un modo tutto sommato digeribile di proteggere la popolazione israeliana e combattere l’antisemitismo (e qui, a fronte di tanta schifosa manipolazione, ad ognun* le sue reazioni..). E che dire del reato di clandestinità? Forse che la costituzione haimpedito la strage di Cutro e tutte le altre di migranti in mare? O il trattamento che viene riservato loro all’interno dei cpr? […] Su questa questione delle scritte ho letto davvero un profluvio di esternazioni, e vorrei dire sinteticamente la mia. Intanto relativamente alla certezza che taluni esprimono senza riserva alcuna che trattasi di una modalità comunicativa che nessuno -tranne i teppisti che le fanno- può apprezzare. Ebbene la città è piena di scritte sui muri, e coloro che oggi inaugurano in favore di telecamera panchine rosse contro i femminicidi non hanno smosso un dito per cancellare dalle vie del centro, sulla facciata del municipio, una scritta durata più di 10 anni che diceva ‘o ti amo o ti ammazzo’. Quindi registro la corrente alternata dello sdegno e cerco di andare oltre, domandando sinceramente: sì, ci sarà pure una ideologia, forse prevalente, di decoro piccolo-borghese che intride le coscienze, e capisco il punto posto da chi mi chiede arrabbiato: ma non ve ne frega niente di trovare nuovi complici, invece di fare incazzare a destra e manca? Ma mi viene istintivamente di replicare che in questo modo di pensare vedo del tutto obliterata la sensibilità e l’attitudine di tutte e tutti coloro che per comunicare scelgono quella modalità espressiva. […] A Genova, venticinque anni fa, c’era chi aveva le mani dipinte di bianco per testimoniare la propria attitudine nonviolenta – e le ha viste tingersi di rosso per il sangue fatto versare dai tutori dell’ordine. Chiunque pensi che quel sangue è scorso per colpa dei black block, mi ricorda coloro che attribuiscono ai partigiani la responsabilità dell’eccidio delle fosse ardeatine. […]”;


10) “Premesso che non sapevo della manifestazione e che in ogni caso non sarei potuto essere presente perché impegnato con lo spettacolo alla Laudamo, a fine spettacolo come di consueto per gli attori ci si è recati a cena in pizzeria e in particolare al tavolo esterno de “Gli antenati”, notoriamente nei pressi di piazza Antonello. Nell’attesa dell’arrivo del cibo apro il telefono e mi accorgo delle scritte sui muri pubblicate in vari post facebook. Devo essere sincero, la mia prima reazione è stata “nooo, che cosa è successo!” (Notando con sconforto che erano stati imbrattati muri di opere storiche, e pensando istantaneamente al grandissimo assist d’oro che avevamo fatto alla destra e ai proponte con questo strafalcione). Poco dopo, passa accanto al tavolo il gruppo di ragazz* del corteo, colorati e pacifici, che si dirigevano verso piazza Antonello facendo una calma e spensierata passeggiata (erano infatti circa le 22:30 e la manifestazione era terminata). Dopo pochi minuti salto in aria udendo e vedendo sfrecciare la camionetta della polizia verso piazza Antonello e a quel punto penso “ma se la manifestazione è finita a chi stanno inseguendo?” (e già questo mio pensiero è molto contaminato dal sistema in cui viviamo in quanto il mio cervello crede automaticamente che la polizia stia inseguendo dei manifestanti, il che non dovrebbe esistere né in cielo né in terra, eccetto i casi in cui i manifesti non si siano trasformati in pericolosi criminali). Poco dopo sempre su facebook vedo le dichiarazioni di dissociazione dei vari movimenti rispetto agli atti vandalici e contemporaneamente cominciano ad apparirmi video di scontri con la polizia e in particolare uno che ha testimoniato anche il pre-scontro: il corteo stava scendendo per Boccetta da via 24 maggio, e si è trovato uno schieramento di forze a blindare lestrade adiacenti in assetto antisommossa, alcuni manifestanti hanno cominciato a tirare delle “bombette” (da quanto vedo “innocue”) verso la polizia che era più che corazzata e gridavano insulti (mi domando, la polizia dovrebbe scortare il corteo per difenderlo da eventuali attacchi di oppositori, come mai era schierata in antagonismo al corteo? Il ché evidentemente ha generato astio dalla parte dei manifestanti). I manifestanti e la polizia erano tuttavia distanti abbastanza, c’era l’intera carreggiata del Boccetta a separarli e questo mi ha fatto pensare che sarebbe finita lì e che dopo lo sfogo verso le forze dell’ordine il corteo avrebbe continuato a scendere. Ad un tratto, invece, due poliziotti in borghese con il casco d’ordinanza partono all’impazzata brandendo il manganello e corrono verso i manifestanti per dargliele di santa ragione, a quel punto tutto lo schieramento a testuggine della polizia è costretto a seguire i due eroi per dare manforte. Dopo due colpi a destra e a manca i due schieramenti si fermano e tutto finisce lì quando un ragazzo invita a riprendere a camminare per il Boccetta. Premesso che io non avrei attaccato con insulti e bombette le forze dell’ordine, bisogna però sottolineare che i poliziotti superano un concorso con tanto di visite e contro visite psicologiche psichiatriche psicoattitudinali ecc e che seguono un corso di addestramento di mesi e mesi prima di entrare in servizio e continuano a essere formati anche durante tutta la carriera per non essere persone comuni in balia delle emozioni e degli istinti ma per avere un autocontrollo fuori dal comune e degno dell’istituzione quale sono, soprattutto perché armati. Alla luce di questa considerazione io credo proprio che se la polizia saggiamente e professionalmente non avesse reagito, il corteo avrebbe ripreso a scendere per Boccetta e non sarebbe accaduto niente. Detto questo io non ho voluto fare nessun post di dissociazione dagli atti vandalici (anche se io non li avrei praticati) perché sinceramente credo sia più grave l’inferno di mondo in cui viviamo col cemento, l’inquinamento, rispetto a delle pareti rimediabilmente scritte (d’altronde è una pratica atavica dell’uomo scrivere o disegnare sulle pareti, molto più sana rispetto alle pratiche tipiche della società industriale che ha disunito sí l’uomo dal suo vero essere). Per concludere il mio pensiero, direi comunque di vedersi per parlare senza additare di inadeguatezza nessuna parte dei movimenti no ponte in quanto tutti noi siamo atti a tale battaglia ognuno con la sua modalità di lotta secondo propria coscienza. E che nessuno si investa della carica di guida, o che detti le regole entro cui manifestare sia buono o cattivo, perché sarà l’impedire la costruzione del ponte ad essere solo e unico discrimine tra buono e cattivo. Ti abbraccio, car* compagn* che eri in strada… “sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”;




*i commenti sono riportati letteralmente come incontrati sulle varie pagine social, alcuni sono stati accorciati solo per questioni di lunghezza, con la coscienza che forse se ne sarebbe potuto alterare il contenuto;  che non ne vogliano le persone autrici di questi commenti.  (:
Di certo a tuttx loro, come anche a tante altre persone che non rientrano in questo campione per cosi dire, chi scrive si sente di mandare loro un caloroso sguardo di complicità oltre che un piccolo palpito di cuore.

*Un pensiero sempre va a chi lotta contro ogni gabbia, individuale o collettiva che sia. Ad ogni complice respiro. Ad ogni evasione. Ad ogni fanciullezza che brilla, a prescindere dall’anagrafica.


FUORI DAI RIFLETTORI – Un’altra cronaca del Carnevale NOponte dell’1 marzo 2025

 

Data l’enorme mole di parole versate da chi non è stato al corteo, pensiamo sia utile fare una cronaca dei fatti di tutta la giornata, vista dagli occhi di chi c’era. Ognuna potrà farsi la sua opinione in merito.

 

*LE INTIMIDAZIONI PRE-CORTEO

Alle ore 11:15, un gruppo di cinque persone è stato fermato presso la Stazione Centrale di Messina. Gli agenti hanno proceduto con una serie di domande di carattere personale, tra cui: da dove venite? Perché siete qui? Come siete arrivate? Siete a conoscenza della manifestazione? Dove alloggerete? Successivamente, i documenti sono stati ritirati e, dopo un’attesa di circa 30 minuti, gli agenti sono tornati comunicando che era necessaria una perquisizione. Alla richiesta di chiarimenti in merito, è stato risposto che si trattava di una semplice prassi ordinaria e che non vi era nessun problema. Le persone coinvolte hanno chiesto fosse contattatx unx legale che fosse presente durante la perquisizione; la richiesta non è stata accolta e seriamente presa in considerazione (‘a cosa vi serve?’), con la scusa che la perquisizione fosse una procedura standard Le cinque persone sono state quindi condotte nella stazione di polizia della stazione centrale, dove la perquisizione è durata circa 10 minuti. A seguito di questa operazione, sono state lasciate in attesa per ulteriori due ore, al termine delle quali sono stati consegnati loro dei verbali contenenti diverse imprecisioni e informazioni errate. In uno dei verbali è stato erroneamente riportato che la persona in questione portava con sé uno zaino, sebbene ciò non corrispondesse al vero. La motivazione della perquisizione, inizialmente giustificata dagli agenti come una normale prassi, è stata invece indicata nel verbale come conseguenza di un presunto comportamento di ‘agitazione e mancata collaborazione’. Le generalità delle persone fermate presentavano errori e solo a fronte di ripetute richieste di rettifica è stata effettuata la modifica, seppur malvolentieri. Alla richiesta di ulteriori spiegazioni in merito alle discrepanze riscontrate, gli agenti si sono limitati a dire che se vi erano lamentele queste potevano essere presentate nelle opportune sedi, non meglio specificate. Durante tutta l’operazione non è stato spiegato nessuno dei passaggi fatti dalle forze dell’ordine, rispondendo alle domande sulle procedure con reticenza. Le persone non sono statx informatx dei diritti e facoltà che avevano in quella situazione.

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*IL CORTEO

Poco prima delle 15.00, un nutrito gruppo di manifestanti arriva nel luogo del concentramento: piazza Antonello; via via, il numero cresce. Arrivata l’ora del concentramento le manifestanti devono occupare la strada, dato che le forze dell’ordine sostengono di non dover chiudere l’incrocio fino a che non arriva un certo numero di persone non meglio specificato. Il corteo si deve quindi comporre nella strettoia della via S. Agostino, già chiuso in testa da un blindato e da una volante dei carabinieri; da dietro, un cordone di carabinieri; intorno un numeroso gruppo di agenti della digos armati di telecamere.

Verso le 16.30 il corteo parte, mantenendo la propria autodeterminazione, difendendo i propri spazi con la gioia della musica, del ballo e del canto. Svolta subito sulla via XXIV maggio in direzione nord; le forze dell’ordine, in testa e in coda, relativamente a distanza.

Il corteo passa per la via cantando e ballando, diverse persone lasciano scritte sui muri contro il ponte, ma anche contro altri tasselli del sistema di cui il ponte fa parte (cpr, galere, mafia, repressione, guerra, palestina, militarizzazione, patriarcato).

Quasi arrivati all’incrocio di viale Boccetta, si ribadisce ulteriormente dai microfoni che si sta arrivando nei pressi della strada interdetta dalla questura il giorno prima (venerdì 28) per via della presenza del comando provinciale dei carabinieri: via Monsignor D’Arrigo.

 

 

Arrivato all’incrocio, il corteo è completamente chiuso e circondato, senza alcuna via di fuga praticabile.

La situazione è la seguente:

davanti la testa del corteo si fermano,  subito dopo la svolta, le vetture già presenti (ovvero una volante della municipale, una dei carabinieri, un blindato dei carabinieri e una squadra di carabinieri in assetto antisommossa rivolta contro la testa del corteo); alla coda del corteo si trova il cordone di carabinieri presente dall’inizio in antisommossa; sulla sinistra, nella carreggiata direzione valle, è presente una squadra di polizia in antisommossa, mentre sulla sinistra, carreggiata direzione monte, un’altra squadra antisommossa con dietro un blindato della polizia parcheggiato di traverso a sbarrare la strada; a chiudere la via Monsignor D’Arrigo, praticamente sul viale Boccetta, ancora un’altra squadra in antisommossa con alle spalle due blindati parcheggiati trasversalmente per chiudere totalmente la strada interdetta.

Entrate nell’incrocio, tra i fumogeni colorati, lo striscione di testa si posiziona tra le due carreggiate del Boccetta, frapponendosi tra il resto del corteo e la celere; la testa del corteo svolta a destra con l’intenzione di proseguire, ma le vetture dei carabinieri davanti si fermano impedendo, di fatto, di avanzare.

In questa manciata di secondi, dal corteo vengono lanciati in direzione dei blindati alcuni petardi e qualche bottiglia, in risposta all’ingiustizia di una deviazione che non ha niente a che fare con l’ordine pubblico ma che rimarca simbolicamente l’intoccabilità dell’ordine costituito.

Senza alcun motivo evidente, un primo agente parte correndo verso il corteo dando il primo colpo di manganello lateralmente allo striscione; la squadra lo segue lanciandosi a manganellare i manifestanti e smembrando lo striscione. I manifestanti rispondono difendendosi con quello che rimane della struttura e spruzzando stelle filanti; alcuni agenti iniziano a colpire una persona con una bicicletta ferma nei pressi dei disordini, poi tentano di strappargliela dalle mani, senza riuscirci, grazie anche all’aiuto delle altre presenti.

Mentre questo gruppo di manifestanti rimette distanza tra la celere e il corteo dopo la prima carica, la testa è ancora bloccata dall’antisommossa dei carabinieri, che non si muove impedendo al corteo di proseguire.

Diverse manifestanti e persone presenti alla scena gridano ai carabinieri di muoversi per far defluire il corteo dal cul de sac dell’incrocio, per togliere dal pericolo le persone rimaste bloccate alla fine della via XXIV maggio e abbassare la tensione; ma senza successo per diverso tempo.

Quando le manifestanti all’incrocio rimettono distanza con la celere, finalmente arriva l’ordine ai carabinieri di far muovere il corteo.

A un certo punto due agenti della polizia cominciano a correre giù dal viale, sul marciapiede, uno dei due cade a terra, alcune persone vanno verso di lui; questo attira l’attenzione dell’intero schieramento che fino a un attimo prima aveva manganellato le manifestanti, che inizia a correre compattamente per raggiungerli.

Unx manifestante, intuendo le intenzioni di aggressione dello spostamento, si frappone lungo il tragitto, dando le spalle alla squadra, con le braccia aperte, e viene travolta dalla foga di un agente che lx spinge deliberatamente a terra (peraltro redarguito da un collega). Diverse persone si lanciano a soccorrere lx manifestante a terra, e parte un’altra carica di manganellate alla cieca. Dopo un acceso diverbio, le manifestanti allontanano la squadra antisommossa e il corteo prosegue, diminuito, tra canti e balli.

 

 

Svoltato in via Garibaldi direzione nord, un altro blindato dei carabinieri con annessa squadra antisommossa (fino ad allora fermi all’incrocio con la cortina del porto) si unisce allo schieramento in coda al corteo. Per tutta la via Garibaldi si avvicina sempre di più, minacciando e insultando i manifestanti che cercano di tenere spazio tra lo schieramento e il corteo. In coda l’atteggiamento verbale e fisico dei carabinieri si fa più provocatorio ma si riesce a impedire che entrino nello spazio del corteo.

Il corteo percorre via Garibaldi sempre più compresso tra lo schieramento dei carabinieri in testa, che rallenta, e quello in coda, che accelera, mentre altre squadre si pongono davanti ad alcuni edifici bancari sul marciapiede della carreggiata opposta a quella dove passa il corteo.

Vengono lasciate ancora alcune scritte; all’incrocio del Nettuno viene dettagliatamente ricordata la storia di devastazione, distruzione e menefreghismo che ha caratterizzato WeBuild (ex SaliniImpregilo) sin dalla sua nascita, complice di disastri ambientali, sociali, sanitari in tutto il Sud del mondo; mettendo in evidenza che lo stesso atteggiamento è già palese nell’esecuzione dei lavori del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo, che procedono senza alcun rispetto degli abitanti, della loro quotidianità e della loro sicurezza; lavori i cui scarti tossici sono stati lasciati alle intemperie accanto alle case di Nizza di Sicilia e di Contesse, con conseguenze pesantissime per le persone e l’ambiente, e leggerissime per l’impresa.

 

 

Arrivato a piazza Juvara, il corteo deve svoltare per raggiungere la fine (piazza Casa Pia).

L’antisommossa si schiera all’inizio della salita e sugli spartitraffico laterali, a formare un imbuto da cui il corteo sarebbe dovuto passare a contatto con gli agenti.

Il pericolo è così evidente che unx manifestante prende il microfono e inizia a chiedere alle forze dell’ordine quali siano le loro intenzioni, se l’idea è quella di chiudere di nuovo il corteo in un vicolo cieco e far partire altre cariche; li esorta a indietreggiare e lasciare spazio al passaggio del corteo.

Il cordone lentamente retrocede su via Fata Morgana, e il corteo raggiunge l’angolo della piazza; qui, di nuovo, deve essere esortato a non impedire l’accesso al punto di arrivo, e si sposta di qualche metro verso il torrente Trapani.

Dato il mancato divieto di sosta nell’angolo della piazza dove è presente lo scivolo carrabile per entrare nella stessa, e la via Monsignor D’Arrigo dove circolano veicoli, le manifestanti sono costrette a improvvisare e far fermare il camion di testa nei parcheggi sopra la piazza.

Per tenere in sicurezza il corteo e le persone, mentre questo avviene, alcune manifestanti tengono la distanza con l’antisommossa mettendosi a bordo strada e accendendo dei fumogeni colorati.

Tutte le uscite dalla piazza sono bloccate da blindati e volanti, che restano fermi là per più di un’ora.

Il corteo si conclude con il concerto in piazza dal camion, spostato quando la strada è stata chiusa e resa agibile ai manifestanti. Tra la musica e i balli, un grande cerchio ha bruciato simbolicamente, in un falò catartico, il carro in cartapesta del ponte sullo Stretto.

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* LA CACCIA POST-CORTEO

Dopo aver ripulito i resti del falò dalla piazza, lx manifestanti rimastx si dirigono in gruppo verso il centro, notando il concentrarsi progressivo e sospetto di mezzi e personale di polizia di fronte alla piazza.

Da subito, il gruppo è seguito da alcuni agenti della digos in moto e in macchina e da una camionetta. Nella confusione, si inizia a frammentare e la digos approfitta del momento per prendere di mira poche delle persone che si erano allontanate dalla piazza.

Accorgendosene e temendo recriminazioni violente da parte dei poliziotti, questx pochx manifestanti cercano rifugio in galleria Vittorio Emanuele.

Qui gli agenti della digos, con il supporto della celere, bloccano le uscite e si avventano in massa su una singola persona, strozzandola e costringendola in ginocchio, urlando di volere i suoi documenti, senza permetterle al contempo di tirarli fuori.

La forte determinazione dellx altrx manifestanti, immediatamente accorsx in soccorso della persona fermata, ha permesso di liberarla dalla stretta dei poliziotti e di liberare la galleria dalla loro violenta presenza, tra cori e fischi, sotto gli occhi increduli delle centinaia di giovani presenti sulla scena, permettendo alla persona fermata di dileguarsi. Diversx manifestanti riportano ferite durante la collutazione con gli agenti.

Poco dopo, su una via nelle vicinanze e dopo un lungo inseguimento a piedi, la stessa persona viene nuovamente placcata e schiacciata a terra assieme ad un’altra da un nutrito gruppo di poliziotti.

Uno di questi minaccia di sparare alle persone fermate nel caso di un’ulteriore fuga.

Le due persone chiedono da subito e a più riprese di poter parlare con un avvocato ma le loro richieste non vengono ascoltate.

Come se non bastasse, si vedrà poi, nel verbale di rilascio di una delle due viene scritto che la stessa avrebbe dichiarato di non volersi avvalere dell’assistenza di un avvocato (insieme a diverse altre informazioni scorrette o false).

La prima persona viene ammanettata, minacciata a più riprese, anche con l’uso di una paletta da poliziotto in bocca, e fatta salire violentemente su una volante. La seconda viene fatta salire su un’altra volante poco dopo, dovendo insistere per essere portata nello stesso posto dell’altra e dovendo aspettare che la prima persona fosse già in commissariato.

Durante l’attesa per strada, dopo vari avvertimenti da parte della seconda persona di non essere toccata, viene chiamata  un’agente donna che provvede tempestivamente a darlx diversi strattoni. La persona chiede ripetutamente di poter bere dell’acqua, le viene data una bottiglietta e dopo pochi sorsi dalla suddetta viene violentemente strattonata e privata dell’acqua, che viene gettata a terra sostenendo si fosse ormai dissetata abbastanza.

Negli 8 minuti di tempo tra la partenza con la volante e l’arrivo in commissariato, la prima persona viene minacciata di morte più volte da un agente della digos seduto in macchina con lxi, che nega e ripete a più riprese le proprie minacce, tirando la persona per i capelli.

Nei 15 minuti di tempo tra l’arrivo della prima persona in commissariato e l’arrivo della seconda, la prima viene scaraventata contro un muro, minacciata ancora di morte e presa violentemente a ceffoni da due agenti della digos e uno di polizia, con come conseguenza un’importante ferita al labbro superiore e un forte dolore al ginocchio destro. Fatta notare la cosa, gli agenti negano all’unisono la loro responsabilità nel ferimento della persona e sostengono sia successo “prima”. Solo l’arrivo dell’altra persona, insieme a un gran numero di altri poliziotti, impedisce che il pestaggio abbia seguito.

In commissariato, dopo numerose altre richieste della seconda persona di bere dell’acqua, un agente recupera dalla spazzatura una bottiglietta vuota e fa per riempirla da un rubinetto recante la scritta “acqua non potabile”. La prima persona nota la cosa e chiede con forza che sia fornita alla seconda persona una bottiglietta nuova, come a lxi.

Il fermo procede con la perquisizione e l’identificazione dettagliata delle due persone. Non mancano degli inopportuni commenti sulla corporatura (bodyshaming) e sull’orientamento sessuale  (queerfobici) della seconda persona durante la perquisizione. A entrambx vengono prese le impronte e scattate foto segnaletiche, sedute e in piedi, da ogni lato. Alla prima persona vengono fotografati tutti i vestiti, anche rovesciati, mentre alla seconda viene sequestrato un coltellino svizzero evidentemente non atto a offendere.

Dagli sbirri viene ripetuto più volte, durante il fermo, che non c’è bisogno di sentire un avvocatx perchè “gli avvocati ora siamo noi”. Questa resta la loro risposta fino al rilascio, e l’unico momento in cui alle due persone è consentito l’uso di un cellulare è per cercare il numero dell’avvocata per la nomina, senza comunque poter telefonare a nessunx.

Nel mentre un nutrito gruppo di persone si ritrova davanti alla questura,  dove gli è stato detto che le due persone fermate si trovano (nonostante, in realtà, fossero in un’altra caserma), a chiedere notizie e il loro rilascio. Tutte le vie limitrofe a questura e prefettura, dove già si era svolta la caccia alle persone con posti di blocco e agenti in borghese, sono presidiate da volanti e blindati.

Sia in commissariato che in questura, la cosa crea scompiglio: gli agenti volevano solo una rapida vendetta, speravano di sbrigare il tutto molto più in fretta e verso l’1, dopo 3 ore di fermo, iniziano a chiedere alle due persone fermate di dare loro notizie allx manifestanti per far tornare tuttx a casa, sbirri inclusi.

Le persone fermate rifiutano di chiamare lx manifestanti, affermano che avranno loro notizie quando verranno liberatx e accelerano così il processo del proprio rilascio.

Alle 2, entrambe le persone fermate sono libere, la prima solamente con una denuncia per resistenza al fermo, la seconda col solo sequestro di un coltellino. Finalmente si ricongiungono al presidio solidale e possono riabbracciare lx proprix amix.

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*A GIORNI DA…

A giorni dalla conclusione del corteo continua la caccia a manifestanti, dislocata principalmente nei grossi centri cittadini su tutto il territorio regionale siciliano, dove agenti in borghese mediante foto del corteo sui loro telefonini attenzionano persone che gravitano introno a spazi e ritrovi sociali.