ALCUN-
PENSAMENTO
-CON/FUSO
Ed ancora ci tocca respirare molto piano, cercare di non fare rumore, di immagazzinare una totalità di aria capace solo di farci sopravvivere. I polmoni rintrizziti dall’ennesima sigaretta, il silenzio delle meste solitudini, le iniziali di qualche persona amata incise sulla pelle da qualche parte sul corpo…corpi, corpi, corpi e corpi. Ammassi di corpi, vagoni di corpi, container di corpi, abitazioni di corpi, carceri di corpi. Quanto è pesante quell’ovatta che occlude il suono dell’esistere? Quanto è schiacciante quel cemento, pesante, sul petto?
Una vita organizzata a raggiere; curioso come da ste parti la ‘raggia’, in dialetto, sia la rabbia.
E così, pensando l’esistere organizzato in raggi, compartimenti, viene da pensare ancora ed ancora alla collera. La tristezza. “Non mi fare prendere collera” si può sentire alle pendici del Vesuvio. In quel momento, la fobia per la patologia asmatica. Di fatti la possibiltà di mettere gli alveoli sottovuoto è una cosa che terrorizza. Ma si può veramente cessare di esservi? Quanto l’ipotetica mancanza di qualcosa, precisamente di fiato, ha determinato, oggi, asma? Una concezione spaventosa dell’irreversibile, che non si manifesta come opzione impossibile di tornare indietro, ma come schiacciante loop di sempre uguali che si ripetono in maniera, solo poche volte, veramente disordinata. L’impressione di una ruota che gira, si, ma comunque troppo spesso su se stessa. Tutto molto metaforico, è vero. Ma quanto anche materialmente galera?
Quanti ritorni e ritorni e ritorni; quanta staticità, quanta pesantezza… certo, irreversibile per definizione è qualcosa cui verso non può tornare ad essere ciò che era esattamente poco fa. Così questo senso è divenuto irreversibile e le parole sono divenute ancora una volta governo. Il senso unico di questa toponomastica del controllo sta determinando sempre più in quali argini fluire, o almeno avere la percezione di farlo; noi, invece, tuttx rischio idro-geologico. Forse, siamo più la montagna che si sgretola, si liquefa, sulle costruzioni prepotenti, presidi di civiltà, trincee della guerra totale contro noi stesse; piuttosto che tutte quelle istituzioni, materiali o mentali, impalcature del perenne cantiere, la vita. Probabilmente, ancora, siamo scintilla, siamo incendio, siamo dirompenza e paura costruita. Siamo gli argini che abbandonano la presa su tutta sta civiltà imposta, crollano, si dice.. ma quanto questo gesto passivo, meglio, narrato come tale, della terra è invece via indicata? Una società costruita con tiranti, argini, muri, aggrappamenti vari… quanto franare, quanto esondare, quanto abbandonarsi ad un moto micidiale è gioia? Ma noi tutti costruttrici di argini abbiamo, perlopiù, messo al palo dirompenze varie, guardando quella triste ferraglia contorcersi sotto la forza di questi spasmi, che claustrofobia in questo cono di luce, calcolato; un vertice, una base,
UN SILENZIO.
Ma che brutto vialone è questo? Il pappone ci guarda male, sta intessendo la nostra tristezza, ha stabilito un prezzo e ci ha già vendutx. I clienti non sono pazienti, hanno fretta, la maglia è stretta, ancora una volta,
SOFFOCA.
Non è che un’altro richiamo allo scioglimento della distinzione tra “noi”, umani, e tutto il resto, brutalmente messo a servizio, a produzione. Distinzione sulla quale poi si fonda la grande collera del capitale, con i suoi secondini, finanziatorx, amministranti, consociate… Il mutaformismo del, quasi, tutto possibile consumatore non permette libertà nell’illusione di poter personalizzare la propria gabbia. Così abbiamo parruccato i nostri repressori, i detrattori delle nostre esistenze li abbiamo voluti ridicolizzare truccandoli, personalizzandoli, rendendoli forse innocui. Cosa succede se adesso le maschere le indossiamo noi? Cosa succede se adesso assumiamo che siamo frana? Incendio? Trasformiamo questa parodia da replica grottesca a sovvertimento totale, carnevalesco? Possiamo essere ogni cosa ed in ogni momento, l’ambiguità che sfugge ad ogni capacità normativa. Il mutaformismo che affligge in mille forme, infatti, il nostro respiro, che lo tappa; che ci infligge paura; ci impone disfatta; frustrazione; che distrugge le sfere del sentire appropriandosene e riempondele di polarizzazione, adesso lo distruggiamo e non lo rimpiazzeremo con nuove forme di sentire sordo, perdendoci invece in quelle che erano esagerazioni, in quelle che erano prima amare lacrime adesso, invece, fiumi pieni che straripano in ogni modo, riconoscendo una volte e per tutte la violenza degli argini.
Cosa distrugge per davvero? Una linea retta di cemento perforante e velenoso o la roccia che vi si accascia sopra? Le città altamente digitali o i cuori che ne tagliano i cavi? Un fucile e il dito che preme sul grilletto o quella persona, dall’altro lato del mirino, pericolosamente resistente, come gente gazawa?
“NOI COSTRUIAMO”!!
NOI DISTRUGGIAMO!!
NOI VI SEQUESTRIAMO -non c’è riscatto- SOLO RAPINA, SOLO ESTORSIONE!!
Giusto, giusto, arriva l’ALTAVELOCITÅ…
…le sue stazioni, la sua esocentricità di devastazione turistica, edile, innovativa, tecnologica, digitale etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc. etc… Un sasso in questo stagno, stagnante solo per la precisa volontà di svuotarlo, nel tempo, di ogni humus vitale, per sostituirlo ai grandi intenti e paroloni del capitalismo chissàqualenumero.zero. Dove sono arrivate le stazioni dell’alta velocità la freccia rossa del loro arco ha scoccato una pioggia di merda per interi quartieri che hanno visto la loro vita sociale, fino ad allora conosciuta, completamente stravolta; espropriata; criminalizzata; banalizzata; folklorizzata; ed, ancora, venduta al sandaluccio galoppante di turno. Flussi organizzati di persone-capitale libere di circolare, con i loro flash facili, li dove prima c’èra la vita vissuta della gente è stata scacciata a manganellate e presidi fissi di forze armate e dell’ordine. Per esempio, per esempio… persone-capitale e persone-merce; delle industrie, dei prodotti, dei prezzi. Cosa accade se i prodotti sono le persone?! se le industrie sono galere?! se i loro profitti, invece, il nostro costo?!
Quanti cantieri collaterali travolgeranno ancora ed ancora le nostre vite? Collaterali in un duplice significato; da un lato certamente quanto appena scritto giusto qualche riga fa; dall’altro lato, un territorio, attraversato da equilibri geologici e quant’altro di certo non garantibili da sti trapanatori di montagne, che già da tempo manifesta il suo inesorabile moto verso le valli, quando piove, quando trema, in ogni momento in cui vive. Le manacce di sta gente frugano e frugano, lasciandosi dietro poltiglie di non-vita, devastazione garantita, fanghiglia velenosa che continua a caderci addosso inesorabilmente.
Per circa due mesi, in maniera continuativa, da questa fanghiglia, delle persone hanno intrecciato respiri, alcune volte aliti alcolici, sbuffate di fumo e di sconforto, spesso. Ma cosa ci ha impedito di esservi? Cosa ci ha impedito di respirare a pieni polmoni anche nel mezzo di quest’area sulfurea e sorvegliata?
IL PENSIERO VA SEMPRE A CHI RESISTE ALL’INVASIONE DELLA PALESTINA; A CHI LOTTA CONTRO QUALUNQUE FORMA DI REPRESSIONE E SOFFOCAMENTO; A CHI DANZA CON IL FUOCO; A CHIUNQUE EVADE DA QUESTA GABBIA!
da: .na qua-l- Cuno qua -lun- quE
Marzo 3rd, 2025 at 08:52
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