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CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO

Ci vediamo venerdi 25 ottobre alla piazza dell’ex fiera (passeggiata a mare) dalle ore 17.00, 

In un mondo sempre più scandito dal ticchettio del profitto, distruggiamo le lancette; ’divertirsi è un bisogno vitale’.

Incontriamoci, organizziamoci, creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

Prepariamoci al corteo contro il ‘ddl sicurezza’ di giorno 26 Ottobre.

 

Microfono aperto, musica e socialità. 

Porta i tuoi strumenti musicali, vecchie lenzuola per striscioni, indumenti, colori e/o tutto quello che vorresti decorare con la stampa serigrafica e trovare in piazza.

CONTRO IL DDL SICUREZZA

LIBERX DI LOTTARE!

 


IL VOSTRO PROGRESSO, LA NOSTRA COLONIZZAZIONE. NOTE DA SUD, TRA SCILLA E CARIDDI

 

 

Il mese scorso, le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento al pacchetto sicurezza che intende inasprire le pene per chi protesta contro le grandi opere infrastrutturali, come il ponte sullo Stretto o la TAV (tra le tante in corso di realizzazione o di progettazione).

L’emendamento, proposto da un deputato leghista e sottoscritto anche dagli altri partiti di maggioranza, intende colpire chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro la costruzione di una grande opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, rischiando oltre 25 anni di carcere. Si introduce poi una nuova aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale: le pene aumentano “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con armi; o da persona travisata; o da più persone riunite; o con scritto anonimo o in modo simbolico”.

Come se non bastasse, lo Stato potrà anticipare le spese legali agli “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza indagati o imputati per fatti inerenti al servizio”, dunque accusati di violenza nei confronti dei manifestanti; addirittura raddoppiano il budget che passa da 5000 a 10000 euro per ciascuna fase del procedimento processuale. In totale, per la difesa degli sbirri violenti vengono stanziati 860mila euro l’anno, a partire dal 2024.

In una spirale di forsennato giustizialismo e legalismo nel nome del “progresso”, la scure della repressione si abbatte sulle individualità in lotta per sottrarre alle sporche mani di Stato e capitale tutti quei territori, come anche quello ‘libidico’, presi costantemente di mira da interessi di speculazione e mero guadagno economico.

Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso. Così in nome di questo presunto sviluppo si giustificano enormi appropriazioni indebite delle nostre esistenze tutte: il loro progresso è solo un ricatto, la loro visione di “migliore”, intrisa di un ‘do ut des’ spietato ed unicamente a nostre spese, non propina mai sviluppo se non in cambio del nostro esistere, dell’essere al mondo. Così che il fetido avanzare delle frontiere del capitale necessita dell’innervatura linfatica affinché questo corpo, formato da diversi organi, possa crescere e crescere, senza mai badare alla distruzione del suo passare.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sé ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno gia portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. Supposti sviluppi arrivati in Sicilia promettendo futuri radianti e dignità a colpi di lavoro: lo abbiamo già visto, ad esempio, con il polo petrolchimico nel siracusano, una zona ormai compromessa da esalazioni e corrosione degli spazi. Case vennero abattute per fare largo a questi mostri, lavoro venne promesso; ed infine, crescita economica a dismisura per tutti e tutte. Quello che si è ottenuto è povertà, monopolio dell’indotto lavorativo della zona, malattia ed aria cancerogena. Dov’è finito il futuro radioso? Quale riscontro con la realtà avevano le promesse vuote di signori della politica e del business? Quelle torri che esalano fumo nero simboleggiano, tronfie e prepotenti, l’inganno del progresso e della delega che ha trasformato in mera gestione amministrativa lo stesso processo vitale. Rappresentano le grinfie del luminoso oblio entro la quale ci vorrebbero costringere. Rappresentano anche quello stesso inganno che si sta profilando per le persone dello Stretto.

Il progetto del ponte sullo Stretto, nella retorica dei detrattori della vita, sarebbe funzionale ad accelerare i processi di turistificazione, fonte a loro volta di lavoro precario e sottopagato per chi in questi territori ci vive e non viene in vacanza. La solita storiella che eguaglia turismo e ricchezza diffusa per gli abitanti di un luogo non è altro che l’ennesima menzogna malcelante un futuro (immediato) di estrazione forzata e devastazione diffusa, in cambio di sole briciole (come se poi un qualunque supposto guadagno potesse essere bastevole per la posta in gioco).
Se dunque da una parte la Sicilia viene venduta come una vetrina per turisti, una sorta di paradiso terrestre dove trascorrere le ferie, andare al mare e degustare il buon cibo locale; dall’altra parte si concretizza come una tra le frontiere che continua a uccidere quotidianamente, trasformando il Mediterraneo in un cimitero per chi non ha avuto il privilegio dei “requisiti” giusti per attraversarlo. Ricco, bianco e occidentale?! Allora benvenuto; se sei povero, migrante e non bianco, invece, la deportazione verso il CPR o carcere più vicino diventa come un percorso naturale, una sorte quasi scontata.

Strumenti, quelli detentivi, di messa a profitto di quei corpi “altri” da cui immunizzarsi! Solo su quest’isola ci sono ventitre istituiti detentivi, cinque hotspots, due CPR (più il CPRI di Pozzallo), che rendono la Sicilia una vera e propria colonia penale. Quindici tra basi e installazioni militari USA, due (quelle ufficiali) basi NATO, tre raffinerie.
Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari; come la costituzione di poligoni di tiro, dove fare il “giochetto” della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale, al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; e a rischio di ripetizione, il proliferare dei luoghi di detenzione, della localizzazione forzata delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Ed arriviamo alla Calabria, costellata di cattedrali nel deserto e opere incompiute.

Mentre la nostra sfera del desiderio, ricca dello Stretto indispensabile, va letteralmente in fumo insieme ai nostri boschi secolari, le nostre sorgenti sono secche e le falde ormai prosciugate, le cattedrali nel deserto continuano a configurarsi come l’unica possibilità per i nostri territori, monumenti a scempio delle nostre vite sacrificate sull’altare di un presunto sviluppo di cui non sentiamo alcun bisogno, approccio coloniale dello stato italiano garantito dall’avallo colluso della classe politica regionale e locale e dal malaffare ‘ndranghetista. Opere pubbliche se completate lasciate marcire nel degrado, oppure a malapena cominciate e poi abortite, benché finanziate con grande sperpero di pubblico denaro. Uno sfacciato spreco di risorse economiche che avrebbero dovuto essere impiegate altrove. E così non smettiamo di essere terra di incessante emigrazione e di mancata accoglienza, di servizi e trasporti pubblici assenti.

Ma non siamo più negli anni in cui, in nome del progresso e dello sviluppo di questo stato nazione, che continua a trattarci come colonia da sfruttare e da cui estrarre valore fino alla nuda vita, dobbiamo continuare a barattare il pane con la morte, una Calabria terra di lavoro avvelenato come nell’ex polo chimico Montedison della Pertusola a Crotone, città edificata con i rifiuti tossici e i veleni industriali impastati nei materiali di costruzione di case e strade. Terra di promesse e pacchetti fantasma: il V Centro Siderurgico nella Piana di Gioia Tauro, la Liquichimica di Saline Jonica, impianti morti prima di essere nati, terra di espropri e scempi ambientali, di bonifiche mai effettuate, di discariche private più o meno autorizzate ma sempre supertossiche, di torrenti che straripano e interi territori che franano, di utilizzo delle ‘ndrine per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, interrati in grotte e fiumi o nelle “navi dei veleni”, carrette del mare stipate di fusti di scorie nucleari, affondate a decine lungo le nostre coste, di dighe costate centinaia di miliardi, come la diga sul Metramo mai collegata alla rete di distribuzione né per uso potabile né per uso irriguo a servizio della Piana di Gioia Tauro,  mentre città e campagne bruciano di sete o bruciano letteralmente negli incendi annualmente programmati all’arrivo del solleone e il deserto continua ad avanzare.

Si esortano le famiglie all’uso consapevole dell’acqua per evitare gli sprechi, ma non si mette in atto alcun intervento per evitare le enormi perdite di acquedotti vecchi ridotti a colabrodo. Così si invoca a gran voce l’arrivo di piogge in piena estate, le uniche che possono salvarci dal morire disidratati. Anzi Sorical ci consiglia di utilizzare per tanti usi l’acqua già usata. Si grida alla siccità ed al pericolo della desertificazione, ma si continuano a tagliare boschi per piantare pale eoliche e costruire le strade solo per il transito dei megatir necessari ai cantieri. Sull’altare della transizione verde lo stato italiano e le grandi multinazionali dell’energia stanno facendo grossi affari e chiunque proverà ad opporsi verrà duramente perseguitato grazie all’ultimo decreto sicurezza. E così su montagne e colline ancora incontaminate e al largo delle nostre coste ioniche svetteranno gigantesche pale eoliche e  i campi agricoli si stanno riempendo di pannelli fotovoltaici. Il Marchesato crotonese, le Preserre catanzaresi e vibonesi, la Locride sono i territori in cui avanza l’aggressione incontrollata dei nuovi megaimpianti eolici: 440 impianti attivi e 157 progetti in corso.

Ma la stessa nuova sfrenata corsa alla produzione di energia green non riesce a staccarsi dalla modalità di lasciarsi dietro delle cattedrali nel deserto. Gli impianti green divorano il nostro territorio, ma troppo spesso sono impianti fantasma: pale eoliche pronte all’uso mai messe in funzione, come le mostruose torri eoliche del crotonese, a centinaia sparpagliate per chilometri ma ne girano pochissime; o interi tetti di scuole ricoperti di pannelli fotovoltaici mai collegati alla rete di distribuzione. Ad Antonimina alle porte dell’Aspromonte, la torre eolica di 150 metri nella magnifica località del monte Trepizzi non ha mai preso a funzionare. In questo assalto ammantato di green si inserisce anche il progetto del rigassificatore alle spalle del porto di Gioia Tauro e proliferano impianti proposti come assolutamente innovativi, come la criminale idea di una centrale idroelettrica di pompaggio dell’acqua del mare che la multinazionale Edison chiede di piazzare poco distante da Scilla in piena zona di protezione speciale della Costa Viola. Appalti milionari per progetti ambiziosi e di interesse nazionale, grazie alle facilitazioni procedurali garantite dal pacchetto energia del Governo Meloni, che pensa alla nostra regione come un hub energetico tutto proiettato all’esportazione dell’energia elettrica prodotta (ne esportiamo già i 2 terzi di quella che produciamo grazie anche alle 4 centrali a turbogas già in funzione). Si continuano a progettare opere prima di aver fatto gli studi adeguati; così poi si trova cobalto radioattivo scavando gallerie, come è stato per l’arteria stradale Sibari- Sila o per l’aviosuperficie di Scalea, costruita sul letto di un fiume ad elevata pericolosità e limitrofa ad una zona di protezione speciale, per di più interessata a fenomeni di erosione.

Come puoi tu, calabrese o siciliano, credere che il Ponte sullo Stretto non rientri in questa logica illogica di (non)costruzione e pura devastazione? Come puoi tu credere più alle parole di un nessuno proveniente da altrove, che ai tuoi occhi e ai disagi che vive la tua gente? E non è lampante dunque che quest’ultima trovata dello spacchettamento del progetto definitivo in fasi costruttive non produrrebbe altro che una nuova annunciata devastante incompiuta di uno sviluppo di cui non abbiamo alcun bisogno?

Sappiamo bene verso dove volgere questi sguardi, sappiamo bene chi e quali strutture ci costringono in queste catene. Sappiamo bene che firma porta la militarizzazione sfrenata ed il profitto sul sangue, sappiamo bene anche chi sono i complici, colpevoli tanto quanto gli ideatori di questi foschi intenti. Leonardo S.p.a. capolista delle fabbriche di morte, paziente zero dell’economia targata bombe e bombardamenti, droni e software di spionaggio utili alla repressione di popolazioni in rivolta. RFI, complice del monopolio armato di capitalisti e statisti firma accordi di precedenza a tutto campo della mobilità militare, immaginando sempre di più la propria infrastruttura a misura bellica. WeBuild, incaricata del riadattamento del manto autostradale per renderlo idoneo al passaggio di mezzi, anche pesanti, militari. Stretto S.p.a., della serie “duri a morire”, ripresenta il tombale volto di Ciucci a rassicurare tutte e tutti circa la cura del territorio di cui è capace una società che, sotto il nome Salini-Impregilio, si è macchiata di crimini orribili durante la realizzazione di mega infrastrutture idro-elettriche in paesi dell’Africa e del Sud-America. Medihospes, società gestrice del hotspot di Messina, vince gli appalti per la gestione dei futuri CPR italiani nei confini albanesi, a braccia aperte brama e produce profitto sull’accoglienza e la CARCERAZIONE dei migranti.

Tutti tentacoli del capitalismo che dirigono ogni loro sforzo e azione verso l’aridificazione della Terra e degli spiriti di chi la abita con la sfacciata connivenza di Stati e governi, con la spietata tutela di sbirri, eserciti e procure che sempre meno lesinano nel premere grilletti, far scoccare manganellate, saturare l’aria di gas lacrimogeni ed infliggere condanne liberticide che si configurano come vere e proprie torture.

Lo Stato italiano tortura, lo fa attraverso il braccio armato dei suoi sgherri; lo fa finanziando lager in Libia, CPR in Albania, con ogni esternalizzazione delle frontiere e la complicità di Frontex o altre cooperative intrallazzate nella c.d. “accoglienza”. La morsa repressiva non smette di stringersi, si adopera con nuovi strumenti legislativi ed esecutivi, innervando le città di occhi elettronici e dotando di sempre più strumenti offensivi gli operatori di polizia. Quanto più aumenta il potenziale di conflitto determinato dalla pressione oppresoria dello Stato, tanto più aumenta il pericolo per il loro monopolio della violenza, tanto più per noi è un segno che le gambe del Leviatano adesso tremano. Più la bestia affila gli artigli più significa che si sente sotto attacco; tanto più si avvicinano le ‘notti bellissime’ tanto più si inasprirà il conflitto interno ad opera delle istituzioni contro i vagabondi di pensieri erranti, di logiche e pensieri ‘altri’, completamente stranieri, completamente indefinibili e, dunque, liberi.

Un pensiero non può che essere allora rivolto a chiunque lotta contro le galere; a chiunque continui a bruciare quei centri di detenzione e rimpatrio; a tutte quelle persone che quotidianamente sfidano la fissità dei confini; a chiunque resista e combatta questa macchina fagocitante e distruttiva. Ad ogni compagna e compagno con lo sguardo incendiario che non permetterà mai a nessuno di occultarlo ne tantomeno di spegnerlo. Ad ogni insurrezione, personale o collettiva che sia; ad ogni diserzione, e che queste si moltiplichino infrangendosi contro il loro regno del cieco asservimento.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI.


Presentazione LA TEMPESTA – L’imprevisto palestinese nella guerra globale

dalle 17.00
merenda senza confini
ore 18.00
presentazione della rivista e discussione con alcuni redattori
a seguire
letture contro la guerra

 

* * *

Quando, nel 2022, in un impeto di gioia di liberazione dalla pesantezza della “guerra al covid”, si è deciso di voler festeggiare una pasquetta liberata contro la guerra al parco Aldo Moro, pochi di noi avrebbero potuto prevedere quello che ora succede in Medio Oriente. Ci era ben chiaro però che si potesse tendere un filo rosso che legava il lockdown al green pass e poi al precipitare della situazione legata all’Ucraina: dal lessico militare all’isolamento sociale, dal “razzismo vaccinale” alla sempre più pressante criminalizzazione delle lotte sociali, allo scoppio della guerra vera e propria, l’andazzo era palesemente quello di creare nelle popolazioni due sentimenti che vanno spesso a braccetto, la paura e l’abitudine. La paura, indefinita, indeterminata, senza una causa concreta e individuabile, condita di regole sparate a mitraglia spesso poco chiare e in continuo mutamento; e poi l’abitudine, a fare più del (già tanto) richiesto, ad affidarsi ciecamente alle direttive che vengono dall’alto, abdicando al senso critico personale e collettivo per evitare di ricadere nella paura. Un circolo vizioso potenzialmente infinito.

Oggi, nel pieno di una guerra mondiale (per noi occidentali, ancora) a bassa intensità, con le nostre sorelle e i nostri fratelli palestinesi vittime della foga colonialista di Israele, nel pieno di un movimento di solidarietà mondiale che in tutti i modi, ovunque, si cerca di reprimere, non possiamo che constatare quanto il nostro sentire si fosse incamminato sulla strada giusta, quel 18 aprile.

Abbiamo quindi deciso di ospitare la presentazione della rivista antimilitarista LA TEMPESTA, a pochi giorni dalla prima udienza del processo per quella “occupazione” (che vede indagate 26 persone), proprio in questo luogo. Uno dei pochi polmoni verdi della città, un parco che senza tutti i gruppi e collettivi che negli anni gli hanno dato attenzione parlandone, aprendolo o vivendolo “clandestinamente”, oggi non sarebbe quello che è.

Poche settimane fa, per rimpolpare la martellante campagna elettorale, è stato aperto in fretta e furia e riempito di persone a favore di telecamera; due anni fa, per lo stesso motivo, era stato deciso che doveva restare chiuso e vuoto, che (cosa mai successa nelle precedenti aperture popolari) doveva essere sgomberato «a ogni costo», con ogni mezzo, e che andava punito chi aveva osato attraversarne il confine.

L’invito è ancora una volta quello di ritrovarci, di riappropriarci degli spazi e dei tempi, di escogitare sempre nuovi modi per resistere all’aria del tempo.

CONTRO LA GUERRA, LE SUE NOCIVITÀ, I SUOI PADRONI E TUTTI I COLONIALISMI

Ri-belle e ri-belli del parco Stefano Cucchi

 

* * *

 

 

>> QUI il racconto della giornata del 18 aprile 2022

 


sabato 18 maggio CORTEO NO PONTE a VILLA S. GIOVANNI

 

***

 

Che il ponte sullo Stretto non verrà mai costruito è pressoché una certezza; quello che deve davvero far paura è tutto ciò che avviene nel mentre: espropri, blocco dei piani urbanistici, opere collaterali, apertura di cantieri farlocchi e leggi su leggi su decreti su proroghe, che terranno sotto scacco i nostri territori per chissà ancora quanto tempo.

Nei fatti, tutti questi traccheggi hanno un unico scopo: continuare a tenere in piedi l’apparato politico-economico che sulle grandi opere fonda la sua fortuna… e la rovina del pianeta!

Del binomio profitto-distruzione ne dovrebbe sapere più di qualcosa Pietro Salini con la sua Webuild: durante la sua storia (che passa appalti e amicizie di padre in figlio dal 1936, come i feudi nel medioevo) la multinazionale del cemento ha collezionato un’enorme quantità di grandi opere civili, soprattutto nel Sud del mondo (Italia compresa, dove al momento ha in corso una ventina di progetti).

Filantropia? Vocazione? Solidarietà? No: soldi e potere.

Diverse ricerche e inchieste svelano la vera faccia di questo colosso: le mega-opere dei patriarchi Salini hanno nella realtà avuto effetti devastanti sui luoghi e sulle persone che si sono trovate tra le maglie dei loro affari.

Mega-progetti ricevuti anche senza gara d’appalto valutazioni di impatto ambientale e sociale (come la diga più grande d’Africa, la ‘Gibe III’ tra Etiopia e Kenya, la cui costruzione ha ridotto coltivazioni, foreste pluviali e acqua potabile) che spesso hanno costretto la popolazione locale a spostarsi dalla propria terra, per forza o con la forza (come nel villaggio di Rio Negro in Guatemala dove più di 440 persone sono state uccise per essersi rifiutate di lasciare la loro terra alla diga ‘Chixoy’).

Altro che progresso, ambiente e domani migliori: decine e decine di esempi mettono in luce le mostruosità di un sistema che si fonda sull’intreccio di politica ed economia.

Tornando, allora, al nostro Stretto non possiamo che pensare a Scilla e Cariddi, da sempre dipinte come le mostruose figure femminili che distruggono chiunque passi tra loro, come due lame di una stessa cesoia.

E se fossero invece le anime di una terra stanca di essere stuprata? Di un Sud, tra i ‘sud’ del mondo, dal quale Stato e capitale estraggono valore?

CHI È IL VERO MOSTRO?

Come purtroppo stiamo vedendo nell’ultimo anno, non basta liquidare una società per liberarsi del folle progetto del ponte: bisogna mettere una definitiva pietra tombale sull’idea di un progresso che è sinonimo di devastazione, colonizzazione, predazione e sfruttamento. E dobbiamo farlo con le nostre mani.

‘A zoccula ‘nta l’ingranaggi

 

CORTEO NO PONTE 18 MAGGIO h. 9:30 VILLA SAN GIOVANNI
(da Messina 8:30 Rada S Francesco, nave alle 9:20)


L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere. Parole chiare contro il terrorismo di Stato in solidarietà ad Antudo

Da il rovescio.info

Riceviamo e diffondiamo questo testo, tre volte prezioso. Per la doverosa solidarietà ai redattori e redattrici di Antudo (https://www.antudo.info/), alla quale ci associamo. Per la chiarezza, e la precisione, con cui si scaglia contro la definizione data dall’Unione Europea del concetto di “terrorismo”, pensata appositamente per mettere fuori gioco ogni lotta concreta (definizione che lo Stato italiano, unico caso in Europa, ha integralmente recepito in uno specifico articolo di legge, il 270 sexies del “nostro” codice penale). Infine, per la rivendicazione del gesto, «non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi». In tempi come questi, quando la caccia alle streghe sovversive o anche solo dissidenti si fa quotidiana e parossistica, gettando persino l’esposizione di striscioni in solidarietà ad Alfredo nel calderone sempre più capiente del “terrorismo”, è anche di parole e concetti come questi che abbiamo bisogno.

Sull’uso sempre più frequente del concetto di “terrorismo” contenuto nell’articolo 270 sexies, si veda anche questo testo sulla recente operazione repressiva in Trentino: https://ilrovescio.info/2023/08/04/ennesima-inchiesta-per-270-bis-in-trentino-richieste-e-non-concesse-12-misure-cautelari/

Qui l’articolo e il video di Antudo incriminati: https://www.antudo.info/sanzionata-leonardo-palermo-defendkurdistan/

L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere

«…intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale»

In queste poche righe sta racchiuso il colpo di genio che l’intelligenza repressiva ha elaborato negli ultimi decenni. Grazie al lavoro degli instancabili giuristi con l’elmetto, necessari al Sistema quanto lo sono gli enti di ricerca sui sistemi d’arma, la vaghezza della nozione di terrorismo è stata completamente assunta dalla lingua dello Stato per potere essere impiegata come arma contro i suoi nemici. Se «intimidire la popolazione» o le popolazioni è una prerogativa morale e materiale di ogni Stato – e quindi senza effetti giuridici, visto che è inimmaginabile uno Stato che persegua se stesso – rimane, a moralizzare l’azione repressiva, la seconda parte del periodo. Scompare dall’orizzonte dei sacerdoti del diritto la violenza strutturale, le migliaia di morti annue prodotte da frontiere, carceri, lavoro, inquinamento, nocività; scompaiono le carneficine perpetrate dagli eserciti e gli orizzonti attuali di terza guerra mondiale con corredo di olocausto nucleare. Mostro è, in questo bel mondo, chi pensa di opporsi e pensa di farlo non solo platonicamente ma agendo «contro le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali»: a dimostrare che niente, neanche il rapporto tra significati e significanti, resta fuori dalla guerra sociale.

In queste settimane stanno fioccando le inchieste per associazioni con finalità di terrorismo verso compagni e compagne che hanno lottato al fianco di Alfredo Cospito e contro il 41 bis. In Sicilia, le case di sei compagni e compagne di Antudo sono state perquisite con l’accusa di istigazione a delinquere e di atto con finalità di terrorismo (280 bis). Queste accuse si riferiscono tanto alla pubblicazione del video di un attacco ad una sede di Leonardo s.p.a. in Sicilia e al testo che l’accompagnava (istigazione a delinquere), quanto all’azione di attacco in sé (280 bis). Se una cosa vigliacca e schifosa come la repressione può avere un merito è che, nel farla, lo Stato parla chiaro.

Il carcere, il 41 bis, Leonardo s.p.a. e tutto l’apparato tecno-militare-carcerario, sono «strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali» dello Stato e dell’organizzazione sociale in attuale traghettamento verso l’utopia del controllo totale. Dalla guerra all’intelligenza artificiale, dalla collaborazione nella colonizzazione sottomarina con reti di cablaggio internet alla robotica e al 5G, per Leonardo s.p.a. non ha alcun senso la distinzione tra militare e civile (e scompare anche la distinzione tra “statuale” e “capitalistico”).

Quanto a noi, oltre a dare la più calorosa e sincera solidarietà alle inquisite e agli inquisiti, ci preme ribadire un concetto che ci è molto caro. A prescindere da chi quell’azione l’abbia realizzata, essa va difesa, dichiarata giusta, rivendicata – non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi, dei bombardati, dei morti che diventano statistica. Quella azione che per loro è terrorismo, è per noi fonte di incoraggiamento, è un atto di dignità esemplare. Loro hanno i codici, noi abbiamo la nostra memoria di oppressi: dalla colonizzazione di ieri all’estrattivismo e alle guerre di oggi, lo Stato è il più grande produttore di terrore.

Solidarietà a tutti i compagni e le compagne indagate nei recenti procedimenti!

Solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, Zac, Rupert, Davide e a tutti i rinchiusi, i ristretti, i braccati dalla legge!

Solidarietà alle popolazioni e agli individui colpiti dagli incendi devastanti! Il problema non è il fuoco, è la miscela tra il fuoco e l’etica assassina di una società basata sul profitto e sulla sopraffazione.

alcune/i siciliane/i contro lo Stato e i suoi tentacoli


Resoconto del presidio contro la sorveglianza speciale

RESOCONTO

Il 2 novembre 2022 si è tenuta a Messina l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di Claudio e Dario. Per tutta la mattina davanti al tribunale si è riunito un presidio di solidali, che ha visto una variegata partecipazione di compagne, amici, singoli e collettivi che hanno attraversato le lotte sociali degli ultimi anni e che nell’ambito delle indagini e delle intercettazioni sono finiti anch’essi sotto la lente repressiva dello stato. Durante la mattinata si sono alternati diversi interventi che, oltre a Claudio e Dario, hanno espresso solidarietà anche ai compagni anarchici in carcere, in particolare Alfredo, Anna e Juan. Il giudice, avallando il parere avverso della pm, ha rigettato la richiesta di svolgere l’udienza a porte aperte, adducendo come motivazione ragioni d’ordine pubblico. L’udienza si è aperta con il deposito da parte della procura di una informativa integrativa dell’indagine a carico di Claudio e Dario, che andrebbe ad infittire le accuse a loro carico. Alla richiesta di rinvio ad altra data presentata dall’avvocato difensore, e che avrebbe permesso di visionare il nuovo incartamento, il giudice ha però risposto che il dibattimento si sarebbe dovuto tenere comunque in giornata, concedendo soltanto un rinvio ad horas. Prima della requisitoria della pm, Claudio, presente in aula, ha tentato di leggere una sua dichiarazione, di cui però ha potuto riportare esclusivamente la parte finale, dove esprime solidarietà ai compagni anarchici in carcere. La sentenza sarà notificata entro 90 giorni. Terminata l’udienza Claudio, raggiunti i suoi compagni e le sue compagne in piazza, ha potuto dare lettura integrale della sua dichiarazione.

RIFLESSIONI

Cosa succede quando al tentativo dello Stato di isolare, distorcere, criminalizzare un’etica che sostiene e guida un agire chiaro, gli individui destinatari dell’azione repressiva (e in senso allargato le relazioni che si portano appresso) schivano la paura indotta, portando in luce ciò che nei giorni del quotidiano delle nostre vite costrette rimane al buio dell’alienazione – ma è lì, ancora vivo? Succede quello che abbiamo vissuto ieri, nella piazza di fronte il tribunale di Messina: non una routine, non una presenza al minimo, ma il massimo possibile nel momento della generosità e del sentirsi parte che si sono espressi e hanno parlato al di là della contingenza della richiesta di sorveglianza speciale; sotto accusa non erano solo Dario e Claudio, ma insieme e attraverso loro, come sempre accade (in questo momento lo viviamo con una gravità e un senso di urgenza cui sappiamo di dover rispondere) tutta una storia, lunga, di esperienze di lotta di un territorio. Della ricchezza di quel contesto si è stati partecipi: e nello stringerci intorno ai nostri compagni, nell’esprimere solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, ai detenuti tutti, nel parlare in piazza di 41bis iniziando a riappropriarci delle parole e di una storia taciute, lasciate troppo a lungo nelle mani del potere, abbiamo per qualche ora dato un senso altro a un luogo nemico; ché la solidarietà ha il peso, tutta la materialità della presenza, tanto da accorciare distanze e riavvicinare percorsi che negli anni si sono separati. Era un condensato di umanità in relazione eccentrico, ricco, plurale, a manifestarsi, il senso di un ergersi della fierezza quando sotto attacco è il procedere – con fatica e modi diversi – in direzione ostinata e contraria, col pensiero e nelle azioni. Questa consapevolezza, la sensibilità e il calore umani, la convinzione in se stessi di ciò che si è, si vuole essere, il tentativo di somigliarvi e di costruire una vita che più ci somigli, e che riusciamo a vivere a sprazzi, per brevi momenti anche in un presidio, sono il precipitato di percorsi singolari e comuni che si intrecciano, che suonano di armonie e dissonanze. E che hanno al contempo la voce di sussurro delle parole d’affetto dei propri cari e l’urlo a squarciagola dei compagni nell’ora della lotta.

Qui la dichiarazione di Claudio: dichiarazione-di-claudio-contro-la-sorveglianza-speciale1

La mattinata si è conclusa con la comparsa di uno striscione in solidarietà ad Alfredo, in un affollato viale cittadino:


Sulle richieste di sorveglianza speciale per Claudio e Dario

A due compagni di Messina sono state notificate da poco due richieste di sorveglianza speciale.

In entrambi i casi le procedure di notifica sono state a dir poco torbide: in particolare, una di queste è stata consegnata l’ultimo giorno utile per non farla saltare, con un documento di una sola pagina, le restanti (poco meno di una 40ina) sono state recuperate dall’avvocato solo ieri.

La misura della sorveglianza speciale (non legata a specifiche accuse di reato ma ad arbitrarie analisii della personalità dell’individuo e dei possibili reati futuri, e i cui provvedimenti sono altrettanto discrezionali) è stata usata sempre più di frequente negli ultimi anni per tentare di fiaccare persone, rapporti sociali e realtà di lotta; come l’abbiamo sempre avversata continueremo a farlo e a essere solidali con chi viene colpito da questa misura di fascisti natali.

L’udienza si terrà il 2 novembre mattina al Tribunale di Messina.

Seguiranno prestissimo aggiornamenti.

Messina, 26 ottobre 2022

 

 

 

 

 

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Alcune notizie dal CPR di Caltanissetta e il resoconto di un’iniziativa volante contro di esso.

In una mattina d’agosto, alcunx solidalx si sono ritrovatx di fronte al cancello di Pian del Lago, a Caltanissetta, dove la guerra del regime di frontiera si esprime al suo meglio.
Pian del Lago, ex base militare trasformata nel 1998 in CPT, è ora un centro logistico fondamentale dove le persone migranti vengono rese sfruttabili ed espellibili e da cui poi vengono deportate. Qui si trovano l’ufficio immigrazione, il centro per richiedenti asilo e la struttura più strettamente detentiva, ovvero il Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). L’assenza di cure mediche -ad eccezione degli psicofarmaci-, i continui voli di deportazione che si susseguono senza alcuna possibilità di sottrarvisi sul piano legale, il caldo devastante in stanze senza ventilazione, in un luogo al centro di una Sicilia ancora più in fuoco per la catastrofe ecologica, rendono ancora più disumana la reclusione.
Negli ultimi mesi nei blocchi del CPR si sono susseguite molte proteste, duramente represse dalla polizia e dai carabinieri che si trovano numerosi di base nel campo. A fine giugno, in un ennesimo tentativo di rivolta una persona è caduta dal tetto e la polizia ha lasciato passare un tempo omicida prima che un’ambulanza potesse essere chiamata. A fine luglio, in uno dei blocchi del centro è stato appiccato un fuoco da chi ha preferito rischiare di morire bruciato, piuttosto che restare rinchiuso in un luogo peggiore del carcere -così infatti racconta chi è stato in entrambi- o venire deportato. Ogni settimana dei voli per la Tunisia e l’Egitto partono dalla Sicilia, riempiti dalle persone detenute nei CPR del sud d’Italia.
E’ anche per questo motivo che si è voluto tentare di inceppare concretamente la macchina della deportazione esprimendo solidarietà attiva a chi resiste nell’isolamento razzista di questo lager.
Se chi cercava di varcare il cancello per andare a lavorare dentro il centro per una volta si è sentito molto a disagio nel farlo, le donne e gli uomini razzializzatx in attesa dell’apertura dell’ufficio immigrazione si sono invece sentite rincuorate dalla presenza di chi stava denunciando le forme di crudele violenza, ricatto perenne e razzismo con cui lo stato rende invivibili le loro vite. Nelle chiacchiere con alcunx altrx migrantx che vivono nel centro per richiedenti asilo sono emerse le condizioni di abbandono e miseria in cui vengono lasciatx nell’”accoglienza”. Pur non essendo a conoscenza dell’esistenza di un carcere vicino alle loro camerate – il CPR-, hanno raccontato delle grida e delle battiture che si sentono provenire da là, dove l’alta recinzione isola i blocchi dove son reclusi coloro a cui vengono negati i documenti.
Grazie alla presenza dex compagnx, il bus con cui normalmente vengono portate all’aeroporto le persone deportate è stato bloccato per due ore all’interno del centro.
Rispetto all’imponenza militare del dispositivo di repressione e deportazione, questa mattinata di lotta è stata ben poca cosa. Seppur, ci mostra l’importanza di continuare a pensare che la guerra contro chi vuole muoversi da quei luoghi in cui la democratica Europa si è costruita – e continua a farlo – torturando, stuprando e facendo massacri, può essere fermata.

Brick by brick, wall by wall, we will make the European Fortress fall!


Una giornata A-normale

Lunedi 18 Aprile, giorno di Pasquetta, abbiamo liberato un parco in teoria pubblico, ma nei fatti sottratto alla collettività da 50 anni per via di un contenzioso tra il Comune di Messina e l’INGV, oggetto di decine e decine di promesse, campagne elettorali, ma di fatto mai aperto, se non da altri gruppi in lotta, nel 2014 e 2017.

 

Perché occupare un luogo, all’interno del quale a un certo punto si mangia e si canta, si balla e si gioca a nascondino, per protestare contro le guerre? Ciò che sentiamo profondamente è che ogni volta che riusciamo a sprigionare la forza d’urto che cova nel nostro petto, a sperimentare la bellezza dei momenti sottratti alla legge del mercato e alla legge del più prepotente, sentiamo crescere un mondo nuovo dentro di noi. E anche se questo non fermerà la brutalità della guerra, può arginare l’atrofizzarsi delle nostre sensibilità e delle nostre intelligenze, darci armi e stimoli per non essere complici passivi dei guerrafondai e per non abituarci all’orrore.

Il dispiegamento delle forze – sedicenti – dell’ordine è stato imponente: per far fronte a 20-30 persone che avevano oltrepassato un cancello e alla dozzina di solidali fuori dalle sbarre, nel giro di mezz’ora sono stati mobilitati municipale, carabinieri, polizia, digos; nel momento clou del dispiegamento, a bloccare il traffico sulla strada ci saranno state tra le cinque e le sette volanti. Un assedio durato più di quattro ore per cui sono stati scomodati colonnelli, marescialli, tenenti; in cui è stata utilizzata ogni forma di persuasione, dalla captatio benevolentia, alle minacce, ai colpi di tenaglia sulle mani, alle spinte giù dai muri. E’ ironico pensare che questo dispiegamento di forze, con armi di vario genere (dalle pistole ai nuovissimi taser) accusasse di aver commesso un atto di violenza chi aveva oltrepassato un cancello, armato solo di volontà di cuore e qualche gesto di sano disprezzo per chi la violenza la pratica a nome dello Stato e per una paga mensile!

Alla fine, dopo aver identificato alcuni dei presenti, il parco è stato lasciato aperto, le persone (tante, da chi aspettava, a chi passava di là per caso, a chi lo ha saputo a cose già concluse) sono potute entrare per ritrovarsi insieme a festeggiare un luogo aperto.

Sarà la corsa alle elezioni – in cui ogni argomento diventa pubblicità -, sarà la guerra tra gli Stati – che pretende una ancor più forte controllo negli Stati -, o sarà che l’apatia degli ultimi anni di paura e solitudine ha fatto percepire una cosa già successa come un’esplosione di novità intollerabile; o sarà perchè, nel bisogno di assecondare i desideri di lotta e socialità, non si è minimamente preso in considerazione quanto fastidio potessimo dare a chi dà gli ordini, quante parole avremmo fatto sprecare a candidati, giornali e commentatori vari. O, magari, sono tutte queste cose insieme.

I giornali locali hanno detto che volevamo puntare i riflettori sulla diatriba del parco, hanno titolato con uno ‘sgombero’ che non è avvenuto; ma lasciateci dire che gli unici riflettori che vogliamo puntare sono sui nostri cuori, l’unico obiettivo che volevamo raggiungere era riprendere possesso delle nostre possibilità.

Siamo una collettività di individui che vuole formare comunità, senza aspettare che qualcuno glielo conceda.Sottrarre uno spazio, tra l’altro uno dei pochi parchi della città, a chi vive il territorio è espressione della prepotenza di chi governa che impone i propri interessi alle necessità e ai desideri concreti degli individui e delle collettività. Nella stessa logica coloniale altri territori (interni o esterni) vengono strappati alle comunità locali sulla base di interessi economico-militari (come è successo nella sughereta di Niscemi per la costruzione della base militare americana, a Sigonella per la costruzione della base NATO, per l’allargamento della quale sono già stati espropriati centinaia di ettari di campagna, in Africa per la costruzione dei pozzi petroliferi da parte dell’Eni, nella foresta Amazzonica per la produzione di materie prime da parte dell’imprenditoria tessile dei Benetton, in Palestina per la costruzione dello stato di Israele e la lista potrebbe continuare all’infinito).

Due anni di gestione militare della pandemia, accompagnata da una narrazione dominante che condanna e ostacola ogni espressione minimamente dissonante e che pervade ormai il nostro stesso sentire, hanno ulteriormente accelerato il processo di alienazione dai propri bisogni e desideri. L’introiezione dei concetti di divieto di circolazione e di aggregazione, distanziamento, isolamento, mutilazione corporea (mascherine, guanti, divieto di abbracciarsi e di baciarci), e persino rinuncia di una gestione libera e autonoma della propria salute, ha reso automatica, quasi spontanea, l’autocensura, l’autorepressione. Ci troviamo ormai a fare i conti con i tribunali interiori prima che con quelli reali per aver disobbedito a una legge che non ci interroghiamo neanche più quanto sia conforme alla nostra idea di giustizia. Ci siamo così abituati all’esistenza dei confini e delle frontiere da averne introiettato il limite.

 

Lunedì mattina abbiamo trovato assieme il coraggio di resistere alle forze dell’ordine che volevano sgomberare il parco. Quei momenti di conflitto ci hanno aiutato a superare l’isolamento e il senso di impotenza e a far cadere i veli dell’educazione all’ubbidienza che ci è stata inculcata. Il motto della giornata è stato: il parco è aperto a tutti tranne che agli uomini armati!

 

Siamo convinti che solo una collettività di persone determinate a stare in ascolto (dell’altr_, del territorio, dell’aria del tempo) possa ri-creare una comunità di libertà, attenzione, e cura per sè stess_ e per tutt_.

In netta contrapposizione con chi vede nel sistema del capitale (e in quello della guerra, che ne è parte integrante) il mezzo più conveniente per arricchirsi; un invito a immaginare e sèperimentare altri ondi possibili anche a chi finora non lo ha fatto.

 

Ci siamo date l’assemblea come modo orizzontale per confrontarci, mettere in comune emozioni ed energie, e organizzarci. Senza smettere di interrogarci sui metodi comunicativi di questo strumento affinchè ciascuna possa trovare al suo interno la libertà di esprimersi con franchezza e dare il proprio apporto.

 

 

            Ribelli di Parco Stefano Cucchi

  • contro tutte le guerre,

contro tutti gli eserciti,

contro tutti i confini.

 


Assemblea contro la guerra

 

Sono passati due anni dall’inizio dello stato di emergenza per la pandemia, accompagnato da una incessante propaganda che giustificava restrizioni che di sanitario avevano ben poco; neanche il tempo di prendere fiato, che già un nuovo stato di emergenza è messo in atto per la guerra tra Russia e Ucraina. In tempi record tutti i paesi occidentali vi si sono buttati a capofitto, coinvolgendo – di fatto − le popolazioni dei territori in un conflitto allargato che potrebbe diventare nucleare. Milioni sono stati stanziati dall’Italia per incrementare le spese militari e la maggior parte degli Stati europei è già in piena corsa al riarmo.

Gli organi d’informazione di massa ci raccontano la catastrofe umana ed ecologica del conflitto bellico come la dolorosa ma inevitabile risposta a decisioni “folli” prese da regimi dittatoriali o autocratici – gli stessi con cui le democrazie occidentali e la Nato hanno intrattenuto fino a poco prima rapporti d’affari o di supporto militare, come i talebani, Saddam Hussein, Assad… e Putin; mentre con altri della stessa pasta continua il business, come Egitto, Turchia, Israele, Emirati arabi… e la Russia.

Sappiamo bene qual è il “volano dell’economia” italiana, con le sue aziende produttrici d’armi e tecnologie militari esportate in tutto il mondo. Sappiamo bene che durante il confinamento, nei primi mesi dell’esplosione pandemica, neppure per un giorno si è fermata l’industria bellica, la sua produzione di morte per il profitto dei pochi. Mentre gli ospedali, le scuole, i presidi sociali erano (sono!) al collasso per via dei tagli, piuttosto che invertire la rotta i padroni del vapore hanno continuato (continuano!) a mettere davanti alle esigenze della vita la logica del valore economico – e la militarizzazione dei discorsi e degli spazi pubblici hanno svolto (svolgono!) un ruolo decisivo.

Un generale dell’esercito commissario per l‘emergenza sanitaria, strade pattugliate notte e giorno da ronde poliziesche, dilagare del lessico militare in tutti i media… ognuno di questi elementi portava in grembo conseguenze catastrofiche. Guerra in Ucraina, “transizione ecologica” a suon di carbone e nucleare, morti durante l’alternanza scuola-lavoro, aumento di benzina e bollette… i primi segnali non si sono fatti attendere.

E, con ogni probabilità, questo è solo l’aperitivo: tifoserie nazionaliste, inno al machismo, giustificazionismo nazifascista, aumento della xenofobia e del razzismo, potenziamento dei confini, incremento della sorveglianza, imposizione di poli tecnologici e militari sui territori, ritorno ai combustibili fossili, avvelenamento degli ecosistemi… tutto questo lo vediamo già accelerare vertiginosamente.

Sta a noi uscire dall’isolamento in cui il regno delle merci e delle macchine ci vogliono imprigionare. Sta a noi disertare la guerra tra gli Stati, sostenere i disertori dell’idea di patria, lottare contro le frontiere che uccidono, batterci per ciò che sentiamo giusto.

Se ci incontreremo nell’urgenza di ribellarci all’apocalisse nucleare che minaccia le nostre teste e i nostri cuori, forse riusciremo a prenderci cura della nostra comune umanità.