Category Archives: comunicati

20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO:

20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!
SOLIDARIETA’ DA ROMA CON LA LOTTA ANTIFASCISTA IN OGNI DOVE!


Dal 1997, ogni anno, in Ungheria i nazionalisti dell’estrema destra provano a commemorare i soldati ungheresi e tedeschi che morirono nell’assedio realizzato dall’esercito sovietico a Budapest nel 1945, annichilendo quasi 30.000 soldati nazisti – un giorno nominato come “il giorno della gloria” dai neofascistidei nostrigiorni. In questo contesto i gruppi più forti della destra hanno sempre accolto estremisti fascisti da molti paesi, superando le 2000 visite, rendendolo uno dei raduni neofascisti più grande e importante della scena europea. A Budapest, l’uso di simbologia autoritaria è sempre stato tollerato meglio rispetto ad altre capitali europee, all’interno della retorica della “conservazione della tradizione”. Negli ultimi anni si è registrata la partecipazione di numerosi fascisti con le uniformi delle SS o della wehrmacht con svastiche annesse. Secondo la legge vigente, qualsiasi celebrazione che minimizzi i crimini fascisti non è consentita, tuttavia questi raduni si sono svolti non solo nella totale impunità, ma anche con la piena tutela garantita dallo Stato protofascista ungherese.


Nel periodo andato dal 9 all’11 febbraio del 2023, ci sono stati diversi scontri con nazisti, alcuni dei quali molto ben coordinati, al margine dell’evento. Gli interventi antifascisti hanno messo bene in chiaro che i fascisti non possono portare la loro propaganda revisionista per le strade di Budapest senza essere disturbati o affrontati direttamente. Però questi interventi e azioni antifasciste hanno avuto come conseguenza l’arresto di alcunx compagnx. È questo il contesto in cui Maya, una compagna antifascista tedesca, è stata arrestata in modo violento nella casa dei suoi genitori nel marzo 2023, estradata in Ungheria alla fine di giugno del 2024, a dimostrazione della complicità protofascista dei due stati e del risultato dell’ “implacabile lavoro” dello stato ungherese nell’opprimere e perseguitare persone queer e antifasciste. Da allora si trova lì, in regime di isolamento, accusata di aver partecipato agli attacchi ai danni dei nazisti.


Dal 5 giugno 2025 è in sciopero della fame, in protesta contro le condizioni inumane cui è stata sottoposta nell’ultimo anno, carcerata in un contesto che non riconosce la sua identità queer – la quale è trattata come una brutta malattia infettiva:
“Non posso sopportare le condizioni di detenzione in Ungheria. Per tre mesi la mia cella è stata videosorvegliata costantemente. Per sette mesi ho dovuto indossare sempre le manette fuori dalla mia cella – e a volte anche dentro la cella”.


Il 20 giugno 2025 è stata rigettata la sua richiesta di detenzione domiciliare e resta quindi in Ungheria e in sciopero della fame. Le notizie riguardo il suo sciopero della fame si possono trovare qui: https://www.basc.news/category/tagesbericht/

In Ungheria rischia 24 anni di carcere.
Lo Stato ungherese conduce da molti anni una caccia serrata allx antifascistx, in cui lo stato tedesco non solo è complice, ma mostra apertamente la propria agenda fascista. Mentre da un lato gli assassini della destra estrema vengono classificati come mentalmente infermi e trattati con leggerezza, la cassetta degli attrezzi a disposizione degli assassini dello Stato per dare la caccia allx antifascistx clandestinx e perseguitare lx arrestatx è in continua espansione. Non è certo una coincidenza che l’NSU abbia potuto vagare per la Germania assassinando sistematicamente persone razzializzate indisturbata per dieci anni, che gli estremisti di destra abbiano potuto commettere crimini di massa come incendiare case di rifugiati, attaccare dissidenti e allo stesso tempo accumulare armi, e che solo raramente siano stati affrontati con la repressione statale, mentre tutti i tentativi della sinistra di organizzarsi e resistere sono stati criminalizzati e meticolosamente perseguitati.
In procedimenti come quello del complesso di Budapest, la polizia indaga la formazione di una organizzazione criminale in virtù dell’articolo 129. Questa accusa, facile da formulare per la polizia, apre allx investigatorx tutto il repertorio di mezzi di sorveglianza: perquisizioni domiciliari, controllo, intercettazioni telefoniche, uso di videocamere, dispositivi di localizzazione e investigatorx sotto copertura. Le reti sociali della sinistra radicale vengono indagate attraverso procedure di indagine strutturate, in base alle quali la polizia è inizialmente interessata a chiunque sia associato ai sospettati. Un altro compagno, attualmente in custodia cautelare a Norimberga, è stato recentemente accusato di “tentato omicidio” nel tentativo di fare pressione sui clandestini con accuse esagerate.


Risulta chiaro, ancora una volta, come l’autorappresentazione degli stati non corrisponda con la realtà delle loro azioni e come le loro agende non facciano altro che implementare ulteriormente i programmi fascisti e servire la classe dominante. Tutti gli stati, le loro concezioni di legge e giustizia e i loro sbirri assassini continuano ad essere i nemici di ogni popolo!


LIBERTA’ PER TUTTX – FUOCO ALLE GALERE!

La pratica antifascista è diversificata e necessaria, che sia a Berlino, Leipzig, Jena, Milano o Budapest: “Chi lotta contro i nazisti non può mai confidare nello stato”.
Esther Bejarano

TESTO ORIGINALE: https://lapeste.org/20-22-junio-jornadas-acciones-internacionales-maja/


“RIMANDATO A DATA DA DESTINARSI”

“[…] E vi è una legge “sacra”; una società “sacra”; una morale “sacra”; un’idea “sacra”! Ma noi – i padroni e gli amanti della forza empia e della bellezza volitiva, dell’Idea violentatrice – noi, gli iconoclasti di tutto ciò che è consacrato – ridiamo satanicamente, d’un bel riso largo e beffardo. Ridiamo!… E ridendo teniamo l’arco della nostra pagana volontà di gioire sempre teso verso la piena integrità della vita. E le nostre verità le scriviamo col riso. E le nostre passioni le scriviamo col sangue. E ridiamo!… Ridiamo il bel riso sano e rosso dell’odio. Ridiamo il bel riso azzurro e fresco dell’amore. Ridiamo!…”

Renzo Novatore, “Verso il nulla creatore”


“Rimandato a data da destinarsi” è il motto di un mondo che continua ad aspettare attonito un orgasmo che mai arriva o, se si, allora il coito è perennemente interrotto. Non esiste creazione se non replica di quanto già avviene in ogni istante dell’esistente, così definito per com’è. Ma noi continuiamo ad imporci il conosciuto e mai osiamo spingere l’occhio, il cuore, il fegato un po più in là. L’ignoto atterrisce ed è per questa stessa ragione che la fertile fanghiglia del fiume resta dentro al letto e non si alza mai da li per fuoriuscirne. 

Le piazze qui si prenotano, alcuni ci riescono pure a decidere gli ingredienti, come fossero pizze. Le stesse pizze che elargiscono guanti impellati sui volti della vita da loro detta degrado. E adesso si preparano al peggio, indossano i loro guanti nocca-induriti, scudi di plastica resistente, torce tattiche e via di cecità imposta a suon di manganellate, testosterone e provvedimenti. Complici, rane e rospi gracchiano e lo fanno ancora ed ancora. Chi seduto alla destra chi alla sinistra, ma comunque al servizio del padre depravato che sbava sulla vita, inferendole colpi di morte insensata. 

La cispa del sonno offusca la vista sino al crepuscolare e, poi, l’alba non permette nuove messe a fuoco, se non invece ancora patine su patine, fiumi di acqua congelata. Ma il sonno è importante, l’incubo diventa tale quando si incomincia ad affogare nello stesso pozzo in cui si aveva il terrore di precipitare. La paura dilaga e allaga, togliendo sempre più ossigeno e favorendo l’avanzare di un tenebroso buio statico e veramente poco elettrico. Freddo gelido. Traumatici scontri con l’opinione balbettata nei salottini del ‘bel pensiero’ hanno imposto il blocco dell’emozione. Sollecitazione di qualcosa di nascosto che, paradossalmente, lo nasconde ancor di più. 

Fuga, fuga, fuga. Ma da chi? Da cosa? Ma verso chi? Verso cosa? In realtà vedo le fauci spalancarsi poco più in là, l’ennesimo carnivoro in un mondo di zombie. 

Così che in questo ritmo del sempre uguale qualunque stonatura divenne un rischio e, tacitamente, si tornò a scorrere nei soliti argini. Quello che fece squarcio è stato, poi, in parte, incentivo di compromesso, di incontro a ribasso nel pastone del movimento angosciante che le ventiquattro quotidiane ci affliggono di già. Ma è da comprendersi; la performance impone il concentrarsi sulla messa e poi su quella che seguirà, scansando sapientemente l’estasi della morte con “le stelle dorate negli occhi”. Il sangue dal sottosuolo continua ad urlare in un un’unico boato di disprezzo e da questa parte vi è il peggiore dei sordi, quello che si rifiuta di sentire e pretende comunque di ascoltare. 

La prossemica del parroco che recita la messa e che cambia l’omelia confacendosi al compiacere di orecchie mono-melodiche.  Il rituale è costantemente ripetuto, il buon vivere rimandato al regno dei cieli!

Ossa carpali mimano opposizione;  “andate in pace, la messa è finita!” Terminata, dunque, fedeli tornano a casa silenziosi, al loro quotidiano funzionamento. Aspettando, più o meno operosi, il riaprirsi del prossimo sipario domenicale, l’ouverture della tristezza nel mezzo del settimo giorno. Poi, il tabù riposto laddove era stato tirato fuori; tabernacolo pieno di ostie, un numero finito di possibilità e lo stesso cammino già battuto e tracciato molteplici volte.  Estenuante progettazione di un qualcosa che di per sé non avviene, concretizzandosi solo nel costante ripetersi di liturgie già sentite, già viste. Le tossine contro cui fu fatta catarsi, persistenti nell’esistente e che hanno fatto presto a riprendere la loro egemonia per un momento contesagli, ed insieme le routine, hanno riportato alla disciplina, al definito. Lo spazio vacante dovuto allo scuotersi delle cose si è saturato velocemente di ‘status quo’ e il ticchettio tornato quello di prima, riprendendo una routine che, allora, solo illusoriamente si era interrotta. L’immaginazione di un percorso così è ancora centrale nel fare possibile l’illusione di novità e, spesso, non fa altro che attribuire a mani diverse gli stessi strumenti corrosi nel ripetuto esercizio di opposizione a ribasso. Infine, la ritualità cessa di esservi, la solitudine riprende il sopravvento. 

Proprio nella vuota liturgia a ripetere, nell’esservi solo in compresenza, nell’esservi esclusivamente nell’accorato ‘amen’ che non vi è più l’essere. Strappato dal ‘se’ ed introdotto ad una convinta quanto ciecamente certa omelia rifiuta di vivere. Rifiutandosi di viversi nel sé, dunque, mai la percezione della galera indurrà a nuove fughe ed ecco la resa allo Stato delle cose. Nella pretesa di una posa tanto adulta tanto maschile si omette in ogni respiro la costante essenza di infanti che alberga nel ‘è tutto possibile’. Evitando ciò si evita la vita ed evitando la vita non è la morte che si incontra, bensì le sopravvivenze. Una serie infinita di derma all’occasione, che non fanno ladri, ma adepti, degni gregari di un mondo rimandato all’avvenire. Ed è proprio qui che si fa il patto con la storia, che diventa singolare dal momento che ci è utile al ricordo che è stato, l’evocazione dell’oggetto che si è trasformato in simbolo assolve dall’assenza dell’ora. Una delega retro-attiva alla carcassa del passato che ferente spasmi impesta tutto di decomposizione. Una tomba, una lapide, un cadavere. Il corpo morto è divenuto adulazione dal momento che, prosciugatone il sangue, se ne sono abbeverati i san Pietro di tutti i giorni. Le nuove e tanto ataviche quanto perenni pietre angolari del sempre uguale. Inventata l’anima, coartata in una qualche omelia, sono apparsi i pastori, ingannatori seriali, tanto dediti alla circuizione del sé, ormai relegato a quel vago ricordo sacro; tanto a quella del macro-cosmo sociale che ne permette l’esistere, di cui si nutrono.

Distruggere. Ci atterrisce questa parola perché, servi del capitale, abbiamo affidato il senso, dotandolo di unicità universale, al “regno delle definizioni”.  E di ‘distruggere’ se ne fece senso di sofferenza, di strazio. Dotati di senso unico, instradati al solo verso possibile, siamo divenuti adulatori degli asfaltatori. Hanno accomodato il servilismo ed estrattone ogni potenziale possibile messo al servizio dell’avvento di un nuovo conosciuto, di un nuovo irreversibile percepito ed, a giogo serrato, anche auspicato. Ma il fuoco… il fuoco arde e annerisce ogni cosa e se l’unico che vedete voi è quello dei fucili e delle bombe è solo perché state dalle parte dei torturatori, degli sventolati come bandiere, di coloro che scaldano il petto solo all’udire del loro inno di morte.

Ed ora che hanno fatto “strade comode dove erano sentieri scoscesi”; ora che hanno intriso ancora di più la terra del sangue dei loro squallidi sacrifici; ora che continuano ad elargire strette di mano sulla carcassa di ciò he hanno deciso essere “progresso”; ora che hanno ulteriormente pianificato la nostra distruzione; ora che ci impongono il buio dello spettacolo terminato; ora che ci tolgono il respiro con quella manaccia stretta sulle vie respiratorie; ora che ci avviliscono ancora di più; ora che hanno ancor di più intristito le città; appestato le campagne; plastificato i mari; ora che ci hanno imposto i loro loschi paesaggi, prendiamo un profondo respiro, sciogliamo la garrota. Torniamo ad urlare verso il mare, sconfiggiamo la paura della notte, che ci avvolga nel co-spirare ivi possibile, con sordità alle cieche parole dell’ennesimo rimando, per non sentirci più dire “tutto un giorno cambierà”, scagliamoci adesso contro il boia aguzzino, facciamolo adesso. Perché la sua mano sulle nostre gole si fa sempre più stretta ed in ogni momento in cui i nostri corpi si scuotono nell’estasi che solo l’ondulare del capo procura, come una danza magica, riconosciamo quella morsa allentarsi sempre più. 

Il messinese vede affacciarsi, prepotentemente, una serie di progetti e cantieri preliminari all’aggressione delle nuove frontiere di capitale. L’interesse per il territorio è totale, mentre si svolge il teatro della propaganda, tra banchetti, celebrazioni e marketing istituzionale, si proiettano dalle colline sino alle coste tutta una serie di interventi infrastrutturali (nel senso più ampio) che hanno l’obiettivo di modificare l’organizzazione del territorio, ancora una volta, in maniera tendenzialmente irreversibile. 

Interventi relativi a nuove vene di collegamento, strade che vengono richieste a gran voce dalle diverse municipalità; il posizionamento di kilometri e kilometri di fibra, utile alla nuova infrastruttura energetica e digitale del capitale “verde”; zone abitate, in quelle che vengono chiamate baracche, rase al suolo per fare spazio a nuovo asfalto, operazioni di risanamento che prevedono l’acquisto e la costruzione di nuovi alloggi, spingendo l’abitato messinese sempre più verso le aree collinari, procedendo alla spopolazione delle coste e, progressivamente, del “centro storico”; gli interventi di ricostituzione dell’amministrazione pubblica, oltre che degli uffici propriamente amministrativi, anche delle strutture di polizia e controllo, con l’implementazione delle possibilità di intervento della polizia urbana attraverso nuove dotazioni in termini di strumentazione tanto operativa quanto legislativa ( si veda l’approvazione in Senato del ddl sicurezza); il progetto ponte e la sua innervata rete di cantieri previsti; l’interoperabilità di piattaforme di controllo e gestione del territorio. Tutti interventi volti al rifacimento e preparazione del territorio messinese e dello Stretto (tra altri) alle nuove forme di estrazione, in continua innovazione ed imposizione sulle nostre vite.

Ognuno di questi aspetti vengono costantemente testati su ristrette comunità umane e dopo estesi, con diversi pretesti, verso la totalità totalizzante del capitale. Così i confini che dividevano carcerate e carcerieri sono andati via via opacizzandosi in favore di sempre più nette divisioni con ciò che è di fuori. Ma questo, insieme a tutta l’innovazione coatta che ci spetta in elemosina da questi elargitori di torti umani, è sempre possibile attraverso la costrizione di quanto è definibile vita all’interno di questo squallidissimo contenitore di loschissime intenzioni. Risalendo a ritroso il filo dei loro esperimenti mortali si giunge sempre a qualcosa di peggio; tecnologie di riconoscimento biometrico e strategie di repressione testate negli stadi, nei quartieri, sulle frontiere, a Gaza…per esempio. Così la catena della tristezza si stringe sempre più al collo, rendendo pesante un respiro già intriso di polveri sottili ma pesantissime. 

E questo grattare il fondo non fa altro che rispecchiare nella pozza di fango ancora una volta la stessa immagine: SIAMO IN GUERRA! Danzano le persone sulla terra, danzano le rabbie ascoltando l’urlo del sangue che l’ha intrisa. Morti, morte, morti, morte, morti. Senza motivo, soppresse dalle ali di una morte con occhi vuoti, trasparenti, una morte famelica, devastante, invasiva. Ma danzano le menti in conflitto,  danzano e sguazzano i loro piedi in quel fango; quello scempio cammina con chi danza, gli si acquatta sul collo dei piedi e gira inesorabilmente il mondo. Un moto che prescinde le nazioni, principali colpevoli di tutto quel sangue insensato, supera valichi, cordoni di polizia e leggi repressive per scagliarsi, poi, in petto alla gente cui respiro vuole essere reso ogni giorno sempre meno possibile. L’affanno all’immagine, lo sfondo è crudele e la scena in primo campo è uno stupro, una perenne penetrazione, prestazione del male, performance della squallida realtà di eserciti e frontiere. 

Sempre più numerosi i progetti di rifacimento degli spazi già esistenti nei quartieri al margine del centro cittadino (in senso più ampio). Per favorire lo spostamento della popolazione verso le aree pre-collinari della città, caratterizzate storicamente dall’insistervi di rioni e zone popolari che hanno visto nel tempo lo svilupparsi di forme di gestione, per così dire, interna, tanto nelle sue versioni più criminalizzate tanto nelle vicende più pratiche del quotidiano svolgimento di vita ove lo Stato si presenta con ordinanze di sfratto e luci blu nella maggior parte dei casi (o sotto forma di stipendio elargito dall’opera di arruolamento degli affamati e delle affamate), bisogna che vengano riorganizzate con interventi infrastrutturali ed abitativi; il “risanamento” è uno degli aspetti di questa preparazione allo scollinamento di quello che sarà il residuale demografico a fronte di un territorio sempre meno vivibile sempre e solo per cause dolose. È infatti in corso da un paio d’anni l’abbattimento di migliaia di “baracche” per spostare le persone che li vi abitavano in nuovi quartieri, attraverso sia l’acquisto di abitazioni già esistenti sul territorio e disabitate, sia attraverso la costruzione di nuovi complessi abitativi come quelli previsti dal “PINQuA” (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare). Un decreto ministeriale che prevede “interventi finalizzati a ridurre il disagio abitativo aumentando il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, a rigenerare il tessuto socioeconomico dei centri urbani, a migliorare l’accessibilità, la funzionalità e la sicurezza di spazi e luoghi degradati”, seguono individuando questi luoghi, per l’appunto, nelle zone periferiche.  Un piano, che si aggiunge a tanti altri, per il rifacimento dell’abitabilità delle città in termini di sicurezza e controllo. 

La costruzione di nuove strutture abitative nei quartieri o quella di nuove zone di abitato che, in questo caso, sacrificano sempre più la socialità e la possibilità di costituire comunità di vita in grado di fronteggiare il sempre più dilagante senso di solitudine e di abbandono, sono la punta di diamante della desertificazione delle coste e dell’appropriazione del centro cittadino per fini esclusivamente speculativo-turistici. Insieme al dislocamento dell’abitato cittadino vi è la stesura di nuove lingue d’asfalto, la costituzione di nuove vene ed arterie che possano accogliere la Messina che sarà; prima stuprata da miriadi di aree di cantiere e, dunque, da mezzi e logistica in continuo spostamento, poi spopolata e riempita di soli flussi di merce-capitale e persone-capitale. La vita pulsante uccisa con ingenti quantità di antibiotico “progresso”. Così la città riorganizza i suoi spazi per accogliere la nuova economia dell’innovazione infrastrutturale e del pacchetto viaggio venduto da varie agenzie o ‘MSC’ di turno.  Proprio a questo mostro l’autorità portuale dello Stretto allarga le braccia, in cambio di un nuovo terminal crociere, moderno ed in grado di accogliere nuovi flussi turistici previsti ed in atto. In cambio di un rifacimento, ennesimo cantiere, affidato al colosso della navigazione la gestione del terminal turistico all’interno del porto di Messina. Capo fila dei trasportatori di merci, siano esse persone, armi o scarpette… Ricordiamo la complicità della ‘Mediterranean Shipping Company’ nella detenzione di migranti, al momento della dichiarata pandemia, attraverso ‘Grandi Navi Veloce’ (GNV) venivano allestite le “navi quarantena”, garantendo così al colosso di equilibrare i profitti persi attraverso i soldi del ministero. ( approfondimenti: “Chi tene ‘o mare, l’impero MSC e gli impatti su Napoli”https://brughiere.noblogs.org/files/2025/06/chi-tene-o-mare.pdf)

Una città votata ad innovazione e sicurezza. Infatti laddove si insediano gli interessi del nuovo capitale la necessità di controllare e reprimere diventa predominante tanto quanto la necessità di comunicare senso di sicurezza. L’innovazione digitale ha permesso tanto il rifacimento della pubblica amministrazione con le varie riforme digitali, tanto il disseminarsi di sensori e telecamere su tutto il territorio. La città di Messina entra nella rete delle “smart cities”, scalando le classifiche di smartizzazione dei comuni italiani, a suon di foto-trappole, paline intelligenti, sensori di monitoraggio del traffico, telecamere e repressione del “degrado”. Sarà un caso che mentre si scalano le vette delle classifiche delle città così dette intelligenti si abbassa vertiginosamente la qualità della vita?! Più le strade si fanno ‘smart’ meno sono a misura di essere umano, li dove l’essere non-umano è già stato ridotto a soprammobile da compagnia. 

Innervata la città di strumenti per il controllo si era nel frattempo predisposto l’apparato amministrativo-legislativo che lo rendesse possibile. La linea rossa di sangue dei decreti sicurezza e dei regolamenti urbani repressivi non ha certo incipit oggi. Così decreto su decreto, disegno di legge su disegno di legge, i diversi governi in carica hanno stretto sempre più le maglie del controllo, testimoniando la lungimiranza dei loro squallidi piani di controllo e sterilizzazione di vita vissuta. In ultimo, il ddl sicurezza. Approvato ormai anche in Senato, aveva visto in un primo momento diverse forme di applicazione sul piano territoriale come ad esempio le c.d. “zone rosse”, un termine giornalistico utilizzato per indicare delle aree (urbane ed extra-urbane) che, per differenti ragioni strategiche, sono considerate meritevoli di particolare attenzione poliziesca. Una zona rossa è così una zona non attraversabile, un fortino da difendere con il proprio esercito e i mezzi a sua disposizione. ‘DACUR’ (divieto d’accesso ad aree urbane), fogli di via, avvisi orali dei questori, sorveglianze speciali e prevenzione più in generale sono gli strumenti ed i ‘leit motiv’ che animano l’azione di guerra urbana portata avanti da forze dell’ordine ed armate su mandato del legislatore. Così anche a Messina sono state implementate delle forme personalizzate di “zone rosse”, con il preciso intento di immunizzare e sterilizzare delle aree della città da quelle forme di esistenza che vengono più comunemente definite “degrado”, una bruttura da cui liberarsi in nome del quieto vivere e, soprattutto, del quieto guadagnare. 

La costante insubordinazione di persone singole e gruppi rende sempre più necessario un’infrastruttura detentiva in perenne sviluppo, sia sul piano strutturale che di strumenti tanto legislativi quanto di vera e propria tortura a disposizione di carcerieri. E non basta, ad essere costantemente oggetto di cambiamenti e modifiche sono le strutture e le persone al comando dei vari reparti di forze dell’ordine ed armate. Se da un lato lo strumento dei decreti sicurezza che si sono avvicendati negli anni hanno garantito una sempre maggiore capacità di azione per la repressione ed il controllo da parte di polizia e forze armate, dall’altro vi è la costante affinazione di strumenti detentivi e l’impostazione di un sistema carcerario che operi un controllo diretto su detenutx attraverso il lavoro, centralizzandone la struttura organizzativa; ed, ancora, un’impostazione di “ordine pubblico” che, lo vediamo con le così dette “zone rosse”, si modella sempre più sulla gestione delle criticità che si determinano in scenari di guerra urbana. Così le tecniche di detenzione e gestione della criticità sociale diventa per l’Italia fenomeno di vanto, tanto da divenire prodotto d’esportazione, con paesi interessati al modello italiano del 41-bis, per esempio. Incontri bi-laterali tra paesi europei con l’intento di armonizzare lo strumento detentivo-tortura, scambio costante di conoscenza e metodologie di repressione e controllo preventivo della popolazione, utilizzo di tecniche mutuate in contesti di guerra per quanto riguarda la gestione dell’ordine urbano. Da sempre metodi polizieschi e detentivi sono stati oggetto di scambio ossessivo tra paesi, divenendo nella storia delle nazioni strumento di esercizio di potere e di presenza extra-territoriale di personale addestrato a fare la guerra. L’Italia in questo è sempre stato punto di riferimento nella più vasta di rete di interscambio di ‘know how’ sulla detenzione e costrizione di corpi ed idee. Molteplici sono i progetti di interscambio che vedono il modello detentivo italiano presentato in pompose conferenze ed utilizzato come modello di riferimento per la costituzione di sistemi affini in altri paesi. L’Italia, oltre che armi e software, è un dominante esportatore di tecniche militari, poliziesche e certamente detentive. Per esempio la Francia che si impegnava a completare la prima struttura ispirata al modello di differenziazione della detenzione ed all’isolamento italiano entro il 2025, oppure in Cile dove l’ambasciata italiana di Santiago ha organizzato un incontro per presentare alla Corte costituzionale cilena il modello del 41bis. Il tutto si inserisce nella lotta alla criminalità organizzata ed alla sua prevenzione, motivo per cui l’Italia si trova spesso come paese coordinatore di progetti di interscambio simili. Come quello del programma europeo ‘EL PACTO 2.0” con il Sud America, dove per l’appunto a coordinare si trova la delegazione italiana, che mira all’impostazione di un sistema preventivo che aggrava la portata del reato di associazione terroristica permettendo la detenzione anche in assenza di reati specifici (https://elpaccto.eu/en/sobre-el-paccto/que-es-el-paccto/). Il carattere di materia da esportare determina repressione e carcerazione, ancora una volta, come prodotti che si inseriscono nell’ennesimo mercato in evoluzione, che vede l’affermarsi di nuovi ‘players’, che quindi determina forme concorrenziali caratterizzate della quantità di brutalità possibile, direttamente proporzionata con la quantità di guadagno possibile. L’invasione è a tutto campo ed è guerra dentro ogni territorio delle libidini, le canne dei loro fucili ci si vogliono conficcare in bocca, costringere alla paura cieca, al fuggi fuggi atterrito e pieno di solitudine. Un mondo che cuce su ogni corpo la possibilità oppressoria, la possibilità repressiva, è un mondo vergognoso! Un prodotto da consumo che, oltre essere in perenne innovazione, è costantemente e perfettamente cucito sulle diverse persone che sono investite dalla sua micidiale portata. Un prodotto che, gli Stati che ne hanno affinato le tecniche,  esportano utilizzandolo come strumento di quello che è definito ‘soft power’, della cultura. Ogni cosa intrisa di un logica di potere diviene cosi rappresentazione vivida di tutto ciò che affligge l’esistere in virtù di guadagni “costi quel che costi”. Infrastrutture legislative e materiali, eserciti che svolgono funzioni di polizia, polizie sempre più spiccatamente militarizzate, apparato detentivo in galoppante sviluppo ed aggravamento, tutti pezzi di un puzzle agghiacciante, elementi co-agenti nella pedissequa devastazione del vivere. Così il ritmo del mondo si è sempre più assottigliato a quello di un performance sessuale tutta maschile, quello della performatività a spese sempre e comunque del godere. Una perenne penetrazione che pretende, dunque, l’esistenza di corpi altrettanto perennemente pronti a ricevere quest’azione penetrante. L’amplesso privo di orgasmo si caratterizza come perno di un mondo, quello del consumo, che incentra sulla non realizzazione il suo iato vitale. Ed è così il perenne stupro dell’esistere ad opera di chi ci impone i suoi loschi paesaggi, i suoi mefitici progetti. 

Passano i centurioni e dietro di loro solo il nulla, gli spazi bonificati e desertificati fanno largo ad intenzioni ancora non del tutto decifrabili e velate dall’incombere del più grande degli stravolgimenti, il ponte sullo Stretto. Tutto sembra predisposto per fare spazio a questo mostro, colossale gigante fatto di una miriade di organi-cantieri, per fare spazio al loro esercito d’invasione armato di betoniere e giustificazioni scientifiche. Così la riorganizzazione urbana non può che essere strettamente collegata al ri-conformarsi di un territorio che vede su di esso il progettare di lavori della portata di quelli dei vari interventi previsti dalla costruzione del ponte. Tutto riorganizzato sulla base di nuove necessità e soliti guadagni; presidi di polizia, leggi che uccidono il dissenso, nuova viabilità e confini sempre più stretti. Mentre progettano kilometri di asfalto e linee ferrate; mentre organizzano le loro trincee dalle quali farci fuori; mentre scavano l’ennesimo buco nero in cui seppellire i corpi da loro marginalizzati, messi al bando; mentre producono e trasportano l’ennesimo container di mitragliette o bombe; mentre continuano a sbatterci in petto la loro retorica dell’inesorabile, dell’irreversibile; mentre schierano i loro eserciti in mimetica, tuta da cantiere o muniti di camici; mentre condiscono i pasti delle persone recluse con tranquillanti, esattamente come “qui fuori”; mentre stridono la loro tristissima nenia di non-vita; mentre gli impostori ci forniscono l’ennesima urna dove seppellire le nostre ceneri; mentre sparano a vista sui barconi di migranti che attraversano il Mediterraneo o li recludono in campi di prigionia; mentre inaugurano l’ennesimo luogo di detenzione e morte e ne progettano un altro ancora; mentre impalcano i loro ponti ed espandono basi militari; mentre perforano un’altra montagna avvelenandola con appresso tutto il circostante; nel mentre di tutto ciò, nel mentre di molto altro ancora, suonano il piffero ed organizzano il ballo dei loro topolini. Stendendo il velo pietoso della democrazia orchestrano tutto ciò e molto altro ancora. 

Esiste dunque un potere ‘soft’?! Potere che si impone con bombe, fucili, manganelli, leggi liberticide, cemento, strade, infrastrutture e forme del pensare, del (non) vivere. Un cinismo sovrano, demo che esercita la sua crazia e così ‘potere’, di mano in mano, ha definito quali palmi, o meglio, quali condizioni per tali siano in forze affinché si possano armeggiare i certi strumenti mortiferi. Proprio nella democrazia hanno costruito galere, implementato regimi come quello del 41-bis, innalzato muri alle frontiere, compiuto 75 anni di genocidio in Palestina, sparato a Carlo Giuliani, protetto i raduni ad Acca Larentia e simili, 124 persone sono state suicidate solo tra il 2024 ed il 2025 nelle galere italiane, vengono implementate leggi come quelle dei decreti sicurezza, si osservano manifestazioni di piazza brutalmente attaccate da squadroni antisommossa, si finanzia con miliardi la strage di Gaza, si detiene la gente per la sola assenza di un documento. Ma quanto potrebbe andare avanti questo elenco?! Quanto a lungo potrà andare avanti?! Quanto si può ancora offrire resilienza ad un mondo che ci vuol vedere accettare qualunque grado di curvatura prona delle schiene?! Quante mani possiamo ancora lasciare che si prestino alla loro torbida azione di becchinaggio?! 


“Il presente è pieno di nuclei di rifiuto e indisponibilità tra loto dissimili, potenzialmente in guerra, in mezzo a cui covano vie d’uscita e diserzione. Muoversi in questo mondo sotterraneo significa però rinunciare ad una certa logica di visibilità e raggiungibilità che è tipica della politica, con il suo armamento di propaganda e consenso. Significa inoltrarsi nel  terreno in ombra della cooperazione e delle solidarietà nascoste che vanno oltre la rappresentazione e l’identità. Il marxismo ha voluto, fin dalla sua nascita, liberare il movimento operaio da questa sua promiscuità originaria con la sua ombra cospirativa: lo ha fatto dichiarando guerra a “sette” e società segrete, proclamando la necessità della politica di massa, rappresentativa, pubblica e alla luce del sole. Oggi riabbracciare questo spazio significa cercare delle intese fuori dalla griglia di riconoscimento che la rappresentanza politica ci fornisce, guardando alla materialità degli incontri contro un qualcosa che si disprezza, per un uso vitale che si vuole conservare o affermare insieme. Ciò può avvenire soltanto al di fuori della razionalità trasparente delle proposte e dei programmi”

Michele Garau, “Anatomia della rivolta”

OGNI RESPIRO E BATTITO DEL CUORE CON CHIUNQUE SIA SOGGETTX ALLA REPRESSIONE DI STATO E CAPITALE!!! LIBERX TUTTX, LIBERX SUBITO!!!

G. LIBERX!!!


“LARGO ALLE FACINOROSE”

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO DELLE PAROLE CIRCA ALCUNE MOBILITAZIONI DI MAGGIO CHE HANNO ATTRAVERSATO L’ISOLA E LA PENISOLA:

“LARGO ALLE FACINOROSE

Le manifestazioni individuali sono sorrette da un percorso collettivo.

Quando lo sfaldarsi di una rete è preceduto da un mettere le mani avanti; colpevolizzando a priori, una pratica manifestazione del proprio dissenso, da tempo ormai palesata e principio cardine di un percorso collettivo; ti rendi conto di quanto la sua colpevolizzazione sia una manovra precedentemente pensata e voluta, quanto sia una disintegrazione interessata..

E viene meno il principio di unione. Si utilizza la parola “prevaricazione” per giustificare la decisione di togliere la fiducia nel poter continuare a tessere una rete, che sia strumento politico in mano nostra per opporci ad una repressione statale sempre più palesata e pressante.

Ma c’era da aspettarselo, non tanto dalle compagne e dai compagni (di chi?) con cui per mesi, abbiamo deciso di costruire una lotta unitaria contro un decreto legge liberticida, ma da quella porzione di realtà politiche presenti in città che sempre hanno temuto lo strutturarsi di una percorso di lotta che non sia solamente pura rappresentazione di dissenso.

Ma si è preferito ritornare a sfilare, una passerella al fianco e complice con gli oppressori.

Largo allx fcinorosx ordunque!


COSA SONO I CPR? PARLIAMONE IN VISTA DEL PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO DEL 28 GIUGNO

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa. 

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio. 

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 



Sabato 28 giugno 2025:

-Cpr Trapani-Milo: presidio solidale h 16.00 nel prato adiacente all’ingresso;

-Messina: corteo per la Palestina (seguiranno maggiori informazioni).


PER IL TESTO DELLA CHIAMATA AL PRESIDIO: SICILIANOBORDER


LOTTA QUEER

Riceviamo e diffondiamo le parole di alcunx compagnx maturate in occasione dello Stretto Pride, che ha attraversato la città di Messina ieri, giorno 7 giugno:


‘e se la natura scrivesse e leggesse, facesse politica e copulasse nei modi più perversi, anche distruttivi? E se, nella discontinuità, nell’apertura radicale, nella metamorfosi, differenziazione, promiscuità dei suoi processi la natura fosse già sempre perversa e queer’

“Animali si diventa”, di Federica Timeto).

Ieri ( 7.06) abbiamo attraversato il ‘pride dello Stretto’ con un’urgenza diversa, quella di riappropriarci di una giornata che nasce come atto di rivolta disorganizzata, lontana dalla strumentalizzazione da parte di comitati, lontana della logiche delle istituzioni e, soprattutto, come lotta contro ogni tipo di oppressione; ci siamo mossx per ricordare (e ricordarci) che il pride nasce come pratica di disobbedienza. Lo abbiamo fatto portando con noi degli scritti che nascono da rabbia, riflessioni, letture, confronti; convinte che ogni corpo che si espone, soprattutto nel clima politico costruito attorno al nuovo decreto sicurezza, è già di per se una minaccia ai dispositivi di potere, una crepa nell’ordine dominante. Non abbiamo bisogno di permessi per esistere, né di riconoscimenti per lottare. La lotta queer e transfemminista non è un capriccio di pochx, né una battaglia isolata dalle altre. La distruzione dell’etero-cis-patriarcato richiede la messa in atto di una resistenza che si sviluppi su più fronti, non è, quindi, una ‘tematica specifica’, indipendente da altre prassi di liberazione, perché viviamo in un sistema di oppressioni interagenti, capaci di sommarsi nelle vite delle persone. ‘per le strade ci ammazzano e ci prendono a pugni e noi dovremmo cristianamente porgere l’altra guancia? Denunciarli alle stesse guardie che vengono a menarci ai cortei? Non abbiamo bisogno di essere tutelatx dallo stato, ci tuteliamo noi. Bello essere così privilegiati da pensare che esista un abbassarsi alla loro stessa violenza’ (commento di unx compagnx in seguito all’aggressione transfobica subita a Roma da 3 donne).

Pensare di rispondere alla violenza omolesbobitransfobica affidandosi alla repressione punitiva di matrice statale presenta una serie di criticità. La prigione è una istituzione che riproduce e amplifica lo stesso machismo che, nella vita di tutti i giorni, opprime le persone queer. Il carcere è uno spazio chiuso all’interno del quale vige una forte disparità di potere tra la popolazione carceraria e le guardie che la sorvegliano, disciplinano, ‘che diventano padri, preti, educatori, che si arrogano il diritto di entrare nell’intimità, di spiare il dolore, la rabbia, il modo di vestire, di camminare, di parlare. Trovano normale dirti come e quando lavarti, quanto mangiare, quanto dormire’ (da: “Carte forbici sassi, sfide da e contro le prigioni e il patriarcato”).

Il carcere è, quindi, una istituzione intrinsecamente machista, sessista e radicata in una logica etero-cis-patriarcale, e dunque troviamo illogico pensare che un detenuto colpevole di omolesbobitransfobia possa uscire dalla prigione come una persona aperta a chi non è etero-cis normato. Come ci appare contraddittorio, anche se ovviamente ne riconosciamo la necessità e l’urgenza in una società che ci isola, chiedere protezione alle stesse autorità e istituzioni che per secoli ci hanno invisibilizzatx, torturatx e uccisx; invece, ci piacerebbe pensare ad una comunità LGBTQIA che scelga di aprirsi a relazioni politiche interpersonali basate su reti di tutela reciproca e di solidarietà mutualistica dal basso. Una comunità che non si affida alla tutela simbolica di ‘padre Stato’, perché lottare per un’istruzione inclusiva e aperta alla messa in discussione della norma affettiva e sessuale non significa soltanto rendere più vivibile l’esistenza di una ‘minoranza’ della popolazione, ma attentare alle basi di un intero sistema fatto di oppressx e di oppressori, un sistema etero-cis-patriarcale, dove ciò che sta fuori dalle proprie logiche deve esse cancellato, nascosto, bestializzato, patologizzato. Se continuiamo a pensarci solo ed unicamente come altri hanno finora voluto che ci pensassimo, e cioè come ‘diversità da celebrare’, rischiamo di sottovalutare la forza che riguarda la nostra condizione e ci perdiamo tutte le sfumature del nostro immaginario.

‘THE FIRST PRIDE WAS A RIOT’, ed è stato anche multirazziale, queer, HIV+, sexworker. Il primo pride ha iniziato una rivoluzione contro lo stato, è stato costantemente anti- oppressione, qualsiasi oppressione, perché la liberazione o è totale o non è. Stonewall non fu un’espressione organizzata, guidata da organizzazioni; fu una violenta e caotica esplosione di rabbia contro la polizia, responsabile di infliggere tanta sofferenza, e fu privo dell’approvazione e direzione di alcun gruppo.

Oggi non chiediamo Stati che beneficiano della nostra oppressione: non chiediamo che cambino le leggi, ma che venga distrutto tutto il sistema. Siamo stancx di vedere le colpe spostate dalle istituzioni ai singoli, trattati come casi isolati o patologizzandoli attraverso lo stigma del malato di mente’ (con lo scopo poi di lucrare attraverso le industrie farmaceutiche e strutture detentive come carceri e ospedali psichiatrici).

Le istituzioni sono parti integranti dell’oppressione, arrestano, criminalizzano, perseguitano, molestano, uccidono e ci costringono al margine della polis (in senso sia figurativo che fisico), dove il confine della polis è sempre stato il confine dell’umano. Rifiutiamo i tentativi del capitalismo di rubare e guadagnare dal nostro movimento, di capitalizzarlo, di vedere i nostri corpi marginalizzati e criminalizzati e le nostre istanze di liberazione cementificate sotto la pietra tombale della lobby sponsorizzante di turno. Perché si, ancora quest’anno leggiamo che tra i più grandi sponsor del pride è presente la Caronte e Tourist, i boss dei traghetti che controllano l’economia di questa città da decenni, riempendola di smog e morte; con i loro progetti economico infrastrutturali che tutto hanno a cuore meno che la vita stessa. Iniezioni letali di cemento e progresso imposto si adoperano nell’immobilizzare le nostre esistenze tutte. Rifiutiamo il sistema ciseteronormativo che attribuisce il nostro valore al nostro’inserimento’, piuttosto siamo qua per rompere il binario, per abbracciare le posizioni al margine, dissidenti.

La scelta non è docile accettazione di norme cis-etero violente a cui le soggettività queer non possono aderire. ‘L’insurrezione sboccia dal semplice esistere e dal rinnegare le norme di una società a cui si è soggiogatx.’

Il pride è anche tutt lx compagnx non umane con cui lottiamo accanto, sistematicamente sfruttatx, stuprate, uccisx, oggettificatx attraverso la riduzione a carne, frammentatx e consumatx. Mai consideratx soggetti ma solo strumenti, mezzi per ottenere un fine, sia esso economico o affettivo. Anche, e soprattutto, i corpi delle non umanx sono totalmente e pervasivamente controllati, tanto da trasformare la loro esistenza in una vera e propria ‘non-vita’, privandolx della libertà di esistere indipendentemente da noi dalla loro nascita, passando per l’infanzia, la riproduzione, la socialità l’alimentazione.

La necessità è di un radicale sovvertimento dell’architettura sociale che si fonda sullo smembramento produttivo dei corpi, non umani e umani, trasformandoli in capitale umano; sulla riproduzione eterosessuale che offre così risorse, umane e non, per affermarsi storicamente e continuare a riprodursi.

‘Mettendo in gioco i nostri corpi vulnerabili, mortali e macellabili, solidarizziamo con tuttx lx oppressx per realizzare una politica di opposizione e resistenza radicali allo smembramento istituzionalizzato’ (dalla prefazione di “Manifesto queer vegan”).

Anche oggi sentiamo l’urgenza di lasciare spazio ad una voce palestinese, queer, in lotta. Non per raccontarla ma per fare silenzio e ascoltarla. Le persone palestinesi non hanno bisogno di essere da noi narrate, non hanno bisogno di essere da noi salvate. La loro resistenza è quanto di più reale oggi e noi abbiamo scelto di fare da megafono per la loro voce; perché nessuna liberazione è possibile se non è collettiva e perché ogni alleanza reale passa per l’ascolto e dalla rinuncia ad ogni forma di protagonismo coloniale.


Frammenti di una lettera di un artista queer palestinese:

‘Sono Elias Wakeem, un artista, filmmaker, performer ed essere umano queer palestinese, nato sotto occupazione e cresciuto in un sistema che non ha mai voluto che vivessi liberamente, amassi apertamente o parlassi con verità. Non sono qui per intrattenervi. Sono qui per rompere le illusioni confortevoli che avete costruito mentre noi siamo sepolti sotto le macerie del vostro silenzio. Sono nato nella Palestina del ’48 – cioè, quella che voi chiamate ‘Israele’ – con un passaporto che non ho mai chiesto, circondato da recinzioni, posti di blocco e coloni che vivono con impunità, mentre la mia famiglia, sia biologica che scelta, guarda membri in Cisgiordania e Gaza venire affamati, torturati e assassinati. Lavoro a livello internazionale come artista performativo ed educatore, eppure ovunque io vada porto con me il peso dell’essere palestinese – dell’essere sorvegliato, interrogato, sospettato e cancellato. Uso l’arte drag come strumento di disobbedienza politica. Il mio alter ego, Madam Tayoush, incarna il glamour come mezzo di resistenza – e no, non una resistenza come i vostri hashtag ripuliti e rassicuranti. Intendo la resistenza come rifiuto dell’annientamento. Intendo la resistenza come una gioia che sputa in faccia al genocidio. La mia queerness non è separata dal mio essere palestinese. Non è una contraddizione. È lo stesso grido di vita in un mondo costruito sulla morte. Suggerire che l’essere queer e il sostegno alla Palestina siano in qualche modo incompatibili non è solo ignorante – è una grottesca perversione della verità. È il sintomo di un mondo profondamente malato e indottrinato, che ha imparato ad associare la ‘libertà’ solo alle bandiere coloniali che sventolano sopra i nostri cadaveri. Si chiama pinkwashing: una strategia propagandistica adottata dallo Stato israeliano per dipingersi come paradiso dei diritti Lgbtq+, mentre copre la sua apartheid, l’occupazione e il genocidio contro i palestinesi. Il pinkwashing è la cancellazione della vita queer palestinese e la celebrazione della violenza nel nome della ‘tolleranza’.Le persone queer palestinesi esistono. Ci organizziamo, amiamo, creiamo e resistiamo. E resistiamo non solo al patriarcato locale – che, come ovunque, esiste – ma anche alla sorveglianza, ai checkpoint, alle invasioni militari e agli attacchi mirati, perché siamo palestinesi. Vorrei aggiungere un’altra cosa. L’ironia è crudele: Gaza è sotto assedio totale. Bombardata ogni giorno. La gente è stata ridotta alla fame, intere famiglie cancellate dai registri civili, ospedali rasi al suolo con personale e pazienti all’interno. Come osate chiedermi se le persone queer siano perseguitate a Gaza, come se questa fosse la domanda rilevante in un momento di genocidio? Come osa qualcuno parlare di queerness come cartina al tornasole dell’umanità – e applicarla solo quando fa comodo all’impero? Ditemi: le persone trans non vengono forse uccise per strada a Roma? Marielle Franco non è stata forse assassinata in Brasile? Le donne trans nere non vengono forse braccate negli Stati Uniti? È solo a Gaza che le persone queer non sono al sicuro – o è solo lì che scegliete di preoccuparvene, quando serve alla vostra agenda di guerra? Che tipo di schema contorto e disumano guarda un popolo massacrato e dice: ‘Beh, ho sentito dire che non sono molto gentili con i queer, quindi forse se lo meritano’? Che tipo di libertà queer è questa? Se la queerness significa qualcosa – se parla davvero di liberazione, di famiglia scelta, di rottura dei sistemi di controllo – allora non può essere cooptata dall’apartheid. Se la queerness davvero significa qualcosa deve significare stare dalla parte delle oppresse, non di chi li bombarda in nome della libertà. Non vi sto chiedendo di prendere posizione – vi sto chiedendo di svegliarvi. Di vedere attraverso la propaganda. Di chiedervi: chi trae beneficio quando la queerness viene usata come giustificazione per un genocidio? Chi guadagna quando la nostra sofferenza viene riconosciuta solo selettivamente? Se la vostra queerness viene mobilitata solo quando è politicamente conveniente per l’impero, e non quando dei bambini vengono bruciati vivi nelle tende, allora forse non è queerness. Forse è solo codardia travestita da bandiera arcobaleno. Questa non è solo una lotta palestinese. È una lotta per ciò che significa essere umani. Sosteneteci, chiedete al vostro governo di interrompere il commercio di armi in Israele. Spingete per un boicottaggio culturale e accademico totale. Non usateci come simboli, non piangere lacrime arcobaleno mentre votate per governi che forniscono gli F16, non condividete la nostra arte se ignorate il nostro sangue’

THE PRIDE WILL BE RADICAL OR IT WON’T


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

DIFFONDIAMO DA SICILIANOBORDER:


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

Il CPR di Trapani è un luogo di detenzione amministrativa, dove lo Stato rinchiude in gabbia le persone che non hanno il giusto pezzo di carta, per poi tentare di deportarle.

Come tutti i CPR è un luogo dove il regime dello Stato e delle frontiere si perpetua tramite la violenza e la tortura. I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

Perché provare a rompere l’isolamento sotto le mura del CPR di Trapani-Milo?

Le notizie che arrivano all’esterno sono di un luogo che tenta in ogni modo di sotterrare le voci che urlano rabbia e chiedono libertà.

Nel CPR di Milo i telefoni personali sono stati sequestrati anche quando ne erano state spaccate le fotocamere e spesso viene impedito anche di usare le cabine del centro. Lenzuola e biancheria sono fatte in modo che non possano esser usate per bruciare, e se lo fanno è per poco, o per impiccarsi – è anche così che lo stato prova ad affossare ogni forma di insubordinazione o determinazione.

Questo luogo è stato teatro di numerose rivolte. Nel marzo 2023 una ribellione aveva costretto, in seguito ad un rogo, alla riduzione dei posti a 40.

A Gennaio del 2024 invece lx reclusx hanno distrutto la struttura, rendendola inagibile per circa il 90% e determinandone la chiusura.

I CPR si chiudono col fuoco dellx reclusx, con la rabbia di chi da dentro urla vendetta e diventa scheggia che si scaglia contro il potere.

In seguito alla distruzione di maggior parte della struttura, e dopo gli ennesimi lavori di ristrutturazione e ammodernamento, il CPR di Milo è tornato ad essere agibile ad Ottobre del 2024, aumentando la capienza fino a 204 posti. Le persone recluse, che in un primo momento erano una 40ina, sono presto diventate più di cento. La vicinanza con l’aereoporto di Palermo, snodo a livello nazionale per le deportazioni in Tunisia ed in Egitto, ha così permesso di far riaccendere anche a Trapani i motori della macchina che uccide, tumula e deporta le persone migranti.

Sabato 28 Giugno ci ritroveremo sotto le mura di questa prigione, in solidarietà allx reclusx e contro lo Stato che rinchiude e tortura. Nella speranza che il CPR di Milo torni inagibile e mai più in funzione, nella speranza che sbarre massicce e muri altissimi per un giorno vengano abbattute dallx reclusx e dallx solidali.

Che questa solidarietà polverizzi anche per poco la distanza che vogliono frapporci, saremo lì, perché compagnx di chi si ribella.

Dove lo stato segna confini noi sogniamo orizzonti, complici e solidali con lx reclusx in lotta

Fuoco alle galere

Freedom, Hurryia, Libertà


link alla fonte: https://sicilianoborder.noblogs.org/post/2025/06/06/presidio-al-cpr-di-trapani-milo-28-giugno-h-16-00/


MISANTROPIA INTRANSIGENTE

Sono passati 7 mesi ed a Nizza di Sicilia ancora l’acqua sembrerebbe essere di poco sotto i limiti considerati pericolosi per l’essere umano. Ma andiamo un attimo a ritroso.

Passa un’estate torrida che vede il territorio messinese (tra i tanti) attraversato da un’emergenza idrica senza precedenti. Interi quartieri lasciati a secco per settimane, mesi. Auto-botti avanti e indietro in città ed un sacco di chiamate d’aiuto rimaste inascoltate anche per l’ovvio sovraccarico di richieste. Contemporaneamente poco più a sud della città iniziavano le operazioni della talpa che, con un fabbisogno idrico elevatissimo, incominciava a scavare le montagne per la costruzione delle gallerie propedeutiche alla futura neo-linea ferrata, il doppio binario Giampilieri-Fiumefreddo. Si ricorda, non basterà mai, che il cantiere in questione è entrato tra i tanti annoverabili nell’elenco del colosso Webuild, insieme all’originaria affidataria Pizzarotti. Succede che i giorni passano, la città resta all’asciutto ed intanto la talpa scava e scava. E ciò che la talpa in questione tira fuori dal cuore delle montagne viene ammassato come corpo morto nelle fosse comuni del loro scempio, delle vasche dalle quali presumibilmente (viene detto in seguito) il materiale li stoccato sarebbe servito in altre operazioni di cantiere. E nel frattempo passano i giorni e le settimane e, si sa, queste aree del pianeta (anche stavolta, tra le altre) conoscono variazioni climatiche importanti ed improvvise. Dunque, arrivano gli acquazzoni e piove così tanto che le fiumare di cui sono innervate le colline e le valli delle zone interessate dai cantieri esondano. Lo avevano già fatto, varie volte, dimostrando come questo territorio pressi verso la valle volendosi adagiare sempre più verso la costa franando.

Il 2009 è un anno traumatico per i messinesi che vedono la furia della montagna abbattersi sulla gente, portando via 39 persone e praticamente quasi per intero i paesi di Altolia e Giampilieri. Il fango, anche qui, lo conosciamo bene, viene tutti gli anni tra le abitazioni a ricordarci che ad essere intrusi sono i nostri manufatti, presidi di progresso. Dunque, come ogni anno, anche i passati autunno ed inverno hanno portato con se delle “bombe d’acqua”, agevolando lo scivolare di ulteriore collina resa inesorabilmente instabile dall’insistervi di cemento ed asfalto. Fenomeni diffusi in tutta la provincia messinese, rivelando la fragilità di questo territorio ancora una volta, il fango, ha invaso anche le aree di cantiere del sopracitato raddoppio ferroviario, fortini concepiti per isolarsi dal resto del mondo che ne conosce solo le scorie in questi prodotte, non hanno resistito all’irruenza della terra delle montagne che si intrecciava magnificamente con le gocce in caduta dal cielo. Un mix micidiale, inarrestabile, quasi catartico. Ma anche rivelatore, infatti, l’acqua e la terra, passando su quelle fosse comuni di maltolto alla montagna, lo hanno portato via con se, spargendolo qui e li, restituendolo alla terra dal quale era stato strappato via. Peccato che nel suo cammino ha lasciato ciò di cui è composto e non tutto è fatto per l’essere umano, anche se questo continua ad ergersi come unico utilizzatore legittimo di quelle che ormai sono “risorse”.

Arsenico ed antimonio, dal cuore della montagna, alla tavola periodica, ai nastri trasportatori della talpa Webuild, alle vasche, sino (presumibilmente) alle vene d’acqua che utilizziamo per abbeverarci, per cuocere l’acqua, per impastare il pane o che diamo da bere a qualche pianta. E così torniamo all’inizio di queste righe intrise di rabbia, da sette mesi non si può utilizzare l’acqua dei rubinetti delle case, da poco i livelli di arsenico sarebbero scesi poco sotto la soglia limite oltre cui si considera l’acqua avvelenata e così un’altra opera collaterale è ora possibile, i “de-arsenificatori”. Cosa saranno esattamente? Dei filtri, sembra di capire, che si attiverebbero quando i livelli di arsenico presenti nell’acqua superano i limiti consentiti. I lavori dovrebbero terminare entro fine giungo e così dovrebbe rientrare il pericolo circa l’utilizzo dell’acqua corrente.

Sulla verità giudiziaria possiamo anche sorvolare, ovviamente procura e magistrati fanno il loro solito, e per chi si affida solo ai martelli di legno delle toghe giudiziarie chiaramente il tutto resta ancora un’ipotesi da accertare. Ma non è questo campo minato che interessa attraversare ora. Una cosa la possiamo dare per certa, prima degli inizi delle opere di penetrazione della montagna la gente dell’abitato attiguo ai cantieri utilizzava l’acqua corrente senza il problema dell’elevata presenza di sostanze dannose per la vita umana; prima dello stupro totale della terra e la penetrazione costante per creare kilomtetri di gallerie non vi era bisogno di alcun filtro speciale; prima dei cantieri del raddoppio non vi erano innumerevoli camion scorrazzanti per le vie dei paesi; prima dell’inizio dei cantieri non vi era un deposito pieno di terra all’arsenico in città, a Contesse.

Questo testimonia ancora una volta l’inganno in corso, spacciano morte per progresso e tirano dritto sui loro progetti devastanti. Questo testimonia di nuovo come la loro idea di progresso si fonda su tutto tranne che sull’interesse della gente che abita i luoghi dei loro espropri, della loro devastazione di cemento.

Ora immaginiamoci per un attimo la loro capacità devastatrice dal momento che si taglieranno i nastri dei cantieri previsti dal progetto ponte. L’invasione si fa sempre più imminente, “gli assassini sono tutti ai loro posti” e si preparano al peggio. Il sistema di capitale fa pesare i palpiti del suo cuore marcio su quelli delle persone. La sua espansione è come quella di un esercito che esce dalla trincea ed all’urlo di carica uccide tutto ciò che si trova davanti. La guerra totale è anche questa, quella che altrove si combatte a suon di bombe, qui si combatte a suon di reti arancioni, “lavori in corso”, decreti sicurezza e misantropia intransigente.


Che cosa sarà un “tour antimafia”?!

Che cosa sarà un “tour antimafia”?!

Viene da pensare al trenino squallidissimo che porta in giro i sandaletti morbosamente curiosi. Quelli da turisti insomma.

Di cosa si tratterà questo tour del ministro di infrastrutture e trasporti? Il suo giro dell’antimafia anche sulle rive dello Stretto, a sponsorizzare, ancora una volta, la loro infiltrazione criminosa nel tessuto di tutte queste vite. Così il ministro caro passa da queste parti a ricordarci come “il ponte sia l’opera antimafia per eccellenza”.

Che siano terroriste, disertori, anarchiche ed insubordinati la risposta è sempre e solo una: MILITARIZZARE!

Nasceva la nazione e nascevano carceri speciali per chiunque non si volesse raddrizzare difronte all’imminenza del nuovo potere, quello della nazione e dello Stato. Ed ora come allora la guerra è totale, la guerra è contro ogni corpo che si mette di traverso ai loro loschissimi progetti di devastazione assicurata. Ogni occasione fu ghiotta per l’inaugurazione di nuovi reparti speciali armati in grado di penetrare il tessuto sociale, carcerarlo, fucilarlo, stuprarlo. Ed ora, come allora, il “nemico comune” funge da collante per un mondo cui parola d’ordine é “repressione”. Disertori e refrattarie si trasformarono così in “mafia”. Quando alla vita fu imposto il metodo scientifico lo Stato avanzava e la vita si ritrovava sempre più relegata ad un angolo, coscritta. La creazione del nemico, ora come allora, è il pivot su cui si basa la loro aggressione. Prima cercarono “l’anticristo” e perseguitandolo ne vietarono danze e riti, aspetti della vita divennero illegali. Terre lontane, terre di conquista. Poi vollero soppiantare la conoscenza di Stato a quella ‘locale’, considerata incivile e, addirittura, volenterosa della mano ferro della mano piuma di papà tricolore. La retorica d’invasione è sempre stata basata sul “progresso”, l’appropriazione di parole, dotazione marmorea di senso ed imposizione a macchia d’olio del sensato e dell’insensato. Poi vennero gli eserciti; avamposti e “campi base”; centri di reclutamento e di indottrinamento; reti, confini e sorveglianza (armata). L’invasione militare trovò così consolidamento nell’invasione di una nuova maniera di pensare, moderna, l’invasione di epistemi intrisi di gerarchie; razzismo, misoginia, diffidenza per ‘l’altro’; necessità di determinatezza e fuga totale dall’ignoto. Ed una volta arrivati gli eserciti non se ne andarono più e proliferarono sotto diversi nomi e (apparentemente) funzioni, tutti insieme nell’accorato obiettivo di mantenere quanto imposto a fucilate e cannonate.

Che cosa significa un “tour antimafia”? Significa tantissime cose allora, continua a portare con sé tutta quella retorica e quelle modalità che allora soffocarono le esistenze che vivevano questi luoghi della terra. Ed in parole spicciole, oggi, di nuovo, i loro tour portano con sé nuovi metodi di controllo e repressione. “Cinquanta nuovi ispettori” per vegliare su chiunque voglia infiltrarsi nel loro sterile terreno. Questa è la notizia che porta Salvini sulle coste dello Stretto in occasione della sua squallida gita propagandistica. Ancora controllo, ancora repressione, ancora sangue ed, ancora una volta, gli stessi campanacci d’orati che gli invasori propinavano nelle remote terre di conquista, il “progresso”.

L’unico e solo significato è deciso dai decretatori, “interesse pubblico e nazionale”, l’ennesima ragione per barattare la propria vita con non meglio precisati benefici futuri. L’ennesima buona ragione per blindare la vita delle persone e per vegliarla a vista con personale ben equipaggiato e legittimato a spargere quanto più sangue possibile.


Due mesi fa chiudeva il mercato Vascone di Messina- oggi resta ancora chiuso!

Due mesi fa chiudeva il cancello del mercato Vascone di Messina, così il 19 marzo:

Chiude il mercato Vascone di Messina per permettere la realizzazione dei lavori di “miglioramento” e “ristrutturazione”.

“Per permettere alle persone di continuare il proprio lavoro sono state allora montate delle casette di legno nello spazio antistante (parcheggio d’interscambio Via Catania). Messina, Messina; città d’inganno. Molta gente era anche titubante sulla chiusura; altre persone vedevano, invece, in un territorio che vibra solo per i terremoti, la possibilità di rinnovazione dei locali del mercato come occasione di cambio. Si potrebbe pensare a cosa significhi questa chiusura, questo investimento per ristrutturare uno dei mercati storici della città. Luogo non solo di mero scambio denaro-merce, ma pivot pulsante di forme di socialità sempre più rare a queste latitudini, si trova adesso chiuso. Ma…. Le casette di legno?! INUTILI. Non sono, in questo momento, dotate di energia elettrica e mancano i servizi basilari che erano invece garantiti dentro il mercato “fatiscente”. Molto probabilmente l’auto-gestione di una comunità consolidata, tra legami, conflitti e chissà quante altre sfumature dell’interagire vivente, non avrebbe mai interrotto il filo continuo di questo incontro; si necessario al lavoro, al rapporto vendita-acquisto, ma anche centrale collante di un tessuto sociale, quello messinese, sempre più distante, distaccato e, a tratti, solo. La gente però non aspetta sempre la mediazione di chissà quale struttura, sindacato o partito. E spesso dimostra i pugni chiusi in maniera decisa ed indipendente. Così alla presenza dei soliti mediatori e dei soliti controllori si cerca di mettere sotto vuoto il respiro della gente che rivendica l’inganno. Non si parla qui di malafede necessariamente, quanto meno, in questo luogo, contenitore di migliaia di tribù, il contatto è spesso più diretto di quanto ci si possa immaginare. Ma comunque con ciò non si vuole escludere tutto il dolo in seno ai delegati nel contrattare pezzo per pezzo luoghi (tanto fisici quanto mentali) delle nostre esistenze in virtù di non meglio precisati benefici futuri (“desiderabili”). Ma qui, in questa storia tutta locale, tutta rionale; si viene ad intrecciare un elemento, ossia l’insoddisfazione perenne di desiderio, caratteristica della società del consumo. Ed ogni metafora si fa cosi triste realtà.. Tutto diventa molto terreno in questa perenne rincorsa di un domani, che con ogni probabilità non arriverà mai. Ma che centra il mercato? L’intervento sulle strutture ed infrastrutture presenti in città; delle quali moltissime, ad onor del vero, fatiscenti; non è caratterizzato dalla sola volontà dell’amministrazione locale di fare il numerino più alto alle prossime amministrative, non è esclusivamente campagna elettorale; non è manco esclusivamente perizia tecnica sul come afferrare finanziamenti d’ogni sorta. Ma è anche vero che risponde a delle necessità predatorie che avvinghiano lo Stretto in maniera sempre più consistente. La costituzione di un vero e proprio nuovo spazio di movimento per una nuova struttura di capitale, sempre più “intelligente” e, chiaramente, digitale, algo-ritmica, si rivela sempre più agli occhi increduli della gente. Un luogo, delle persone. Un luogo vuoto, fantasma, delle ruspe. Sembra emblematica la situazione del mercato di pocanzi. L’unica cosa che regge in piedi l’inganno è la svariata quantità di confini che vengono imposti tra le solidarietà. Comunque… chissà come sarà il mercato quando si rientrerà…chissà se ci sarà ancora spazio per tutte…”


OGGI, GIORNO 26 MAGGIO, A DUE MESI DALLA CHIUSURA DEL MERCATO, I LAVORI DI RIFACIMENTO NON SONO ANCORA INIZIATI E LE CASETTE DI LEGNO PERSISTONO IN VIA CATANIA.

Passano le settimane dunque e i lavori al mercato Vascone restano ancora fermi al palo. I mercatari si trovano ancora fuori nelle baracchette di legno predisposte per garantire la continuità dell’aspetto commerciale del mercato. La dinamica relazione non può essere venuta meno però, di fatti lo strato sociale che si intesse in contesti di mercati rionali è molto difficile da arginare. L’inganno è in processo e molti dei dubbi che sorgevano al giorno della chiusura sembrano divenire con il tempo sempre più nitidi. L’ennesima delega ad un futuro promesso, che, come tante altre promesse, si infrange contro la realtà speculatrice che ci viene a tutte imposte quotidianamente. Il comune sembrerebbe aver avviato un contenzioso nei confronti della ditta che si è aggiudicata i lavori. Emblematico il modus operandi di affaristi che, con il fianco dello Stato e delle sue istituzioni, arraffano tutto il possibile, si mangiano tutto e prendono molto più di ciò che possono, per poi lasciare solchi oscuri nel tessuto sociale nel quale si infiltrano brutalmente. La testimonianza dell’aggressione diretta alle vite delle persone che vengono sdradicate dalle realtà sociali che si intessono all’intorno dell’esistere, del vivere, del respirare insieme. Ecco cosa fanno, alzano frontiere nel petto della gente, tentano in tutti i modi di creare isolamento e separazione, uniche vere linfe vitali dei loro loschissimi piani. Ancora una volta viene da proiettare quest’immagine di incompiuta alle prospettive che si palesano con il progetto ponte. Kilomentri e kilometri quadrati di cantiere, frontiere reti arancioni, interdizioni alla vita ed un cumulo di macerie della loro bruttura imposta. Non possiamo ancora lasciarli fare, si arrogano le nostre esistenze e ne vogliono fare strazio in forza solo ed esclusivamente del loro guadagno. Questo è ciò che lascia alle native ed ai nativi il loro processo di modernizzazione ed abbellimento a consumo di qualche sandaletto curioso sbarcato dall’ennesima crociera. L’abbandono è ciò che spetta alle persone che abitano i luoghi degli interessi di una classe politica al totale servizio della grande impresa ed industria; non ci si può fidare assolutamente delle loro promesse di una vita migliore futura.

Prendiamoci in mano l’adesso, riappropriandoci per trasformare in fuoco quanto ci continuano a mal togliere ogni giorno. Stupratori seriali mettono alla barra d’accusa le vittime delle loro violenze, processi in tribunale, processi nei mercati, processi di ammodernamento. Ed in questa solitudine che proliferano gli spacciatori di “per”, mendicanti di notorietà, ossessionati dal momento di fama, sti quattro arraffatoti vengono ad elargire ancora promesse e, nel frattempo, ci svolazzano in circolo sulle teste aspettando di poter banchettare con le nostre carogne. Così che alcuni si dimostrano vicini alla gente ingannata e, illudendoli ulteriormente, vengono ad esigere mandati popolari per rimandare ancora una volta e ancora una volta la vita. Il presidio fisso dello squallore lo portate in petto, politicanti illusionisti di professione, continuano a venderci la loro fuffa. Vorrebbero strade scintillanti, muri grigi, mercati silenziosi e moderni, infanti indebitate, confini serrati, gente sola e disperata, giardini ben curati e manipolati. Ma la loro puzza precede e supera senza alcuna discussione quella che loro dicono abbia il “degrado” contro cui tanto si scagliano.

Vogliono città mute ma sarà un boato a renderli sordi invece! L’erba cattiva non muore mai e noi saremo sempre la gramigna di questo prato di finto verde!!!


NUOVO DL INFRASTRUTTURE

19 MAGGIO 25- APPROVATO IL NUOVO DECRETO LEGGE INFRASTRUTTURE

Giorno 19 maggio, è stato approvato in Consiglio dei Ministri il Decreto legge Infrastrutture. Vengono “introdotte misure innovative per sbloccare cantieri e semplificare procedure” e contiene al suo interno norme molto diverse l’una dalle altre. Rubricato “Misure urgenti per garantire la continuità nella realizzazione di infrastrutture strategiche e nella gestione di contratti pubblici, il corretto funzionamento del sistema di trasporti ferroviari e su strada, l’ordinata gestione del demanio portuale e marittimo, nonché l’attuazione di indifferibili adempimenti connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza e alla partecipazione all’Unione Europea in materia di infrastrutture e trasporti”.

Un provvedimento “urgente e strategico”, dicono dal Ministero Infrastrutture e Trasporti; utile a velocizzare la realizzazione di infrastrutture chiave, come il ponte sullo Stretto; le concessioni autostradali, come per esempio la Pedemontana Lombarda; le olimpiadi Milano Cortina 2026; il GP di Formula1 ed altri. “Questo decreto-legge, frutto di un’attenta analisi delle priorità del paese, introduce misure concrete per sbloccare cantieri, semplificare procedure e garantire servizi di trasporto all’altezza delle esigenze dei cittadini e delle imprese”. Insomma, un altro assist all’industria dell’infrastruttura e della guerra.

Ancora non è disponibile il testo del decreto, ma da alcune anticipazioni si intuisce la portata delle norme contenute. Per quanto riguarda il ponte sullo Stretto le fondamentali novità sembrerebbero sostanzialmente tre; in primo luogo sfuma la qualifica di “stazione appaltante” della società Stretto S.p.a., che era prevista nel precedente decreto, ossia viene meno la sua caratteristica di soggetto pubblico in grado di bandire procedure di gara in maniera indipendente; sembrerebbe essere stato adeguato l’attuale costo della complessiva opera ponte sullo Stretto a 15.5 miliardi di euro, cui sappiamo l’impalcato del ponte ricopre meno della metà del totale importo, essendo l’opera costituita da un’insieme di opere infrastrutturali affini e “compensative” (o per meglio dire collaterali) che si espandono a macchia d’olio sulle rive siciliana e calabrese; ultimo dei tre aspetti che sembrerebbero costituire il capitolo ponte sullo Stretto del neo decreto legge infrastrutture sarebbe la possibilità di aumento dei contratti per la realizzazione dell’opera con il limite massimo del 50%. L’amministratore della Stretto S.p.a., in occasione della conferenza del ministero delle infrastrutture e trasporti del 19 maggio, ricorda che la società si trova adesso nella fase di completamento della documentazione necessaria in attesa “dell’auspicato parere positivo del CIPESS”. L’obiettivo è infatti quello di proporre alla commissione l’esame della documentazione prodotta entro la fine di giugno, per poter poi procedere con le successive fasi della cantierizzazione. La Commissione, sempre in occasione della consegna della documentazione da parte della Stretto S.p.a., individuerà le così dette “opere anticipate”, che sono tutte quelle immediatamente realizzabili dopo l’eventuale approvazione del CIPESS stesso.

Espropri, kilometri di strade e ferrovie, fiumi di denaro, centoventi mila unità lavorative, aziende di tutt’Italia coinvolte, migliaia di mezzi, le rive dello Stretto militarizzate, ecco cosa ci viene prospettato dai signori del cemento e i suoi conniventi legislatori; presumibilmente, da quest’estate in poi. Tutti coinvolti, dalla difesa all’economia e finanza, nel misericordioso aiuto di queste terre derubate ed abbandonate. Il loro record internazionale è tutto sulle nostre spalle, metaforicamente e materialmente. “L’estate del 2025- dice il ministro Salvini- non per capriccio elettorale, ma per serietà, è quella dei lavori Pietro…”. Insomma, sembrerebbe tutto pronto per la loro scorpacciata di vite umane e non umane, manca solo il parerefinale del CIPESS e il loro avamposto di “progresso” incomincerà a sparare senza sosta sui nostri corpi, sulle nostre esistenze.

Lo stesso ministro chiede intransigenza contro infiltrazioni criminali… ecco, vogliamo prendere alla lettera questo invito. Siamo intransigenti contro ogni tentativo di intromissione nelle nostre vite. Il vostro diserbo esistenziale non lo vogliamo. Fomentatori di distruzione e disperazione voglio cacciarci a suon di ruspe dalle terre che abitiamo e viviamo per sostituirci con il loro manufatti di profitto ad ogni costo.

Sempre nell’ambito del Decreto legge infrastrutture, il ministro, ha stanziato 5,25 milioni di euro per il 2025 e 5 milioni per ogni anno dal 2026 al 2032 “a favore della Federazione sportiva nazionale-ACI per la realizzazione dei Gran Premi di Formula 1 che si svolgeranno negli autodromi di Monza ed Imola”. Si mira dunque, ancora una volta, a sostenere “l’indotto turistico e l’immagine del nostro Paese nel panorama globale del Motorsport”, dimenticando sistematicamente cosa questo significhi invece per i luoghi e le vite interessate da tali progetti. Nel dl infrastrutture anche le opere funzionali alle olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026, scelto come “commissario straordinario per le opere strategiche in Veneto e Lombardia” l’Amministratore Delegato della Società “Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 S.p.A.”; per quanto riguarda il Veneto le opere interessate sono: una nuova opera di presa idrica dal fiume Boite a Cortina; un nuovo impianto a fune a Cortina d’Ampezzo e la costruzione di un sistema di trasporto “moderno ed intermodale”; per quanto riguarda la Lombardia: il parcheggio interrato Mottolino (Livigno), per gestire meglio i flussi di traffico previsti; ed infine, il nodo di Castione Andevenno (“svincolo di Sassella”). Ancora una volta, come in diversi appalti pubblici, ad accaparrarsi gare ad assegnazione diretta è Webuild, una delle società (quella di punta) del consorzio Eurolink cui sono affidati i lavori del mega progetto ponte. La Pedemontana, la linea metropolitana M4 di Milano che collega Linate ed il centro città in pochi minuti. Più in generale, le olimpiadi invernali Milano Cortina 2026 hanno portato con loro un’ondata di lavori e cantieri a pioggia su tutta la città. L’ennesima conferma che i grandi eventi sono legittimazioni culturali e sociali di una più generale aggressione ai territori fatta di trasformazioni infrastrutturali tanto fisiche quanto digitali. Così cavalca il progredire del sistema “smart city”, binario che corre parallelamente in diversi contesti interessati dalle ondate di cantieri previsti ed in esecuzione.

Il 19 maggio non è stato solo il giorno dell’approvazione del Dl infrastrutture, si sono infatti discusse importanti modifiche al PNRR italiano. Tra gli esiti la rimodulazione dei progetti in ambito ferroviario, ottenendo la piena salvaguardia dell’importo finanziario originario ed “assicurando il finanziamento di opere prioritario come il Terzo Valico dei Giovi e la linea AV Salerno-Reggio Calabria. Infine, tra gli altri, altro elemento fondamentale sarebbe la “promozione del Partenariato Pubblico-Privato (PPP)”, fondo utile ad attrarre capitali privati nella realizzazione di grandi opere pubbliche. Strumento, quello del PPP, che sarà progressivamente rafforzato, “con un impatto atteso significativo in settori chiave come le infrastrutture idriche e l’edilizia sociale (Piano Casa)”.