Category Archives: comunicati

Volantino contro il carcere

Veniamo tuttx addestratx, con una violenza tanto piu’ feroce quanto piu’ difficile da riconoscere, a
sopravvivere sempre piu’ (de)privatx di legami solidali, isolatx da contesti e relazioni la cui
intensita’ potrebbe far vacillare la dipendenza degli individui dallo stato e dal mercato: vietato
battere sentieri alternativi, vietato cercare – lottando e arraggiandosi – un’altra maniera di vivere.
Veniamo da due anni nei quali e’ stato possibile, per chiunque non sia accecato dalla propaganda
stregonesca dei padroni, vedere di cosa sia capace il Potere pur di rinsaldare le redini del proprio
dominio proprio nel momento in cui il suo impianto vacilla su tutti i fronti rischiando di portare il
pianeta e gli umani alla catastrofe. Le armi di cui dispone si sono affinate sopra e contro i nostri
corpi lungo il corso dei secoli: se oggi ad una rivolta nelle carceri si risponde ripristinando la pena
di morte, come avvenuto nel carcere di Modena e altri istituti detentivi durante il primo lockdown,
quando 15 persone sono state brutalmente massacrate dalla polizia, o chiedendo l’introduzione del
taser come strumento nelle mani dei secondini per impedire sul nascere ogni ribellione, come
avvenuto a Noto qualche settimana fa, ieri si sono messe sul rogo le streghe, si sono poste le basi
della ricchezza occidentale sulle macchie di sangue del colonialismo e dello sterminio, si sono
soppressi i saperi meno funzionali alla logica della valorizzazione capitalistica, per spianare la
strada a un ordine sociale patriarcale e gerarchico: il regno delle merci e dei signori degli eserciti.
Per quanto potenti siano i mezzi di cui dispone, la storia delle persone che cercano con ogni mezzo
necessario di autodeterminare la propria esistenza, e’ ricca di resistenze, rivolte, battaglie di difesa e
di attacco illuminate dall’ardore dei propri cuori – incapaci di adeguarsi alla pressione sociale che
imporrebbe di sopprimerne il battito ogni volta che ascoltarlo significa invece mettere in
discussione la morale dominante che pretende di regolare (servendosi ieri dei preti, oggi degli
psichiatri e dei giudici) i rapporti affettivi, sessuali, proprietari e di cura vigenti tra gli individui. Se
dal profilo tracciato da forze dell’ordine ed “esperti” risulta che io sia “pericolosx socialmente”,
posso vedermi applicata una misura disciplinare come la sorveglianza speciale pur in totale assenza
di prove di reato: il pericolo, il crimine che li contiene tutti, per lo stato e’ cio’ che sono. E questo
vale per le individualita’ anarchiche, cosi’ come per chi ha la sola colpa di non avere documenti, di
aver varcato una frontiera. Galere e cpr sono il volto piu’ vero e piu’ rimosso dell’ordine sociale in
cui viviamo. Chi, come Alfredo, Anna, Juan, ha dedicato la sua vita a mettere negli ingranaggi dell
oppressione quanta piu’ sabbia possibile, paga oggi un prezzo altissimo: 28 anni di condanna e
l’accusa di attentato con finalita’ di terrorismo per un ordigno alla sede della lega (azione che non ha
fatto alcun ferito, nel paese di piazza fontana, portella della ginestra, stazione di bologna), la
richiesta di ergastolo per azioni dello stesso tenore, il 41 bis per chi si e’ rivendicato le pratiche
rivoluzionarie, tra cui la gambizzazione del manager dell’ansaldo nucleare, dimostrano il pugno di
ferro che lo stato e’ disposto ad usare; ma anche, a saperla vedere, la paura che i potenti hanno di un
incontro tra la rabbia che cova nel petto di moltissime persone comuni e la minoranza che agisce
coscientemente mossa da un desiderio di sovvertimento radicale. Il recente processo ai militanti del
SI cobas in seguito alle lotte nel settore della logistica e’ il segno visibile che la posta in palio e’ per
tutte e tutti il restringimento degli spazi di agibilita’ esistenziale.
Il 41 bis e’ un regime detentivo che merita un’attenzione particolare – e alla cui soppressione
generalizzata dovremo orientare molte delle nostre forze. Si tratta di una vera e propria tortura, di
una dichiarazione di guerra rivolta verso il nemico interno. Applicato inizialmente con l’intento
proclamato di stroncare e assestare il colpo di grazia alle organizzazioni mafiose, e’ stato via via
esteso a reati di terrorismo – provando sempre piu’ ad integrare in questa categoria le forme non
spettacolari di conflitto sociale. Noi che abbiamo conosciuto, nei nostri territori, la mafia come
garante della riproduzione di rapporti sociali e codici di produzione di forme di coscienza
totalmente funzionali alla logica del capitale; noi che sappiamo quantx compagnx siano statx
repressx e uccisx per avere occupato le terre dei latifondisti insieme ai contadini, diciamo col cuore
in gola che questa menzogna della lotta alla mafia da parte dello stato non ce la beviamo.
Ci battiamo insieme contro la mafia, contro il carcere e il 41 bis, contro lo stato e tutte le sue
gabbie.
Si accorgeranno, provando a seppellirla in carcere, che la rivolta e’ un seme che non smettera’ mai di
germogliare.


Una giornata A-normale

Lunedi 18 Aprile, giorno di Pasquetta, abbiamo liberato un parco in teoria pubblico, ma nei fatti sottratto alla collettività da 50 anni per via di un contenzioso tra il Comune di Messina e l’INGV, oggetto di decine e decine di promesse, campagne elettorali, ma di fatto mai aperto, se non da altri gruppi in lotta, nel 2014 e 2017.

 

Perché occupare un luogo, all’interno del quale a un certo punto si mangia e si canta, si balla e si gioca a nascondino, per protestare contro le guerre? Ciò che sentiamo profondamente è che ogni volta che riusciamo a sprigionare la forza d’urto che cova nel nostro petto, a sperimentare la bellezza dei momenti sottratti alla legge del mercato e alla legge del più prepotente, sentiamo crescere un mondo nuovo dentro di noi. E anche se questo non fermerà la brutalità della guerra, può arginare l’atrofizzarsi delle nostre sensibilità e delle nostre intelligenze, darci armi e stimoli per non essere complici passivi dei guerrafondai e per non abituarci all’orrore.

Il dispiegamento delle forze – sedicenti – dell’ordine è stato imponente: per far fronte a 20-30 persone che avevano oltrepassato un cancello e alla dozzina di solidali fuori dalle sbarre, nel giro di mezz’ora sono stati mobilitati municipale, carabinieri, polizia, digos; nel momento clou del dispiegamento, a bloccare il traffico sulla strada ci saranno state tra le cinque e le sette volanti. Un assedio durato più di quattro ore per cui sono stati scomodati colonnelli, marescialli, tenenti; in cui è stata utilizzata ogni forma di persuasione, dalla captatio benevolentia, alle minacce, ai colpi di tenaglia sulle mani, alle spinte giù dai muri. E’ ironico pensare che questo dispiegamento di forze, con armi di vario genere (dalle pistole ai nuovissimi taser) accusasse di aver commesso un atto di violenza chi aveva oltrepassato un cancello, armato solo di volontà di cuore e qualche gesto di sano disprezzo per chi la violenza la pratica a nome dello Stato e per una paga mensile!

Alla fine, dopo aver identificato alcuni dei presenti, il parco è stato lasciato aperto, le persone (tante, da chi aspettava, a chi passava di là per caso, a chi lo ha saputo a cose già concluse) sono potute entrare per ritrovarsi insieme a festeggiare un luogo aperto.

Sarà la corsa alle elezioni – in cui ogni argomento diventa pubblicità -, sarà la guerra tra gli Stati – che pretende una ancor più forte controllo negli Stati -, o sarà che l’apatia degli ultimi anni di paura e solitudine ha fatto percepire una cosa già successa come un’esplosione di novità intollerabile; o sarà perchè, nel bisogno di assecondare i desideri di lotta e socialità, non si è minimamente preso in considerazione quanto fastidio potessimo dare a chi dà gli ordini, quante parole avremmo fatto sprecare a candidati, giornali e commentatori vari. O, magari, sono tutte queste cose insieme.

I giornali locali hanno detto che volevamo puntare i riflettori sulla diatriba del parco, hanno titolato con uno ‘sgombero’ che non è avvenuto; ma lasciateci dire che gli unici riflettori che vogliamo puntare sono sui nostri cuori, l’unico obiettivo che volevamo raggiungere era riprendere possesso delle nostre possibilità.

Siamo una collettività di individui che vuole formare comunità, senza aspettare che qualcuno glielo conceda.Sottrarre uno spazio, tra l’altro uno dei pochi parchi della città, a chi vive il territorio è espressione della prepotenza di chi governa che impone i propri interessi alle necessità e ai desideri concreti degli individui e delle collettività. Nella stessa logica coloniale altri territori (interni o esterni) vengono strappati alle comunità locali sulla base di interessi economico-militari (come è successo nella sughereta di Niscemi per la costruzione della base militare americana, a Sigonella per la costruzione della base NATO, per l’allargamento della quale sono già stati espropriati centinaia di ettari di campagna, in Africa per la costruzione dei pozzi petroliferi da parte dell’Eni, nella foresta Amazzonica per la produzione di materie prime da parte dell’imprenditoria tessile dei Benetton, in Palestina per la costruzione dello stato di Israele e la lista potrebbe continuare all’infinito).

Due anni di gestione militare della pandemia, accompagnata da una narrazione dominante che condanna e ostacola ogni espressione minimamente dissonante e che pervade ormai il nostro stesso sentire, hanno ulteriormente accelerato il processo di alienazione dai propri bisogni e desideri. L’introiezione dei concetti di divieto di circolazione e di aggregazione, distanziamento, isolamento, mutilazione corporea (mascherine, guanti, divieto di abbracciarsi e di baciarci), e persino rinuncia di una gestione libera e autonoma della propria salute, ha reso automatica, quasi spontanea, l’autocensura, l’autorepressione. Ci troviamo ormai a fare i conti con i tribunali interiori prima che con quelli reali per aver disobbedito a una legge che non ci interroghiamo neanche più quanto sia conforme alla nostra idea di giustizia. Ci siamo così abituati all’esistenza dei confini e delle frontiere da averne introiettato il limite.

 

Lunedì mattina abbiamo trovato assieme il coraggio di resistere alle forze dell’ordine che volevano sgomberare il parco. Quei momenti di conflitto ci hanno aiutato a superare l’isolamento e il senso di impotenza e a far cadere i veli dell’educazione all’ubbidienza che ci è stata inculcata. Il motto della giornata è stato: il parco è aperto a tutti tranne che agli uomini armati!

 

Siamo convinti che solo una collettività di persone determinate a stare in ascolto (dell’altr_, del territorio, dell’aria del tempo) possa ri-creare una comunità di libertà, attenzione, e cura per sè stess_ e per tutt_.

In netta contrapposizione con chi vede nel sistema del capitale (e in quello della guerra, che ne è parte integrante) il mezzo più conveniente per arricchirsi; un invito a immaginare e sèperimentare altri ondi possibili anche a chi finora non lo ha fatto.

 

Ci siamo date l’assemblea come modo orizzontale per confrontarci, mettere in comune emozioni ed energie, e organizzarci. Senza smettere di interrogarci sui metodi comunicativi di questo strumento affinchè ciascuna possa trovare al suo interno la libertà di esprimersi con franchezza e dare il proprio apporto.

 

 

            Ribelli di Parco Stefano Cucchi

  • contro tutte le guerre,

contro tutti gli eserciti,

contro tutti i confini.

 


Assemblea contro la guerra

 

Sono passati due anni dall’inizio dello stato di emergenza per la pandemia, accompagnato da una incessante propaganda che giustificava restrizioni che di sanitario avevano ben poco; neanche il tempo di prendere fiato, che già un nuovo stato di emergenza è messo in atto per la guerra tra Russia e Ucraina. In tempi record tutti i paesi occidentali vi si sono buttati a capofitto, coinvolgendo – di fatto − le popolazioni dei territori in un conflitto allargato che potrebbe diventare nucleare. Milioni sono stati stanziati dall’Italia per incrementare le spese militari e la maggior parte degli Stati europei è già in piena corsa al riarmo.

Gli organi d’informazione di massa ci raccontano la catastrofe umana ed ecologica del conflitto bellico come la dolorosa ma inevitabile risposta a decisioni “folli” prese da regimi dittatoriali o autocratici – gli stessi con cui le democrazie occidentali e la Nato hanno intrattenuto fino a poco prima rapporti d’affari o di supporto militare, come i talebani, Saddam Hussein, Assad… e Putin; mentre con altri della stessa pasta continua il business, come Egitto, Turchia, Israele, Emirati arabi… e la Russia.

Sappiamo bene qual è il “volano dell’economia” italiana, con le sue aziende produttrici d’armi e tecnologie militari esportate in tutto il mondo. Sappiamo bene che durante il confinamento, nei primi mesi dell’esplosione pandemica, neppure per un giorno si è fermata l’industria bellica, la sua produzione di morte per il profitto dei pochi. Mentre gli ospedali, le scuole, i presidi sociali erano (sono!) al collasso per via dei tagli, piuttosto che invertire la rotta i padroni del vapore hanno continuato (continuano!) a mettere davanti alle esigenze della vita la logica del valore economico – e la militarizzazione dei discorsi e degli spazi pubblici hanno svolto (svolgono!) un ruolo decisivo.

Un generale dell’esercito commissario per l‘emergenza sanitaria, strade pattugliate notte e giorno da ronde poliziesche, dilagare del lessico militare in tutti i media… ognuno di questi elementi portava in grembo conseguenze catastrofiche. Guerra in Ucraina, “transizione ecologica” a suon di carbone e nucleare, morti durante l’alternanza scuola-lavoro, aumento di benzina e bollette… i primi segnali non si sono fatti attendere.

E, con ogni probabilità, questo è solo l’aperitivo: tifoserie nazionaliste, inno al machismo, giustificazionismo nazifascista, aumento della xenofobia e del razzismo, potenziamento dei confini, incremento della sorveglianza, imposizione di poli tecnologici e militari sui territori, ritorno ai combustibili fossili, avvelenamento degli ecosistemi… tutto questo lo vediamo già accelerare vertiginosamente.

Sta a noi uscire dall’isolamento in cui il regno delle merci e delle macchine ci vogliono imprigionare. Sta a noi disertare la guerra tra gli Stati, sostenere i disertori dell’idea di patria, lottare contro le frontiere che uccidono, batterci per ciò che sentiamo giusto.

Se ci incontreremo nell’urgenza di ribellarci all’apocalisse nucleare che minaccia le nostre teste e i nostri cuori, forse riusciremo a prenderci cura della nostra comune umanità.

 

 


Compagni di strada

 

Compagni di strada.pdf

 

 

 


Una volta il futuro era migliore (?)

La modernità si presenta disincantata solo per meglio contrabbandare l’incanto suo proprio: quello della merce, il suo fantasmagorico divenire-mondo che corrisponde al divenire-merci degli esseri umani, della terra, dei viventi. È un sortilegio che richiede, e produce, una forma particolare di soggetto: l’individuo auto-centrato, razionale, utilitarista che tutti quanti, da quattro secoli, siamo tenuti a essere, recidendo i legami a tutto ciò che non è merce e chiamando quest’autismo libertà.

 

Che alla fine non sarebbe andato tutto bene era una previsione fin troppo semplice: sapevamo da tempo verso quale futuro ci stanno portando. Spento l’abbaglio del boom economico, è ormai da decenni che la parola FUTURO porta in sé una dicotomia paradossale: dicono «tecnologia» e «progresso», ma noi vediamo solo sfruttamento.

Distrattx dall’imminenza de l’emergenza, continua a essere taciuto ciò che è invece ora di urlare: tutte le dinamiche che rappresentano un costante attentato alla salubrità dell’ambiente continuano imperterrite – e non c’è emergenza umana, climatica, sanitaria, che possa anche solo frenarle. Chi non voglia credere alla favola raccontata da un governo di Draghi circa la transizione ecologica in corso (gestita a scanso di equivoci da un araldo di Finmeccanica che strepita contro «l’oscurantismo» di chi rifiuta il nucleare), lo vede ogni giorno con i propri occhi, dietro e oltre i polveroni sollevati dagli amministratori dell’esistente – i quali pretendono di trovare nuova legittimazione nel fatto di disporre di più strumenti di chiunque altro per gestire le conseguenze dei disastri provocati proprio dalle loro scelte che puntano al dominio totale sull’ecosistema.

Surriscaldamento climatico e allevamenti intensivi, smartphone e sfruttamento minerario e di manodopera infantile in Congo, disboscamento della foresta amazzonica ed epidemie di polmoniti, agricoltura e pesticidi, agricoltura e diserbanti, Bayer e Monsanto, intese e imprese legali dagli esiti letali, colletti bianchi e bronchi neri avvelenati a morte da industrie progettate da onorati professionisti che non hanno alcuno scrupolo a considerare certi luoghi del mondo e coloro che li abitano come il cesso dove scaricare i liquami tossici del nostro progresso inarrestabile.

Ci hanno propinato tutte le distrazioni possibili, dal mistero della nascita del virus a quello del suo contagio, sempre attenti a non intaccare le fondamenta del Problema. Hanno trovato di volta in volta soluzioni che − come al solito − mettono una pezza sul buco, così da poter restare nella (loro) ‘normalità’. Una ‘normalità’ che s’instaura coi ricatti emotivi del «benessere» e della «salute» (parole ormai prive di senso), ma che ha un unico comandamento: il profitto.

È la logica del profitto che giustifica ogni sfruttamento e che crea le condizioni per l’attacco sistematico alla vita degli stessi esseri umani, degli animali non umani e dell’ecosistema intero, generando lo sfruttamento totale che è la causa diretta de ‘l’emergenza’. Bisogna garantire non la salute del tutto, bensì la sicurezza che la macchina della produzione infinita non subisca altri intoppi, che questo sistema di produzione e consumo infiniti vada avanti, a tutti i costi.

 

Ci piacerebbe portare avanti questo discorso con chiunque ne senta il bisogno, la voglia o una rabbia che scalcia.

 


Non è andato tutto bene…

Che alla fine non sarebbe andato tutto bene era una previsione fin troppo semplice. Solo chi possiede una fiducia religiosa nello Stato o i comfort necessari (quando non entrambe le cose) ha potuto accettare pacificamente il lockdown e il clima di caccia all’untore che si è respirato nell’ultimo anno e mezzo. Così come troppo semplicistica è la divisione netta tra buoni e cattivi, tra sì vax e no vax. Una categorizzazione che non tiene conto delle sfumature: dubbi, paure, critiche, di chi non è contrario ai vaccini per partito preso, ma nemmeno disposto a barattare le proprie idee per guadagnarsi un briciolo di accettazione sociale.

Il green pass sta provando a insinuarsi dove non è arrivata la pressione sociale e la paura di essere additati come appestati, palesandosi come strumento di ricatto: o ti vaccini o non lavori. E se non lavori non paghi l’affitto, le bollette, i libri di scuola, le medicine, la spesa… Sei libero/a di scegliere, tra il vaccino e pensierose notti insonni.
Un ricatto che non trova linfa in un partito piuttosto che in un altro, in questo o in quel governo, ma è frutto di quello che noi riconosciamo come uno dei bersagli principali : la logica del profitto.

Bisogna garantire non la salute di tutte/i bensì la sicurezza che la macchina della produzione infinita non subisca altri intoppi. È la logica del profitto che giustifica ogni sfruttamento e che crea le condizioni per l’attacco sistematico alla vita degli stessi esseri umani, degli animali non umani e dell’ecosistema intero. E mentre gli esseri umani quando si ribellano incontrano giornalisti e sbirri pronti a fermarli, quando gli altri animali nei loro tentativi di fuga e liberazione si scontrano con una narrazione che li sbeffeggia e li riduce a un tenero aneddoto, l’ecosistema sta invece reagendo alzando il tiro, costringendo la popolazione mondiale a non poter più ignorare che esiste un problema, non più importante di un qualsiasi altro problema specifico, ma che anzi li ingloba tutti, e unisce tra loro l’inquinamento dell’Ilva di Taranto, la deforestazione dell’Amazzonia e i wet market di Wuhan. Questo sistema di produzione e consumo infiniti non è sostenibile, e non crea nemmeno benessere, se non in determinate categorie di persone.

Se siamo contrari al green pass quindi non è perché limita la nostra libertà di andare al ristorante e comunque ci vogliono i soldi per andarci) ma perché è l’ennesima dimostrazione di un sistema che non vuole cambiare, e che anzi, nel tentativo di riprodurre sé stesso, continua a incentivare la legge del più forte, a scapito della solidarietà e di una coscienza critica.

Non giudichiamo nessunx: chiunque è liberx di vaccinarsi o meno, seguendo le proprie idee, rispondendo alle proprie vulnerabilità e rispettando chi prende una decisione diversa.
Non accettiamo però il discorso sull’altruismo come leva per vaccinarsi, perché quando il raggiungimento di un “bene comune” combacia così tanto con quello di un bene personale (il ritorno alla mia normalità) è quantomeno sospetto.

Dov’è l’altruismo quando affondano i barconi che partono dalla Libia? Dov’è l’altruismo quando un imprenditore sposta un’azienda e licenzia chi ci lavora? Dov’è l’altruismo quando si ammassano milioni di maiali per soddisfare il bisogno di un hamburger sempre pronto? Dov’è l’altruismo quando dentro le mura di casa il vicino picchia la moglie?

Ci piacerebbe portare avanti questo discorso con chiunque ne senta il bisogno, la voglia o una rabbia che scalcia, senza però dare spazio a complottismi e senza urlare alla dittatura, perché quella che stiamo vivendo è l’espressione più schietta della Democrazia: una Maggioranza che tenta di annichilire una Minoranza che la pensa diversa mente.