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Ma è veramente ancora possibile lasciarli fare? Quanto ancora ci si può dimostrare accondiscendenti in cerca di perenne mediazione con l’esistente?

Venditori di sabbia nel deserto, queste lingue biforcute si aggirano seminando la loro menzogna. FIRMATE FIRMATE.

Una scorpacciata di consenso per il ponte, le imprese del Nord che entreranno nel progetto, e i politici che le avranno aiutate. In questi giorni, al villaggio UNRAA, contesse, città di Messina, un bachetto di Lega-Prima l’Italia raccoglie firme per chiedere di coprire il segmento del torrente S. Filippo che permetterebbe al Villaggio di avere una seconda entrata. Sì, perché al quartiere della zona Sud si può accedere da un’unica strada, da dove passano – oltre agli abitanti – i mezzi pesanti di diverse imprese di servizi e logistica e, da un po’ di tempo, anche i mezzi che depositano materiali di ogni sorta nel cantiere adiacente alle case ed al mare. Strano… in mesi e mesi di allarme sanitario ed ecologico non hanno emesso un fiato riguardo l’arsenico e le polveri sottili che si diffondevano nell’aria e nell’acqua… ora improvvisamente appoggiano una richiesta che gli abitanti del luogo fanno da decenni.

In apparenza è ancora piu strano che loro, che sventolano la paternità della mega-opera che stuprerà la nostra terra, sicuri che in estate – forse proprio da Contesse – apriranno i cantieri, chiedano un intervento già previsto dal progetto ponte!

Sappiamo infatti che, secondo il progetto, proprio da villaggio UNRRA avrebbe inizio il perforamento della terra per la nuova ferrovia che, attraverso due gallerie sub-urbane, giungerebbe all’impalcato del ponte. Ma di questo, nello sbandierare la loro nuova sensibilità per i problemi degli abitanti della zona, neanche una parola.

Indicato con marrone chiaro l’area del torrente S. Filippo già inclusa nel progetto ponte sullo Stretto.

Una nuova viabilità per il Villaggio UNRRA” recita il manifesto del loro rituale di menzogna, apponendo il camouflage della vox populi ai loro interessi milionari.

Manipolazione in due step: ingraziarsi gli abitanti del luogo insinuando nelle loro teste che, a fronte di veleni ed espropri, qualcosa di buono anche per loro c’è, nel progetto del ponte; poi, utilizzare gli stessi abitanti come leva per legittimare i cantieri. Ma con chi pensano di avere a che fare?! Hanno la pretesa di poter sempre imbrogliare chiunque con le loro belle parole…

Ma per chi chiedono questa “nuova viabilità”? Per ancora altre miriadi di camion stracolmi di materiale da cantiere che scorrazzeranno qui e lì per le strade? …tanto, comunque, tra espropriati e trasferiti forzati, saranno poche le persone che rimarranno in quartiere!

Continuano imperterriti a porsi come i mediatori del ‘ben vivere’, del futuro avvenire, unici interpreti di ciò che è meglio; cercano di costruirsi rifugio e legittimità dietro un “mandato popolare”, quello delle stesse persone che dai loro cantieri perderebbero di più. Dall’altra parte, intessono la narrazione del costantemente incipiente inizio dei cantieri; poi, subito dopo, qualche notizia smentisce e rimanda lo stupro a qualche mese dopo. Di estate in estate la corda della forca sembra stringersi sempre più al collo della gente.

Intanto, la narrazione da guerra ha lasciato spazio a un’organizzazione del controllo e della repressione nel contesto cittadino sempre più improntata agli scenari di guerra. La riorganizzazione del regolamento di polizia urbana e la richiesta di strumentazione da antisommossa per la polizia municipale ( in diretto riferimento ai prossimi cortei No ponte!) sono solo gli ultimi dei provvedimenti che stringono la città.

Vogliono convincerci in tutti i modi a consegnare i nostri luoghi di vita nelle mani di chi ne farà strazio a viso scoperto; in cambio di qualche briciola che non potremmo neanche mangiare, quando ci avranno tolto tutti i denti. Lo fanno attraverso le menzogne che ogni giorno propinano a mezzo stampa e/o telecamera, lo fanno attraverso la fame che impongono su luoghi e persone sempre più depredate, lo fanno con i loro banchetti raccogli firme, con il loro continuo caldeggiare il processo democratico colluso e pilotato da signori del cemento e della finanza, senza il quale non esisterebbe per loro alcuna possibilità di esistenza.

Ma è veramente ancora possibile lasciarli fare? Accettare tacitamente la prepotenza con cui impongono la loro squallida presenza? Quanto ancora ci si può dimostrare accondiscendenti in cerca di una perenne mediazione con l’esistente?

Diciamo NO alle loro luride menzogne! Non possono sempre averla vinta loro, non possono sempre fare tutto ciò che vogliono, soprattutto perché il loro volere è sempre e comunque contrario alla vita ed alla gioia.


CORPI DI GUARDIA E MENTI CARCERATE


Commentano giovani rivoltosx…

“La festa comincia male, diventa finalmente nostra. Ci prendono sempre tutto; ci riprendiamo qualcosa!”



Il dirigente del Comune di Messina Salvo Puccio con determinazione n° 2901 del 16/04/2024 indice il bando di assunzione per cento agenti di polizia locale con la mansione di istruttore. 

L’estendersi della necessità di personale di sicurezza e controllo sul territorio in un contesto normativo che si fa sempre più stringente e rivela la sua genetica fascista, travestita col nome “democrazia” è uno degli aspetti. Ma è molto curioso provare ricostruire uno dei fil rouge possibili che lega tra loro alcuni avvenimenti che ci piombano a cascata sulla testa, determinando il riassetto della polizia urbana nella città di Messina, anche. Risulta abbastanza confusionario ma, con il supporto del “senno di poi” (sigh!), si può abbozzare una ricostruzione dei fatti normativi e di concreta vita vissuta che hanno condotto, dal centro, al riassetto securitario di tutte le periferie. Il clima di guerra favorisce e lubrifica la possibilità di organizzare le regioni del regno in modo da creare compartimenti stagni controllabili, reprimibili e difendibili. 

Il “ddl sicurezza” non ha fatto altro che starnazzare un cameratesco “PRESENTE” al richiamo della società militare, di guerra. Poi, aggirando lo stesso sistema burocratico frutto del loro garantismo, il legislatore ha promosso l’applicazione dei suoi dettami in maniera diramata, locale. Così che i diversi comuni, soleccitati dalle prefetture e da sceriffi vari hanno incominciato, a catena, ad implementare regolamenti di gestione della sicurezza urbana che sempre di più hanno ricalcato la ratio del “ddl sicurezza”. I comuni hanno istituito diverse forme di “zone rosse”, confermando la totale possibilità di personalizzazione dell’apparato securitario che, da oggi, si cuce su misura dei corpi che intende colpire e criminalizzare. A coronare il sogno nazional-securitario il decreto che ha ammesso, seguendo la formula emergenziale, le caratteristiche sempre più repressorie messe in atto di governo in governo. Dimostrando subito il rinnovato clima repressorio, sempre più acuito, attraverso le modalità operative delle forze dell’ordine ed armate. I più recenti interventi intrisi di violenza nel contesto di alcune TAZ a Milano e Bologna, dove le squadre in divisa hanno provato a farsi strada a suon di lacrimogeni e vandalizzazione dei mezzi in uscita dalle aree circondate dagli agenti; il cuneo messo in opera dai reparti anti-sommossa durante il corteo con Gaza tenutosi a Milano che ha di fatti diviso il corteo in due; le repressioni durante le celebrazioni del 25 Aprile in diverse città d’Italia; tutte queste operazioni, che si diluiscono tra il tantissimo sangue già versato, riconfermano ancora una volta qual’è il pasto (avvelenato) che ci stanno giorno per giorno servendo in questo squallido banchetto. 

A Messina, nel frattempo la Prefettura sollecitava per la riorganizzazione del regolamento di polizia urbana e l’identificazione, da parte del Comune, di aree considerate “sensibili” ove il provvedimento del DACUR (divieto d’accesso urbano) sia considerato facilmente (termine giuridicamente profano) applicabile. Aree considerate particolarmente sotto attacco del degrado e che necessiterebbero della disinfestazione dei marginalizzatori e, così, la solitudine avanza. Preventivamente si è provveduti al riassetto di molti degli aspetti, tanto amministrativi quanto operativi, delle forze di polizia urbana in servizio sul territtorio. Si procede all’assunzione di nuovi agenti ed a somministrare nuove tipologie di addestramento per meglio inserirsi nelle nuove forme di servizio previste per questa forza di polizia sul territorio urbano. Aggiornato il regolamento di polizia urbana si richiede l’implemento di dotazione agli agenti della polizia municipale, fornendo scudi anti-sommossa, guanti con nocche rinforzate, caschi a visiera lunga, torce tattiche, ma soprattutto “adeguata formazione”. I kit speciali sono 40 ed più si aggiungo 10 kit specificatamente pensati per l’applicazione delle misure previste dal trattamento sanitario obbligatorio.  Il tutto giustificato dalla più recente manifestazione No ponte che ha visto le strade di Messina attraversate da persone che non partecipavano ad una liturgia come un’altra, ma che, con determinazione, squarciavano lo status quo che affligge la quotidianeità di queste latitudini. Si è speso troppo tempo a quantificare i millilitri di vernice spray applicati sui muri di questa grigia città e non più di un niente alla considerazione di quanto avviene ex-post. 

Partendo dai provvedimenti del consiglio comunale messinese, che si prefigge di implementare la sinergia con la questura nella gestione dell’ordine pubblico, vengono più volte menzionati i fatti del Carnevale Noponte e si chiama a gran voce l’isolamento. Infatti, per i consiglieri comunali di Fratelli d’Italia e Lega le prossime manifestazioni contro la mega-opera dovrebbero avvenire “nell’inutile parcheggio d’interscambio di San Licandro”, zona pre-collinare del messinese.  A parte l’aggettivo “inutile” riferito ad un’opera del comune all’interno di uno stesso provvedimento comunale che di per sè delinea il carattere tragi-comico della questione, resta predominante l’esercizio di cieco e sommario potere da parte dei soggetti istituzionali coinvolti, che nella loro continua ricerca di centralità da opinionisti si dimenticano il proverbiale “contare fino a dieci”.

Le mosse politico-istituzionali che ricalcano la stretta penale dei provvedimenti “sicurezza” non terminano qui, infatti in ordine cronologico, subito dopo la delibera comunale sopra citata, il comune messinese approva il già menzionato nuovo regolamento di polizia urbana, implementando una personalizzata e zanclea forma di “zone rosse”. E se, precedentemente, si era già imbastito il bando di conocorso per l’assunzione di nuove guardie del castello, adesso si prepara la ciliegina sulla torta con la previsione di ulteriore attrezzatura e formazione.  Se la tipologia di attrezzatura non lascia spazio alla fantasia circa le rinnovate intenzioni del grande controllore Giardina (capo della polizia municipale messinese), qualche dubbio circa “l’adeguata formazione” forse bisognerebbe porselo. Certo ad utilizzare sti scudi e sti manganelli sappiamo bene chi lo insegna, essendo la polizia di stato incaricata alla gestione dell’ordine pubblico, soprattutto quello a cui fanno riferimento nella loro cieca corsa alla militarizzazione totale. Ma si potrebbe dedurre una qualche forma di collegamento tra le nuove assunzioni e le auspicate funzioni che dovrebbero ricoprire; se poi si aggiunge che una buona percentuale di posti per questo tipo di concorsi è riservato a persone che hanno partecipato a programmi come vfp1 (volontario in ferma prefissata per un anno), vfp4 (volontario in forma prefissata per quattro anni) o affini, si può presto intuire che tipo di preparazione pregressa è favorita e gradita.  

Un salto a ritroso lo si può proporre qui, tornando alla scorsa stagione fredda, quella del 2024, quando la città di Messina sembra improvvisamente invasa da quantitativi di crack senza precedenti. Ogni fine settimana il servizio giornalistico dedicato ai risultati dei controlli sul territorio il termine “crack” spopola nella cronaca locale. Il culmine si raggiunge quando, scoperta l’america nella bacinella, ci si accorge che “i giovani” si drogano! Ma cosa ancora peggiore, lo fanno a cielo aperto e non nella suburbe dove tradizionalmente si immaginano collocate reiette e rietti, mettendo così costantemente a rischio la narrazione di una città tranquilla, esente da disperazione ed abbandono umano/sociale. Non in queste righe si vuole avanzare una riflessione sul clima sociale che ha permesso il tracollo di una comunità appesa ad un filo e certamente non è individuabile, il collasso sociale, nello schioppettare di queste pietre nelle pipe, ma certamente molto più in là, forse questa è solo una conseguenza. Ed, a scanso di equivoci, non vi è alcuna moralizzazione circa la ricerca di un’istante di serenità in questa o quell’altra sostanza. Fanculo l’antidoping! Il dato allarmante fu il sempre più intenso rapporto sinergico degli agenti di polizia municipale con quelli delle varie forze dell’ordine ed armate. Infatti, posti di blocco della municipale sempre affiancata da personale di polizia di stato, guardia di finanza o arma dei carabinieri; pattugliamenti congiunti; eccetera. Insomma un ménage à trois di sbirri. 

L’attuale amministrazione a guida Basile segue pedissequamente i passi già percorsi dalla precedente genitore. Gia con la precednete amministrazione De Luca si avvertiva l’elevazione del corpo di polizia municipale a guardie personali dell’allora sceriffo che dichiarava arresti agli sbarchi delle navi traghetto durante la dichiarata pandemia e le misure di chiusura implentate, appunto, attraverso diversi decreti. Chi abitava Messina in quel momento potrà nitidamente ricordarsi le foto pubblicate sui social dall’allora sindaco di sex toys e profilattici rinvenuti nelle diverse case d’appuntamento dove i suoi agenti municipali irrompevano con la stessa prepotenza che tutto il mondo, ogni giorno, già è capace di dimostrare a chi abita i contorni di questo terribile buco nero. 

Non era più evidentemente possibile concepire le forze di polizia municipale come l’ennesimo bacino per assunzioni di amici e parenti che faceva possibile l’immagine goliardica dell’agente municipale come un carapace della sorveglianza. Aumentano le ronde e la possibilità di presidiare sempre maggiori porzioni di territorio, sempre e soprattutto in vista della massiccia opposizione alla cantierizzazione delle rive dello Stretto, dicono.


Commenta Giardina: “L’operatore rischia […] servono almeno i caschi. Sono dispositivi di sicurezza e protezione, certo non vogliamo trasformarci in una polizia in stile sudamericano”…. che vorrà dire?!


E così, ringalluzzito l’umore di questi mai percepiti come sbirri, adesso vengono definitivamente inseriti nel grande pastone del braccio armato dello Stato, anche qui, nella sghignazzante città di Messina. 




CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!

Riceviamo e diffondiamo:

Ciao a tutt*: gli aggiornamenti che ci arrivano sulla situazione del compagno Alfredo Cospito descrivono un evidente inasprimento delle condizioni già di per sé aberranti della reclusione in 41-bis. Da alcuni mesi, Alfredo sta affrontando una progressiva limitazione nelle già esigue possibilità di vivibilità del regime detentivo a cui è stato assegnato dal 2022, tra cui il blocco praticamente totale della corrispondenza da/per l’esterno, l’impossibilità di accedere alla biblioteca interna (autorizzazione che Alfredo aveva avuto dalla Direzione), il blocco dei libri regolarmente acquistati in libreria tramite il carcere (come prevede il regime del 41-bis) e di altri beni, come farina o indumenti, di uso quotidiano. Tutto ciò avviene, guarda caso, in coincidenza con la condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio del sottosegretario alla giustizia Delmastro (proprio per la vicenda delle intercettazioni ambientali, divulgate in Parlamento da Donzelli, delle conversazioni tra Alfredo e gli altri reclusi che all’epoca facevano parte del suo “gruppo di socialità”). Altre “coincidenze” che viene da pensare possano avere il loro peso in questa vicenda sono le dimissioni a fine del dicembre scorso del direttore del DAP, Giovanni Russo, che aveva testimoniato non proprio a favore di Delmastro nel processo a suo carico e, ancora guarda caso, il ritorno al comando della sezione 41-bis di Bancali del graduato dei GOM che era stato trasferito proprio per il suo coinvolgimento nella faccenda delle intercettazioni. Rilanciamo quindi l’appello che diffondemmo l’anno scorso in merito alla corrispondenza indirizzata ad Alfredo, come primo passo perché riacquisti incisività e costanza la mobilitazione per strappare Alfredo dall’isolamento e per continuare a lottare contro l’ergastolo e il 41-bis.

CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!

È importantissimo continuare a scrivere al compagno Alfredo Cospito, tuttora in 41bis nel carcere di Bancali (Sassari). Il lavoro certosino (e spesso francamente incomprensibile e contraddittorio) dell’ufficio censura, insieme al pressapochismo tipico delle patrie galere e all’inaffidabilità delle poste italiane (strumento sempre più spesso appannaggio esclusivo delle comunicazioni galeotte), rende fortemente consigliato l’invio della corrispondenza attraverso sistemi tracciabili quali la raccomandata (anche senza ricevuta di ritorno) o la “Posta 1”. Il tagliando e il codice di tracciabilità permettono di conoscere lo stato della spedizione e intraprendere poi l’iter burocratico per cercare di sbloccare la corrispondenza, dato che gli agenti non sempre rendono noti i trattenimenti e la posta spesso semplicemente scompare. Invitiamo quindi tutti i solidali a scrivere e ad inviare scansione o foto dei tagliandi (o comunque dei codici di tracciabilità) alla Cassa Antirep delle Alpi Occidentali, che si incaricherà di raccoglierli e inviarli all’avvocato di Alfredo per fare i dovuti ricorsi e recuperare quante più lettere possibile. La solidarietà è un atto concreto, non lasceremo mai Alfredo da solo nelle mani dei boia di Stato: sommergiamolo di affetto anche attraverso lettere e cartoline!

L’indirizzo per scrivergli è: Alfredo Cospito C.C. “G.Bacchiddu” Strada Provinciale 56, n°4 Località Bancali 07100 Sassari

mentre per inviare le vostre ricevute: cassantirepalpi@autistici.org Contro tutte le galere!

Cassa AntiRep delle Alpi occidentali


“Adesso non si scherza più”

Riceviamo e diffondiamo:

Come un corteo di carnevale, con carro, maschere e coriandoli si trasforma in un attentato terroristico.

“Quel pessimo scherzo di Carnevale che indigna e offende Messina”;

“Cavernicoli e antisemiti”;

“La battaglia contro il Ponte utilizzata per far casino e aggredire i poliziotti”;

“Contro il progresso e a sostegno dei terroristi”.

Che il terreno fosse accidentato era facile da intuire, ma fossero le strade già spianate non servirebbe aprirne di nuove. Invece difficile era intuire che un corteo carnevalesco avrebbe provocato una canea mediatica talmente feroce da sfornare in poco tempo centinaia di articoli per attaccare un corteo di 300 persone.

“…mi chiedo in cosa la nostra società abbia sbagliato, nel produrre soggetti che, privi anche del minimo senso civico, colgono ogni occasione per offendere, aggredire, fare violenza…Che fine hanno fatto i valori che si insegnano nelle scuole?”

Vent’anni di controversie sul ponte hanno destato enorme attenzione negli ambienti siciliani del cemento e dal malaffare che sulla sua costruzione e i suoi indotti hanno solo da guadagnare, inoltre i rubinetti aperti del governo erogano già fondi per consulenze ed appalti che vanno difesi.

A discapito dei clichè, la prima voce ad alzarsi a protezione degli interessi di pochi non sono dei botti, ma la macchina del consenso. Ormai tramontata l’era dei media mainstream, l’informazione si snoda tra vari blog e social. Loro è il compito di alzare la tensione, loro è il compito di mettere in moto la macchina del fango. Ed è così che un paese impoverito culturalmente mostra il livello di miseria intellettuale in cui è ridotto, privo di bussole ed ideologie spolverato da una superficiale patina di democrazia liberale non può che dar luogo a discorsi pedagogici che assomigliano sempre di più a quelli da bar…

Farlo dove si concentra un interesse strategico nazionale funge da amplificatore, quindi se la presa di posizione di Salvini è ormai un obbligo del sabato sera, il coinvolgimento di Piantedosi dimostra, se ce ne fosse il bisogno, quanto i governi sprechino e dilapidino denaro pubblico per questioni che riguardano più l’immagine che le necessità. In questa ottica il Ponte è fondamentale, in special modo dopo il flop dei centri di detenzione per rifugiati dislocati in Albania.

In questo contesto si comprende che non si necessita di un serio delitto per scatenare il coro di disapprovazione dei media, ma basta vergare delle: “scritte di protesta sui muri di diversi edifici ….. Un atto che ha suscitato indignazione, svuotando di significato la legittima espressione di dissenso pacifico” per trasformare i manifestanti no ponte in una cellula di Al Qaeda. Per equiparare petardi ad ordigni, per vedere un assalto dove sta una coraggiosa difesa di un corteo con famiglie a seguito.

Al netto di cariche, inseguimenti, rastrellamenti, identificazioni e fermi sono una decina le posizioni da valutare nei confronti dei manifestanti, non molto per giustificare l’intervento diretto del ministro degli interni. Ma l’interesse sta tutto nel soffiare sul fuoco perché la trappola sia ultimata e la vittima bollita senza manco accorgersene. L’esca è lanciata e fulmineamente in modo coordinato alcune anime del movimento NoPonte praticano una cieca dissociazione che li porta a solidarizzare con gli aggressori (sembra un vizio ricorrente), a stigmatizzare le scelte altrui, fino ad alimentare la caccia all’uomo…

Ecco come per bieco e palese elitarismo e calcolo politico contingente, quanto poco lungimirante, si consegna l’intero paese ad un regime postdemocratico. Le vittime sono le persone reali, quelli che perderanno la casa, il paesaggio, il luogo del “cuore”, quel minimo di ecosistema che ci permette di sopravvivere, quelli avvelenati dai materiali di risulta, quelli che ne soffriranno per anni, quelli che perderanno il poco che ancora il mare dello strettto custodisce, quelli che soffrono per mancanza di ospedali, cure adeguate, scuole ed istruzione inclusive, quelli a cui mancano i mezzi di sussistenza, quelli che faticano per “arrivare a fine mese”, quelli che sono spinti alla marginalità, che sono costretti alla miseria e che vengono seppelliti tra le mura delle carceri, quelli che non hanno voce….Perché loro griderebbero con tutto il fiato che hanno in corpo, di sapere veramente cosa è la violenza e chi la subisce quotidianamente.

La violenza è ben altra cosa. La violenza è sequestrare qualcuno perché non ha un conto in banca o il colore della pelle “sbagliato”, la violenza è privare delle possibilità di una vita dignitosa, per poi privare della libertà chi non ha una vita dignitosa. La violenza è ospitare a scuola polizia e militari per insegnare ad accettare e rispettare la violenza del potere, la violenza è fare affari vendendo mezzi di morte per fare le guerre, la violenza è morire per uno stipendio da fame, la violenza è partecipare con parole, opere e mezzi allo sterminio di una intera popolazione.

“il rischio di mescolare pericolosamente ciò che va tenuto distinto. Una cosa è chi protesta secondo le regole della democrazia e della Costituzione, come il movimento no ponte ha sempre fatto. E altro chi s’inserisce in una battaglia politica per sputare il proprio veleno che ha in corpo. E attende il momento solo per creare il caos, godendo della reazione del potere.”

La solita solfa dei barbari venuti da lontano, della brutalità dei vandali, dell’amore per la violenza, come se chi manifesta non fosse cosciente che il rischio di perdere la libertà è sempre presente, del decoro prima dell’umanità, della fragilità in cui versa la democrazia minacciata dagli unici che la praticano quotidianamente, il solito trito e ritrito peloso distinguo tra buoni e cattivi. Una storia già sentita troppe volte se non fosse che ormai non corriamo alcun pericolo di cadere in un regime autoritario, perché ci scivoliamo lentamente quanto inesorabilmente e in modo concreto giorno dopo giorno. Così la domanda di maggior repressione chiesta a gran voce a destra e sinistra trova subito una corrispondenza in una fascistissima mozione del podestà di Messina che non aspettava altro…

“….ovviamente in coordinamento con la Questura, a far sì che in futuro si impedisca l’uso del suolo pubblico e sia negata l’autorizzazione per raduni, manifestazioni e cortei promossi da associazioni che abbiano già dimostrato di fomentare l’odio e incitare alla violenza, accogliendo tra le proprie fila facinorosi, personaggi violenti in stile black bloc, venuti anche da fuori, che hanno quale unico obiettivo quello di creare scontri con le forze dell’ordine o caricarle, imbrattare muri o minacciare di morte”

Oltre ovviamente ad invitare i sudditi alla partecipazione nella punizione esemplare:

“costituendosi parte civile nei procedimenti penali avviati nei confronti dei responsabili; a valutare la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni subiti dalla città ai responsabili delle associazioni che hanno organizzato le manifestazioni poi sfociate in guerriglia urbana”.

Come gran finale l’ipocrita piagnucolio coccodrillesco della sinistra che formalmente raccoglie quello che ha seminato stando nel campo della destra; la subalternità totale al capitale e la sua totale inconsistenza politica. Archiviando con i fatti qualsiasi lotta che non sia pacifica testimonianza della protesta, stanno contribuendo a rendere un sistema sempre più ingiusto e catastrofico, inevitabile e immutabile a qualsiasi cambiamento dal basso. D’altronde cosa mai si è conquistato con la lotta? A parte praticamente ogni libertà? Sicuramente meglio una raccolta di firme, una class action, oppure perché no? Dotarsi del servizio d’ordine di Cicalone o chiedere al Gabibbo! Make Messina Great Again!

Solidarietà e complicità con i partecipanti al carnevale no ponte!

Smascheriamoli perché ADESSO NON SI SCHERZA PIU’!

Sempre con la popolazione palestinese e tutti gli sfruttati che si ribellano!


A DIFESA DELL’ANTIFASCISMO MILITANTE

A DIFESA DELL’ANTIFASCISMO MILITANTE

Antifascimo è antisionismo, antisionismo è anticapitalismo.

Fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le Case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d’Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e Arditi”.

Il 25 Aprile, ormai da tempo, è mera e vuota ricorrenza, in cui il paese per un giorno attua la “liturgia della resistenza”, priva di ogni contenuto attuale e riferimento reale, spinta dalla sinistra istituzionale, ansiosa di strumentalizzare la giornata e i sentimenti che suscita per fini propagandistici.

Adesso, troviamo proprio impossibile attraversare le piazze “antifasciste” del 25 Aprile che si riempiono solitamente di bandiere, e di partiti, aderenti alle sacche di repressione dello Stato, complici con il Genocidio Palestinese, proprio in questo momento quelle piazze rischiano anche di essere ulteriormente vilipese e snaturate dalla propaganda di Guerra.

La bandiera dell’UE non paga di essere lorda del sangue palestinese con il progetto REArm EU continua ad assumere connotati coloniali e guerrafondai stavolta recitando l’epitaffio sul tanto decantato mondo 

libero occidentale.

E che se lo mettano bene in testa tutte quelle organizzazioni politiche antagoniste che durante l’anno si impegnano ad indicarci la via maestra per la redenzione dal capitale!

Quello che succede a Gaza non è una guerra tra stati bensì un genocidio da parte di uno stato nei confronti di un intero popolo, quello palestinese, che prova a ribellarsi e liberarsi dall’oppressione. 

Un tenace movimento di Resistenza popolare che si oppone ad una delle potenze militari ed economiche più forti del pianeta, Israele, che vanta le migliori tecnologie, i migliori armamenti, il migliore esercito ed una diffusa volontà di pulizia etnica.

Questo dimostra che: la sterilizzazione dell’antifascismo operata dall’intero arco istituzionale, ha operato attraverso la selezione di forme e gestualità occasionalmente represse, lasciando i contenuti e l’essenza a diluirsi nella marea delle ingiustizie umane.

Quindi mentre ci inorridiamo di fronte a braccia tese, marce a passo dell’oca o al rifiuto di rinnegare il ventennio, siamo impassibili di fronte alla detenzione su base etnica dei cpr, alle deportazioni, alle misure di prevenzione poliziale, alla profilazione della repressione.

Ma non solo, come definire la speculazione finanziaria, la turistificazione, la deregolarizzazione del lavoro, la privatizzazione di scuole ed ospedali? Termini gentili ma non meno portatori di miseria, povertà e lutto.

Nel contesto dei già approvati decreto anti-rave, decreto Caivano e persino del nuovo codice stradale è al varo il DDL 1236 che si prepara a diventare il decreto legge più repressivo in tutta Europa. 

A farne le spese saranno soprattutto lx detenutx e lx migranti a cui non possiamo che stringerci provando a creare ponti solidali, se carceri e cpr si chiudono col fuoco dellx reclusx il nostro impegno è di essere il fuoco 

della vendetta. 

A giovarne invece saranno le forze dell’ordine con più deterrenza, scudo penale, incitazione all’uso di armi da fuoco e maggiore discrezione sull’uso della forza. Il Fascismo è già qui!

Ma la variante umana non è uno scherzo! Gaetano Bresci che uccide il re ci insegna che a frapporsi tra la guerra ed i popoli innocenti c’è la 

vendetta e la rabbia di chi cospira contro il potere.

A Catania il 25 Aprile andrà in scena la carcassa di quella che ancora molti si pregiano di chiamare ancora antifascismo e noi a questo vogliamo opporci, vogliamo che voli la civetta.

Chiamiamo all’azione e al conflitto sociale tuttx lx antifascistx che si oppongono alle logiche del profitto e del capitale per organizzare un 

momento di rottura collettivo, per sovvertire l’ordinario, per riprenderci il presente. 

SIAMO TUTTX ANTIFASCISTX? TUTTX?


MAGGIO ANTIMILITARISTA

Vogliono che i nostri corpi siano complici con la militarizzazione permanente dei territori, terrorizzando, assassinando e distruggendo in nome di una falsa sicurezza di cui beneficia solo l’estrattivismo e lo sfruttamento. Non fate affidamento su di noi!! 


Vogliono i nostri corpi per la guerra ed il servizio militare mentre ci uccidono di misoginia e macismo per le strade. Ora basta!! Non contate su di noi.


Ci vorrebbero utilizzare come giustificazione per la spesa militare, una giustificazione bastata sulla paura prodotta dallo loro stessa mano armata. Non saremo parte di questo. Non fate affidamento su noi. 


Chiamiamo all’azione collettiva e solidale tra i popoli contro l’industria degli armamenti, della morte e della discriminazione. La sicurezza proposta dagli Stati e il capitalismo è una finzione che perpetua il monopolio della violenza alimentando continuamente lo scambio di armi, le oppressioni dei popoli e lo sfruttamento dei territori. 


Nella Ramalc (Rete Antimilitarista dell’America Latina e dei Caraibi) crediamo nella sicurezza come una convivenza comunitaria es empatica che si costruisce congiuntamente in ognuno dei territori che abitiamo, in maniera orizzontale, come esercizio di azione diretta. 

Questo e tutti i 15 di maggio sono il giorno internazionale del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, il diritto a dire NO all’essere parte di guerre e morte. In tempo di militarizzazione ed autoritarismo non collaborarvi è un esercizio di libertà e solidarietà indispensabile.

DICHIARATI OBIETTORA!!!! 


AGGIORNAMENTO REGOLAMENTO DI POLIZIA URBANA. OSSIA L’ISTITUZIONE DELLE ZONE ROSSE A MESSINA


Con deliberazione n°23 del 21/02/2025, avente come oggetto “Regolamento polizia urbana”, il Comune di Messina abroga il precedente regolamento, datato al 1933. Anche Messina si allinea così al maturato contesto politico, normativo e sociale che rende necessaria l’implementazioni di misure che, a ben guardarci, ricalcano quasi in tutto e per tutto la ratio del ddl sicurezza adesso al vaglio del Senato. 

Si rende noto nel verbale del Consiglio Comunale che tale operazione è seguita anche alle esortazioni della Prefettura di Messina che, con due note indirizzate al Comune (95812 del 18/09/23 e 119806 del 17/11/23), esorta quest’ultimo ad adottare le misure necessarie per permettere al Questore di applicare le misure previste dal DACUR (Divieto di accesso alle aree urbane).  Il DASPO urbano è definito dalla legge come “misura a tutela del decoro di particolari luoghi”: in pratica, un sindaco – con il prefetto – può multare e stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città. È di fatto un divieto di accesso indirizzato ad una singola persona in alcune zone su ordine del Questore. Si parla quindi di “zone rosse”, per indicare luoghi caldi della città dove si vieta di entrare ad alcune persone perché viste come un pericolo per la sicurezza pubblica. 
Si tratta di un istituto nato negli ultimi anni ed introdotto per la prima volta con il decreto legge 14/17, il cosiddetto decreto Minniti. Poi, il decreto legge n° 113/18, denominato “sicurezza e immigrazione”, uno dei cosiddetti “decreti Salvini” è intervenuto con una parziale modifica della disciplina del Daspo Urbano (in particolare art. 21). Sono stati inclusi tra i luoghi ai quali allargare la tutela interdittiva anche i presidi sanitari e le aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli oltre alle zone di particolare interesse turistico. In seguito è intervenuto anche il nuovo decreto sicurezza 2020 (d.l. n. 130/2020, convertito dalla l. n. 173/2020), che ha ulteriormente ampliato l’ambito di applicazione del Daspo urbano, prevedendo che i soggetti che sono stati condannati anche con sentenza non definitiva, negli ultimi tre anni, per reati di vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, non possono stare nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico o pubblici esercizi che si trovino nei luoghi in cui sono avvenuti i fatti per i quali è scattata la condanna penale: ai media è stato proclamato come “Daspo per i condannati”. Onore dell’allora ministro Lamorgese. Ancora, il decreto legge n. 123 del 15 settembre 2023, denominato “Decreto Caivano” e recante “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, introduce  l’applicabilità del daspo urbano a sogetti minorenni che non abbiano meno di quattordici anni. 
Ormai decorsi i quindici giorni dalla pubblicazione nel gazzettino ufficiale il nuovo regolamento per la polizia urbana del Comune di Messina entra in forze. Tratta, nei suoi diversi titoli, di “decoro pubblico e vivibilità urbana”; “sicurezza urbana”; ed infine, di “polizia rurale”. Il nuovo regolamento, resosi “necessario” alla luce delle “evoluzioni normative, amministrative, sociali ed alle nuove esigenza di sicurezza urbana”, ha raccolto il parere positivo delle cariche di comando delle forze armate e dell’ordine locali. 
 
Nei fatti i diversi articoli del provvedimento ricalcano in parte quanto già previsto dal decreto sicurezza proposto dal governo a guida Meloni ed ora al vaglio del Senato. Vengono ricalcate le soggettività criminalizzate e marginalizzate, individuate ancora una volta nelle persone costrette ai margini di questa società profondamente gerarchica ed escludente. Chi fa accattonaggio, chi imbastisce una bancarella per raccattare qualche decina di euri, la “manifesta prostituzione”, chi trafuga la spazzatura, chiunque sia considerabile come capace di “diminuire il decoro e la pulizia” urbana. Il nuovo regolamento si riferisce a spazi pubblici e spazi privati impiegati a pubblico scopo; si esortano bambini e bambine a non “molestare la quiete pubblica, non danneggiare l’arredo urbano e la vegetazione”. Si interdice la diffusione di “materiale pubblicitario” senza previa autorizzazione (ossia essere un’impresa regolarmente operante) e comunicazione delle operazioni di diffusione pubblicitaria alle autorità competenti, ossia la polizia municipale. Viene fatto dunque divieto assoluto di qualunque diffusione di contenuti cartacei che non avvenga nel quadro della pubblicità autorizzata. Per esempio montare un banchetto con del materiale informativo potrebbe divenire una fattispecie punita direttamente, oltre da quanto già previsto dai vari codici,dal regolamento in questione, concendendo un margine sempre maggiore di azione a varie forze di polizia. In tal caso, sembrerebbe più precisamente i corpi di polizia urbana. Si ricalcano le fattispecie previste, ancora, dal ddl sicurezza, anche per quanto rigurda “campeggio ed accampamento”, non si può dormire in strutture diverse da quelle tradizionalmente considerate ‘casa’ su tutto il suolo comunale; ossia, non hai una fissa dimora? Vai via da qui subito…oppure? diventa un corpo-profitto per qualche cooperativa della cura della persona! Ugualmente per quella che viene definita “prostituzione manifesta”. “Vietato lo stazionamento in modo scomposto e/o contrario al decoro (anche dormendo o consumando alimenti o bevande)”, punite anche “forme di accattonaggio molesto ed insistente”, altresì fatto divieto di “richiamare l’attenzione e la compassione”. 
La lotta agli ultimi, la caccia alle streghe, la soppressione del disagio, l’oscuramento del margine. Non sono più gradite stonature all’armonia grigia di cemento e repressione. Contenitori per persone-capitale, per proggetti-capitale, per sopravivvenza-capitale; le città espellono tutti i corpi considerati estranei all’armonia del guadagno ad ogni costo. Tutti i “perdi giorno” non potranno più imbruttire l’idilliaca esistenza di città sempre più plastiche con la loro squallida dissonanza. La città alza le frontiere, quello che è ancora un disegno di legge trova diffuse applicazioni locali per mano di amministrazioni conniventi e prefetti perfetti. 
Ma se fino a qui sembrerebbe trattarsi solo (sigh!) di operazioni di controllo, sicurezza e decoro urbano; se fino a qui sembra il progressivo adattamento al contesto normativo nazionale e, dunque poi, quello comunitario; se fino qui sembra il reiterarsi di qualcosa di già contenuto e manifestato altrove, tanto negli intenti normativi del legislatore  quanto nelle dinamiche della società di capitale, il quadro si completa con l’articolo 20 della delibera del consiglio comunale messinese; infatti, elemento fondamentale di tale deliberazione, è l’individuare in maniera chiara delle zone particolarmente oggetto di controllo e repressione. Nominare delle aree della città dove l’applicazione del provvedimento del DACUR sia perfettamente leggitimato dall’accorata decisione della società tutta, per intercessione dei suoi onorevoli rappresentanti, ad operare una bonifica da tutti quei corpi considerati di troppo. All’articolo in questione vengono citate tutta una serie di aree che fanno rimando a quanto già contenuto nei differenti “decreti sicurezza” in successione come i governi che li hanno emanati; “infrastrutture fisse e mobili del pubblico trasporto”; “presidi sanitari pubblici e privati”; “scuole di ogni genere e grado sia pubbliche che private”; “sedi universitarie”; “pinacoteche”; “musei”; “luoghi turistici”; “siti archeologici”; “chiese e luoghi di culto”; “monumenti”; “edifici tutelati”; “aree di fiere e mercati”; “parcheggi inter-modali”. Inoltre, si individuano delle aree della città dove la sanzione prevista per le fattispecie elencate nel corso del regolamento concerne direttamente quella del c.d. daspo urbano. Ossia l’istituzione di vere e proprie “zone rosse” nella città di Messina. Più precisamente “l’area del centro urbano delimitata da: Viale Boccetta; Via XXIV Maggio; Via Tommaso Cannizzaro; Piazza Cairoli; Viale San Martino; Via Vittorio Emanuele II; l’area del Sacrario di Cristo Re e il belvedere; ed infine, l’area di Piazza Lo Sardo (Piazza del Popolo) e zone limitrofe. 


Praticamente l’istituzione di tutta una mega area (il centro cittadino) dove provvedimenti del questore faranno di fatto da barriera per la libera usufruizione e passaggio di alcune individualità, segnalate come elementi di stono del decoro urbano. Sembrano affermare chiaramente che la musica è cambiata, torna la società degli sceriffi, quella che abbiamo già assaporato con i provvedimenti carcerieri della dichiarata pandemia dal 2019. Una società sempre più militarizzata, che stringe la propria morsa sui centri cittadini, acquisendo sempre più spazio di controllo maniacale sulla vita delle persone. Si tratta di applicazioni locali di quanto è in corso di approvazione su piano centrale e nazionale. Esercizi di controllo e repressione, si. Ma è anche vero che la collocazione di queste aree sembra configurare una zona cuscinetto che, per prima cosa diventa frontiera tra l’aerea nord e quella sud della città, due zone che saranno particolarmente interessate dai cantieri del progetto ponte; ma diventa anche frontiera tra l’abitato cittadino e l’affaccio al mare, più precisamente la zona della stazione e, dunque, la zona falcata, già zona militare e di mille speculazioni. Inoltre, in armonia con le leggi e i regolamenti cambia la morfologia della città, si costruiscono nuove frontiere che abbracciano o escludono aree diverse della città: il rifacimento della linea del tram, ad esempio, nell’area della stazione centrale subirà la modifica di percorso che vedrà sciogliersi questo abbraccio della piazza anti stante la stazione, che verrà invece collocata all’aldilà del passaggio della futura rinnovata linea tram; la disseminazione prepotente di telecamere ed infrastrutture di controllo su tutto il suolo cittadino; la costituzione di aree intermodali, per quanto non acora propriamente in funzione, ma comunque esistenti; la costituzione di “zone rosse” interdette a gente non gradita; la progressiva e promimentente militarizzazione delle strade della città. Tutti cambiamenti che oltre a svelare gli interessi predatori e, dunque la necessità di essere difesi dalle possibile deiezioni delle depredate, mettono sempre più in luce la quasi totale aderenza ad un clima di guerra effettivo. L’utilizzo di tecniche e tecnologie adoperate nel contesto di conflitti considerati troppo lontani permea completamente nelle città e nei luoghi che abitiamo.

tracciato della linea del tram “adesso” e “dopo” i lavori di rifacimento nell’area antistante la stazione centrale


Così che in città si moltiplicheranno le scene che abbiamo avuto modo di vedere lo scorso sabato 1 Marzo, in particolare quanto accaduto in serata nei pressi della Galleria Vittorio Emanuele. Quando squadroni di forze dell’ordine hanno fatto irruzione tra la movida messinese per mettere in scena lo squallido teatrino del controllo territoriale. Un’azione poliziesca che si cuce perfettamente a questo clima di caccia alle indesiderate, agli indesiderati. 
Messina, come tanti altri luoghi, è teatro di questa guerra totale. Cosa possiamo fare noi? Come possiamo interfacciarci con questo conflitto completamente asimmetrico nel quale ci troviamo costrette? Seppur non esistono ricette pronte è vero che esistono diversi esempi di resistenze ed opposizioni quotidiane, di ogni momento. Esistono esistenze che mettono in ogni istante in questione lo status quo nelle quali sono recluse. Non è certamente più tempo di rimandi o di raggelanti cautele, la guerra è qui, ce l’abbiamo in casa. 

INCONTRIAMOCI, INTESSIAMO I NOSTRI RESPIRI, AFFINIAMO IL NOSTRO ISTINTO, DIFENDIAMOCI. 


PER LA LETTURA INTEGRALE DELLA DELIBERAN°52


La città degli specchi.

 

C’è dell’acqua, è straripata.

Dei corsi connettono le montagne al mare in questa lingua di terra. Una lingua sanguinante a causa delle tante ferite nel trattenersi.

Ci sono delle parole, sono straripate.

Poi ci sono delle griglie, incroci, alcuni diavoli si incontrano solo li, agli incroci. Strade grosse, strade interdette, strade affluenti.


Ci sono fili che si intessono nei decenni, nei secoli. Alcuni sotterrati nei loculi di quello che è stato, nella sua putrefazione a venire. La certezza, la percezione. Neuroni specchio, acceccanti riflessi di ciò che dimostra essere vivido in noi restituitoci da quanto ci sembra essere, invece, fuori. Meccanismi di auto-difesa fanno confonderci, diluendosi così nella netta separazione da ciò che solo guardiamo senza manco lontanamente avvicinarci a vederlo. E così è un attimo che, con la presunzione di stare dal lato giusto della storia, si prendono le parti degli intessitori di gabbie. Hanno spaccato il suolo relazionale che circonda il nostro esistere, ne hanno fatto carne da macello e servito sotto forma di squisite polpettine al peggiore degli offerenti. L’ennesimo muro costruito con degli scudi, dividendo non solo spazi urbani ma anche mentali, dello spirito. Chi presuppone essere santone vuole dirigire il rito, lo scettro è la penna; o il ditino che batte sulla tastiera; o la lingua che sminuzza libidini in qualche giudizio. Nel frattempo, sparlottano consigli e personalità della mondana opposizione a ribasso. Quanto aspettavano famelici la portata di questa scorpacciata, “gli assassini sono tutti ai loro posti”, condividono la tavolata.

Coloro che tutto e tutte riempono di “per” scorrazzano, maledetti, questi non hanno che rantolare il grido del loro pseudo allineamento, qualcosa che ormai fatto solo di spasmi tenta ancora lo sguisciare nella psiche di quattro solottieri locali. Qualunque loro sia la posizione, le labbra sono state (s)vendute. Cuscinetti si sentono, ma la loro convivenza con la convenienza li ha smussati a freno motore ormai corroso di un motore altrettanto corroso, frizione bruciata, fetide intenzioni tutte volte alla retromarcia. La sbandata è tutt’altro che garantita, quanto piuttosto una piattaforma ben programmata per seguire le linee di sta carreggiata con soste panorama annesse. Le iniezioni letali di cemento sono già quelle che, intorpiditi i neuroni, annullano ogni tensione alla tensione; annullano ogni propensione all’irreversibile domanda sul tutto. Carotaggi di persone hanno permesso una misurazione quasi niente sbagliata di macro-aree sentimentali, catalogando(ci) in mega gruppi nei quali contenitori ci si mette troppo spesso volontariamente. Eccoli qui i cantieri del ponte tanto attesi, le reti arancioni, l’ennesima dissociazione di un mondo sempre più distante. Unapropensione all’arroganza del pastore d’anime ed alla ricerca di un argine dal quale mai fuoriuscire. Sanno bene verso dove far sputare le loro linguacce e quale bestia sbranare per ridurla in strazio con la loro danza sterilizzatrice di vita.

Quanti specchi per allodole sparsi nella loro “presenza sul territorio”, nel loro marketing della lotta (CHE VOMITO!); quanta melassa per piante mai in infiorescenza, sbocciare inesorabile di una baraonda priva di rumore. Pilastri monolitici ed imponenti sono le loro leggi, tutte volte alla rassegnazione, tutte volte al numero, alla statistica.

NON SI RESPIRA E QUANDO SI CEDE IN SONNI DELLA MENTE IL SUSSULTO CARDIACO DELL’APNEA TARDA AD ARRIVARE..

Al motto di “ascolto tutti” e “mi voglio vendere a tutti” si perdono nel niente; una montagna di scartoffie da legali stende il loro tappeto rosso, ormai ridotto a straccio dallo sgommare dei loro tacchi impomatati. Tappeti sui quali da sempre si mette in scena la tragi-commedia del “non era il momento”, “il bello o il brutto deve ancora arrivare” e tutta la loro vasta gamma di secondi fini. Hanno badato bene a transennare questi steli di notorietà a suon di delegati e delegazioni, a suon di “se eravamo solo in tre avevamo già risolto tutto”, per ben prendere distanza da mani ed occhi di tutte quelle bestioline che tanto necessitano nello sciorinare le loro belle parole. Quelle stesse bestie, se gli saltassero addosso, le scaccerebbero con fare inorridito! “VIOLENTI”, “NON IN MIO NOME”. Ecco i dispositivi con i quali hanno tacciato chi si scaglia contro ogni fardello che pende, come una scure. Ci dicono che chi non indossa un sorriso compiacente e maneggia una scintillante penna che spara firme e ricorsi è pregata di starsene a casa o, meglio, IN UNA CELLA!

“VE LO SIETE CERCATI”, lasciano schioccare insieme alle manganellate. 

Svolazzano in circolo sulla carcassa del loro stesso delitto. Attendono l’allargamento delle maglie ad opera dei loro vili servi “locali”, per poi potersi inflitrare come parassiti che scavano tunnel sotterranei. Li si può osservare propugnare azioni burocratiche mentre guardano con ribrezzo chiunque non si lasci infatuare dal loro cancerogeno alitare. Guai a mettere a repentaglio le infrastrutture attraverso cui il loro stesso (in)successo si muove, impulsando l’umanoide stato attraverso plastiche pose di opposizione, voli charter per Acquisgrana e accorate canzoncine natalizie davanti ai palazzi ai quali loro stessi ambirebbero nella loro cieca ego-masturbazione. Ma mai minacerebbero l’abolizione del tutto, mai la invocherebbero credendoci per davvero. Alimentatori di un continuo dormire dello spirito, replicano l’immagine di una rivoluzione possibile solo attraverso il frenetico affaccendarsi tra uffici e marche da bollo.

“Un carnevale per smascherarli”, i sacerdoti del possibile del non possibile si sono mostrati, strillano che il tabù, oggetto del loro rito, è stato sconsacrato. Dei selvaggi lo hanno gettato nel fango.  La vita in formalina, tutto posticipato: “non è il momento”; “è un percorso” etc. Tutto viene modulato in base a qualcosa che non è adesso,ora non esiste. Oggi non vi è niente, ma vi è contemporaneamente tutto, tutto ciò che serve alla posticipazione di vita. Insomma, una non-vita a rilascio prolungato, un continuo sacrificio dell’estasi nel presente in nome di non meglio precisati benefici futuri.

LA SOSPENSIONE È SOLO QUELLA DEL TEMPO DEL RESPIRO. OSSIA UN INCUBO.

Tutto verrà , ma non adesso, strillano certe esistenze. Un rimando diventa così già predisposizione per il prossimo ed, allo stesso momento, frutto del precedente; immanente al brutto, al nulla. Nel loop perenne dello stesso sentire, del perenne tutto come prima, si traformano nell’elogio del FINITO! Si mettono in scena sempre le stesse dinamiche senza margine di modifica, si crea un’etica in base alla quale certi pennivendoli filtrano quanto possibile, auspicabile, e cosa, invece, impossibile, da evitare come la peste. E su questo ritmo, su tale brutto battito, le cessioni di porzioni, via via sempre maggiori, dei ciò che si è. Nella postura dell’evitare di “prestare il fianco” si indossano scarponi di cemento che costringono all’asfissia degli abbissi.

Dimenticando, dimenticando, dimenticando, dimenticando, dimenticando.

Alcuni imprevisti atterriscono lo schiacciamento al dovere, lo mettono fondamentalmente in dubbio, scuotendone le radici nel più profondo; spesse volte ci si rende conto di questo quando si ha fame d’ossigeno.

MA NON RIMAS(T)E SOLE!

Certe volte capita che si percepisca il bisogno di lasciarsi stringere dal chiudersi di una serranda. Delle volte capita che ci ritroviamo intorpidite in posizione fetale ad osservare il nulla, il vuoto, un silenzio. Ci si percepisce sole, rintrizzite nelle nostre sofferenze, il divario si rende percettibilmente incolmabile. Certe volte, delle volte, invece…invece…invece si apre una porta, forse più di una, nuove complicità accudiscono così ciò che sembrava il divenire di un atomo isolato. Lo scindono dalla solitudine raggelante e rendendo tutto possibile, sia in capo all’uno che al molteplice, paventano nuove possibilità. La brezza del cambio stagione così riempe i polmoni, i fiori sbocciano ed il polline, ormai, è stato tutto cosparso per aria e viaggia e viaggia e viaggia. Quell’aria stantia, travolta dalla corrente, adesso diventa flusso in piena, fischio assordante, molteplicità di persone ora un pò meno sole. Mentre alcuni consegnavano chi reputavano feccia alla stretta securitaria e moralista, alla possibilità repressiva; altre persone, invece, sbigottivano davanti allo smascheramento di tutte queste trappole e, complici, incominciavano ad incrociare i propri respiri. La frattura è molteplice, non può certo essere univoca come provano a convincere tutte le certe penne taglienti, questa si è invece espansa e sta attraversando diversi cuori che, ancora, si arrogano il bello di battere in petto. Tantissime persone hanno visto cosa si cela dietro quei bei sorrisi che spesso si incrociano per strada oppure a certe liturgie; tantissime persone si stanno mettendo in dubbio, stanno interrogandosi su quanto valga veramente la pena di consegnarsi a tale bruttura. Adesso le cose si fanno sempre più evidenti, il calice non è più nel sacrario, ha rovesciato il sangue sulla tovaglia e, mentre c’è chi pensa a tamponare ed assorbire la macchia, altre tornano a riempire quel bicchiere. Ilpalcoscenico è stato livellato, adesso stiamo tutte sullo stesso piano della scena, IL RE È NUDO!!! SIAMO NUDE…


Che succede? Ho le farfalle nello stomaco, un subbuglio di emozioni. Sta capitando che il corpo ceda alla focosità dei pensieri, sublimandosi in una specie di stato pre-allucinatorio. Crisi di panico? Che succede? Ho il respiro che sibbilla… si affanna, si fa pesante. Ho la mente che corre da tutte le parti, non riesco a non muovermi in questa stasi dello stare attonito. Che succede? Ora è rimasto un pò meno sole…


Una banda di psico-maghe ha fatto vedere che sarti incravattati cucivano un vestito su misura che nessuna avrebbe potuto vedere e brindavano e brindavano. Quando il re si mostrò al popolo per farsi fregio della sua nuova veste nessuno riusciva a vederla, ma era costata tanto sangue. Ormai le case erano state svuotate, la gente cacciata, gli animali non piu benvenuti e la natura penetrata con tutta la violenza che questo mondo ci ha saputo dimostrare nella sua lunga storia intrisa di stupro. Erano incravattati, occhiali da sole con lenti molto scure e il savoir-faire di chi ne ha collezionati tanti di inganni riusciti. Le tasche traboccavano il lusso sanguigno che avevano estorto a tutte le esistenze durante il loro passaggio. E la gente? La gente, la gente, la gente… La gente si è incontrata e questo è inesorabile, come lo è anche l’inganno per certi versi. Ma quanti spifferi di aria fresca sono giunti da angoli forse anche impensabili? L’IMPREVISTO. Qualcosa è cambiato nella storia che raccontavano quelle viandanti del primo rigo qui a questo paragrafo; si sono svelate prepotenti delle variabili, infinite come sempre. Delle tribù hanno ballato grazie anche a certi suoni magici. Quali danze? TANTISSIME. C’erano due collane scintillanti che recitavano “NOPONTE”, e si!! Il suolo ha avuto un ottima occasione per tremare!! E poi l’entusiasmo di essersi scoperte da sempre vicini, a prescindere da tutti sti macete squarcia-relazioni. Hanno danzato respiri, giravolte, incroci e piroette. Quanti occhi hanno voluto riconoscersi?! Quanti hanno voluto conscersi?!

E poi in certi momenti si può sbirciare tutto il contrario della solitudine; il respiro è un boato!

La cronaca cronicizza malessere e lo incanta in degli istanti, da li il teatrino dell’orrore. Ma quanto nell’adesso invece non si è mai arrestato nessun continuo perenne? Hanno bloccato il tempo del respiro al loro croce via. Lo hanno bloccato con l’aiuto di tutti i ‘blabla’ della situazione; ma quanto altro ancora invece esiste? Mesi in cui il rumore dei passi all’entrata della caverna scaturivano più curiosità che diffidenza. Una propensione ad uscire dal covo delle nostre routine. Vediamoci e non per siglare chissà quale compromesso. Vediamoci perchè lo abbiamo fatto, alcune persone hanno smesso per degli istanti di guardare ed hanno incominciato a vedere, trovandosi cosi nelle orme di certe affinità. Vediamoci perchè, ancora, “gli assassini sono tutti ai loro posti” e continuano la loro mortifera presenza. Vediamoci ancora perchè questi stanno intessendo la criminalizzazione della vita, lo stanno facendo sulle nostre esistenze, chiudendo piazze e vie a persone considerate indesiderabili. Lo hanno dimostrato, mirino e grilletto funzionano. Sanno a chi rivolgere le loro additate varie. Le zone sono già rosse perchè le hanno intrise del sangue delle loro sofferenze imposte, proprio il sangue di quelle persone, fosse anche solo metaforico, non è più benvenuto. “Basta; adesso solo prosciugare!! non viè più nulla da elargire a sti quattro straccioni!!” E già subito l’ossessione, più occhi, più controlli, isolare, impedire, reprimere di più!!!!

CHI È COMPLICE DI CHI?!

Lo sceneggiato continua e assume sempre più forme, in linea con il contenitore che ne permette l’esistenza assume caratteristiche muta-forme; cambia, distrugge il vecchio in un anelare continuo di nuovo, costruito sulla totale negazione di tutto, continuando ad essere inafferrabile, irraggiungibile. Una vita ridotta così a ruoli, specifici ed incistati, nella loro azione asfissiante. La corsa per raggiungersi la punta del naso.. chiaro che chi ha depositato la fanciullezza tenterà di infantilizzare chi concepisce inferiore e questo è stato; un tripudio di gerarchizzazione e ammiccamento con tenebrose piattaforme. Quanta compiacenza da telecamera; mamma, papà, zii e tutte quelle catene familiari. Ma veramente l’unico suono storno che sapete emettere è un patriarcale rimprovero?! Adoratori dello stesso processo che strozza l’esistente, lo affoga, lo stupra. Adoratori dello ‘status quo’, poiché è proprio da questa posizione che mai si contratteranno tutti i privilegi che caratterizzano moltissime delle nostre quotidianità, moltissimi dei nostri compromessi con i vari guinzagli a cui questa vita ci sottopone. Adoratori della posizione che credete di esservi guadagnati e dalla quale osservate tutto con estremo ribrezzo o voltando le spalle quando necessario. Formalina dell’esistere ci si inviluppa in scimmiottanti commenti, giungendo fino al cordiale compromesso da ciarla televisiva. Chiaro, anche queste parole sono molto confinanti in realtà, e mai ridurrei le moltiplici sfumature a certe brutture che si mostrano prepotenti tra i raggi.


Riusciamo a prenderci un momento per distruggere tutte queste armature ignobili che ci appesantiscono il passo?


“LA PIOGGIA DI SOLDI”

Sembra una parola d’ordine, la parola che si sussura all’orecchio per scaturire emozioni strabilianti. La pioggia di soldi. La pioggia; la pioggia, sembra appropriato questa metafora in un luogo della terra dove la pioggia porta con se diverse verità. Qui, piove e frana. Sembra che di volta in volta il trucco appostosi sulle loro belle espressioni si grattugi ad ogni cedere di ogni pezzo della terra che vorrebbero tenere aggrappata, particolarmente ai loro profitti. Un ponte; “sembra un checkpoint, uno di quei luoghi dove ci sono i militari a chiedere documenti e quant’altro”… Ecco la “guerra” tra progresso e natura, ecco la separazioni tra un “noi” (umano) e tutto il resto (inumano). Ma non è un richiamo ancestrale, non è la proposta di una cosmo-visione alternativa all’antropocentrismo. È proprio una condizione di fatto che quando la collina crolla e le strade chiudono, si mette in campo tutta una narrazione da trincea. Blocchi di cemento chiudono il passaggio di un ponte, “non ci sono vie di fuga”, “servono interventi immediati” etc. AIUTOO!!! La raccontano come un’invasione, quella del fango, non come l’erosione perpetuata da decenni di cemento; la raccontano come la colpa di qualche piromane, non come quella di un sistema che sistematicamente carbonizza vita; la raccontano come abuso del singolo, delle case costruite a ridosso del letto del torrente, non come il dolo di una tecnica misantropa ed assassina. Ancora raccontano che l’opera ingegneristica è imbiasimabile, poiché è con la scienza che bisognerebbe vedersela (“chi sarò mai io?!”), e che bisogna solo capire come far incastrare al meglio questo pezzo di puzzle…peccato che si parla di un ponte a campata unica di circa 3km, di rotaie, di gallerie, di tiranti, aree logistiche, vite invase, vite espropriate… ancora provano a raccontarsi e raccontarci la barzelletta di poter “garantire che questa legge di Stato (il ponte sullo Stretto di Messina) non impatti troppo sulla vita dei cittadini”. E il modo quale sarebbe? Quello di garantirci un’ulteriorità di cemento? Le opere “complementari” le chiamano, non compensative, perché (anche se fosse che con il cemento si possa compensare altro cemento) loro “non hanno da compensare proprio nulla”. Come “tutelare” dalla cantierizzazione totale? Prevedere ulteriori cantieri! Ma si, sarà anche vero che non ci sveglieremo dall’oggi al domani con lo Stretto completamente cantierizzato, ma è anche vero che forse non bisognerebbe troppo prendere sotto gamba quest’affermazione. Che le rive dello Stretto non saranno in meno di 24h invase da reti arancioni non avevamo dubbi, come non vi sono dubbi che sono decenni che fate profitto anche su queste spalle. Inoltre, sembra opportuno riflettere su questa gradualità di infiltrazione, goccia dopo goccia. Sembra, dall’altro lato, anche un monito a chi sta qui a rimandare e rimandare, poiché fattispecie a parte, è vero che se si sta rimandando un’eventuale resistenza a quando il symbolum si manifesterà (come conferma il tacito annuire di un certo ‘Ponzio Pelato’ :] ) ci stiamo predisponendo al possibile, tristissimo, sommozzante, “ormai è troppo tardi”.

Non che sia mai veramente troppo tardi, non che esiste un momento in cui veramente ci si possa considerare pacificati con l’esistente; ma ci si può immaginare come, di fronte a fortini ben militarizzati, gli animi di certe persone non saranno così ringalluzziti come starnazzano al giorno d’oggi.

…Ma questo resta solo un punto di vista…

LA FAME REPRESSIVA, L’AUTO-CRITICA DEGLI ASSENTI E MANI CHE PUZZANO DI LAVATO

Uno spicciolo sottolineare quello dei conniventi, in cerca di una perenne mediazione, pretendono dare interpretazione di quanto non hanno manco lontanamente annusato. Pretendono di conoscere quanto accaduto seppur erano altrove, chissà dove, sin dal momento zero. Eppure, sin dalle prime notizie, la necessità di sottolineare la loro assenza era predominante. Cosa è successo dopo? In che momento hanno assunto la visuale di chi c’era? Ma poi sembra quanto meno contraddittorio presuppore una criminalizzazione a monte di quanto avviene per le strade, come fanno questi capi in saldo a non rendersi conto che sono parte integrante del processo di criminalizzazione, che si rende evidente solo a posteriori?Cosi mentre si sciacquavano il trucco con bieco garantismo (“lo si può fare nel limite del consentito”) non si rendevano manco conto di aver partecipato all’orrendo spettacolo delle apparenze. Sarebbe stato bello vedervi goffi, ma eravate solo confusi, inneggiando alla libera interpretazione di quanto dipingevate oggettivo (“le immagini sono oggettive, poi ognuno le interpreta come vuole”). E nel frattempo, gli stessi, evocavano l’azione giusta ed opportuna degli organi di controllo e sicurezza (si ricorda Vendola e le sue dichiarazioni in relazione al “lavoro buono” dei servizi segreti nel contesto valsusino). Che non basti questa similitudine per dare spazio a banali elucubrazioni su quanto la possibilità di interfacciarsi ad una lotta sia direttamente proporzionale alla vicinanza di nascita al luogo ove quella lotta accade. Cioè mentre gridate PACE, fuggendo dal conflitto, in un mondo sfasciato dalle GUERRE, avete la sfacciataggine di invitare “i violenti del nord” a non venire a strumentalizzare la protesta, che sembra appartenergli come un animale da compagnia. Sostanzialmente la prossima volta che bisbiglierete “free Gaza” immaginatevi qualcuno che possa dirvi “zitto, sei di Messina!”…

Insomma, ogni modo è buono per pensare altrove, agire altrove, respingere altrove e mai, ma dico mai, ascoltare veramente quanto accade attorno a loro!

DEUS EX MACHINA?! NARRATORE ONNISCENTE?! IGNAVO!!

Basterebbe ad un certo punto arrivati di questa non-storiella riportare quasi letteralmente quanto udito nel corso dei giorni. La non necessità di affermare idee concrete e convinte attraverso quanto viene definito con il termine “violenza”. Ma quanti interrogativi a fronte di questa bella lezioncina dalla “torre d’avorio”? Forse si potrebbe fare un salto a piè pari chiedendosi cosa sia violenza? E da qui perdersi in un’infinità irriducibile a nessuna delegazione di senso. Ma cos’è violenza? Forse si potrebbe riflettere sulle posizioni di chi la fa e di chi la subisce? Ma quanto questo sarebbe esaustivo nel tratteggiare la molteplicità di quanto “attivo” e “passivo” possano significare e quali posizioni determinano in seno alla società vissuta? La sessualizzazione del tutto, laddove non ha attecchito in termine di possesso fisico e diretto, si è trasformata in pornografia, resa scientifica dalla presenza della voce esperta. Il narratore, il distaccato, colui che non ha alcuna “posizione ideologica”. Un’orgia di squallore in presa diretta praticamente. Il paterno invito di “avere fiducia in se stessi” e di non dover dunque ricorrere alla violenza suona male a fronte di 58 persone in stato di detenzione decedute dall’inizio del 2025 (di cui 15 suicide); suona ridicolo davanti al boato di ogni bomba che viene sganciata ad ogni latitudine del mondo, a fronte dei quasi 50.000 morti di Gaza a gennaio; suona stridente vedendo il sangue che sgocciola dai fili spinati delle nostre frontiere, alle morti in mare ed alle vite che fuggono dal latrare dei cani e dei loro padroni; suona cupo all’immagine del G8 di Genova, della scuola Diaz, di Bolzaneto; suona ridicolo pensando ad Aldrovandi, Cucchi, Giuliani e una lista tendenzialmente infinita di barbarie a mano armata; suona quantomeno ridicolo dopo tutte le carcerazioni che la gente ha conosciuto durante i ‘lockdown’ della dichiarata pandemia.

…..

da:  Akkarod Berht



 

“Anche se avete chiuso

Le vostre porte sul nostro muso

La notte che le pantere

Ci mordevano il sedere

Lasciandoci in buonafede

Massacrare sui marciapiede

Anche se ora ve ne fregate

Voi quella notte, voi c’eravate”

De Andrè-“Canzone del maggio”

 


CENTO GIORNI DELLA “Comissione 2024-2029”

“Prosperità-sicurezza-democrazia” è il mantra che guida un’Europa che si appresta a grandi rinnovamenti davanti ad un contesto globale profondamente mutato. Chiaramente non parliamo di eventi che avvengono all’improvviso; l’interesse per i nuovi mercati, come quello digitale o, più in generale, dell’intelligenza artificiale; un clima sempre più diffuso di guerra e di conflitto imminente; l’ossessione per lo stabilimento di una politica comune sulla migrazione etc. sono, tra gli altri, elementi che permeano la politica europea sin da sempre, considerandoli tutti declinazioni di ciò che più comunemente possiamo chiamare “mercato”. 
Proprio in occasione dei primi cento giorni della “Comissione 2024-2029” von der Layen si appresta ad un discorso ove, oltre confermare il già evidente, ossia un diffuso clima di guerra che permea sin dentro i confini già porosi del continente europeo, anticipa alcuni elementi della nuova bozza sui rimpatri che domani (11/03/25) verrà resa pubblica.
Ancora una volta la saldatura tra mondi apparentemente scollegati tra loro; migrazione, guerra, detenzione. La forza del mercato europeo, dice von der Layen, dipende dalla sicurezza, tanto dei confini quanto dei suoi due corrispettivi lati, il dentro ed il fuori. Infatti, “prosperità, sicurezza e democrazia” iniziano a casa”. E dunque, 800 miliardi al compartimento difesa, “REARM Europa”. Un’unione europea della difesa. E lo si fa coinvolgendo quanti più investitori privati possibili. La saldatura aggiunge ai suoi elementi il settore industriale, che sfrega le mani all’idea di costruire nuove carceri, nuovi centri di trattenimento per migranti, nuove armi… Così mentre si spiana sempre più la strada all’industria detentiva e della guerra più in generale, si prova ad armonizzare tra paesi membri (in termini anche di prepotenza macista) un sistema di gestione delle “rinnovate sfide” che il mondo nuovo pone a questo mostro geo-politico (*con ‘mostro’ si intende un’essere ibrido, costituito di diverse parti e particolarità). Infatti; novità? L’inaugurazione di un “Colleggio di Sicurezza” che avrà il compito di ricevere continui aggiornamenti in materia di sicurezza. “Dalla sicurezza esterna ed interna all’energia, difesa e ricerca. Dal cyber, al commercio, alle ingerenze esterne”.  
Ma il punto focale è “una proposta legale ambiziosa sui rimpatri”. Non vengono dati troppi dettagli, vengono annunciate regole condivise in tema di rimpatri ed un sistema condiviso che semplifichi l’espulsione di persone che permangono irregolarmente nel territorio europeo. Ma se l’attività di deportazione non è certo nuova alla civilissima Europa, che traghettava schiave e schiavi in giro per il mondo come sacchi di farina, si svela l’arcano; anni ed anni di sperimentazione ed implementazione di tecnologie del controllo alle frontiere permetteranno infatti di imporre divieti di ingresso per circa dieci anni per persone “irregolari” che si opporrano al rimpatrio. Ossia, l’applicazione coatta, coercitiva, determinerà per il soggetto cui viene imposta la misura del rimpatrio l’impossibilità di ingresso sul suolo europeo. Criminalizzando e sottoponendo ad illegalità forzata tutte quelle persone che, rimpatriate a causa del considerare sicuri i paesi di provenienza o inezie le individuali volontà/necessità di spostamento, si troverebbero costrette a ritentare la fuga. 
Lo sviluppo preponderante del mercato del controllo e della sorveglianza rendono necessarie in capo all’Unione misure per poter normare tale mercato, saldando questa necessità, dunque, a quella di un sempre maggiore controllo, interno ed esterno, in un clima di guerra diffusa. Mentre le frontiere si stringono, i controlli si inaspriscono, le pene aumentano per chi attraversa le frontiere “illegalmente”, si predispone il compartimento detentivo per quelle, invece, in attesa di essere rimpatriate. Tecniche di contenimento e di localizzazione forzata apprese in contesti bellici che vengono, adesso, applicate nei confini così detti interni, a testimonianza, ancora una volta, di come quella guerra che ci viene narrata a volte “lontana”, a volte “alle porte”, sia in realtà già, seppur con forme ed applicazioni peculiari e contestuali, presente sotto casa. Una delle tante conferme che il mondo auto-percepitosi civile è piombato in un conflitto totale ed evidente; qualcunx potrà dire che non è mai cessato di esistere un clima di guerra totale, poichè questo è parte relativa e genetica del sistema di capitale, ma non si potrà obiettare più di tanto se si afferma che è quanto meno svanita l’opacità con la quale il sistema-mondo poneva tutte le nostre quotidianità in guerra. E si badi bene a non confondere conflitto con guerra. 
Tecniche e tecnologie di controllo galoppano nel loro sviluppo ed implementazione al pari dei numeretti delle varie “piazze affari” del mondo. Ed in tutti questi interstizi del nuovo mondo dell’iper-connessione, della morte istantanea, la nuova forma del capitale si insinua, rafforzandosi attraverso tutte le sue varie infrastrutture; produttive, sociali, politiche, materiali etc. 
Altro elemento ‘spoiler’ del regolamento in questione, anche questa per niente una novità (sigh!), è il rafforzamento del sistema di esternalizzazione delle frontiere. Sembrerebbe infatti concepita la possibilità di spostare le persone verso cui è emessa un’ordinanza di rimpatrio verso paesi terzi con i quali siano stati siglati accordi in materia. Dunque, in tal caso, la si potrebbe considerare come un’istituzionalizzazione del sistema italiano dei CPR in territorio albanese (o ancor prima, seppur in un quadro normativo differente, i campi di reclusione libici- sotto il governo Renzi). Si parlerebbe infatti, di “hub di rimpatrio”. 
Tutto sotto l’attenta osservazione dei diritti umani e delle varie carte che li sanciscono…

PER SAPERNE DI PIÙ:


FONTI: 


DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE


“DIECI POSIZIONI SUL CARNEVALE NO PONTE”

Qui di seguito raccolti alcuni commenti trovati in giro scorrendo sui social network. Si riportano solidarietà nei confronti della manifestazione che ha attraversato Messina lo scorso sabato 1 marzo. A fronte di opinioni ciecamente critiche ampiamente rappresentate nel contesto del dibattito cittadino sembra opportuno, con i modesti mezzi ed infrastrutture attualmente a disposizione, provare a dare respiro a parole con toni e piani differenti. A fronte di un modo di fare notizia sempre più improntato alla riduzione semantica del pensiero di quattro passanti, letteralmente, qui di seguito un copia/incolla di dieci commenti incontrati sui social network relativi alla giornata di sabato 1 marzo.

L’auspicio è che lo strumento auto-critico non diventi un banale passe-partout per imporre ciechi giudizi, quanto un modo per approfondirci ed imparare a condividerci sempre di più.

Di seguito le posizioni incontrate:

1)“FOGLIA DELLO STESSO ALBERO

Per due anni ho ospitato un gatto, Simba. Gli piaceva stare in casa e crogiolarsi sul divano, ma quando voleva uscire iniziava a miagolare fino a quando non otteneva quello che voleva: la libertà di uscire, la libertà di scegliere cosa fare, di sentirsi animale, di sentirsi libero … la Libertà. Domenica scorsa ho pianto, non per lui, ma per Lei. Ho pianto perché ho sentito che questa Libertà giorno dopo giorno ci viene tolta, tra colpi di fucile, filo spinato, genocidi, confini, odio, separazioni, tecnologia: a cosa servono le ringhiere se mi impediscono di toccare il mare? A cosa servono i confini se quando gli oltrepasso mi spari? A cosa serve la democrazia un giorno ogni 5 anni? A cosa servono le telecamere in città se non vedo cosa chiede mi chiede il cuore? A cosa servono i giorni della memoria se poi ci dimentichiamo dei popoli che vengono sterminati oggi?!?! Tutte queste domande, queste immagini e più, hanno iniziato a sgorgare a fiumi, insieme alle lacrime, accompagnandomi tra pensieri e riflessioni il giorno seguente di quello che sarebbe stato un semplice corteo [noponte] di carnevale. Quando scendo in piazza è difficile che lo faccia solo per un motivo, solo per manifestare il mio dissenso verso un’arma, ma lo faccio anche (e soprattutto) per manifestare contrarietà verso tutto l’arsenale cui quell’arma appartiene. Quando scendo in piazza per mostrarmi favorevole verso quella causa, lo faccio anche per portare sostegno a tutto il resto. Lo faccio per difendere quella Libertà. Sabato scorso come altre volte sono stato in piazza, ma quel pomeriggio non è stato come gli altri. Quel pomeriggio ho prese tante manganellate.Non sono stato l’unico a prenderle, da una parte e dall’altra ce le siamo date. Anche se una parte era nettamente più equipaggiata con scudi, caschi, paratibie, stivaloni, occhiali, microfoni, paraorecchie e manganacci. Ma la violenza (carnevalesca) alla base di questo litigio era quella di un astio che viene perpetrato e alimentato da decenni (se non secoli). C’era rabbia, ma non era la rabbia esplosa per qualche petardo, era una rabbia di irrisolti e incompresi verso coloro che disobbediscono alle regole imposte da altri, quando tu nato col caschetto sei costretto e obbligato a calare la testa. Noi invece eravamo in piazza col cuore! Non siamo di certo pagati e se ci va bene non ci arriva la denuncia. La denuncia per aver manifestato in modo concitato tutti i violenti soprusi che la nostra Libertà, in silenzio, subisce. Quel pomeriggio mi ha scosso, e nonostante i lividi stiano quasi scomparendo, quello che ha smosso dentro si sta ancora assestando verso una nuova forma di equilibrio. La paura non sarà più la stessa. La mia decisione nel portare avanti quelli che sono i miei ideali, soprattutto se caricati e manganellati, sarà ancora più ferma e decisa. Sabato i mascherati coi manganelli e i manifestanti armati di stelle filanti e bom(bol)ette erano relativamente pochi, ma potrebbero essere molti di più, e ben più armati. Spero solo che i grandi se ne accorgano e che la smettano di assecondare questo PNM piano nazionale mafioso (perché alla base ci sta il ricatto). Perché lo Stretto non ha bisogno delponte.

̴ Fiero di sentirmi una foglia facente parte dello stesso Albero della Libertà ̴”;


2) “Tuttu stu buddellu per 2 scritte sui muri aggiunte alle migliaia già presenti (tra le quali anche chiari simboli neofascisti, che a quanto pare non vi danno fastidio.) Vi scandalizzate per la scritta “più preti morti” e non per l’arresto di un prete messinese accusato di stupro (ex responsabile di cristo re, luogo considerato tra i più importanti di Messina.) lo brucerei 1000 Monna Lisa al giorno pur di avere un mondo più sano. Pensate al decoro urbano, ma della Natura ve ne strafottete altamente. Gliela ghiavate nel culo ai vostri fratelli e alle vostre sorelle, ma poi vi fate il segno della croce e dormite sonni tranquilli. Ah tagghiatibbi ‘a facci, piddavera… Perché non vi incazzate così tanto con i migliaia di concittadini che ghiavano quotidianamente munnizza per terra??? Viviamo nella ‘munnizza da sempre, siete ‘munnizza da sempre. Imparate a rispettare la Natura, poi ci pensiamo ai palazzi e alle chiese. Col ragionamento di molti fra non molti decenni ci ritroveremo/si ritroveranno un pianeta morto ma senza scritte sui muri. L’apparenza e la superficialità a cui vi legate sono le vostre peggiori nemiche.”;


3) “[Messina] Durante lavori finalizzati al raddoppio della linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo sono emersi materiali con elevate concentrazioni di arsenico, contenute naturalmente nei monti Peloritani,che a causa dell’inadeguata copertura dei vasconi di stoccaggio da parte della società competente del cantiere sono poi confluiti, complici le piogge, all’interno del suolo e delle falde acquifere sottostanti. Le stesse che portano acqua nelle case circostanti. Preferite fare girare le foto di quattro scritte sui muri o di questo scempio? Rispondete e, in caso, fate girare.”;

-Foto aerea del deposito di Contesse. Qui i materiali estratti dalle montagne nel contesto dei cantieri del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo. Materiale che risulterebbe altamente contaminato da arsenico.-


4) “Sto pensando che il cosiddetto coordinamento no ponte ha qualche problema d ‘identitá. In questi ultimi due giorni sta coordinando la solidarietà alle forze dell’ordine e l’attacco ad una parte del movimento”.;


5) “All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano. Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


6) “Sapete che c’è? Che sono arrivato alla fine del corteo contrariato perché non mi sono piaciute una buona parte delle scritte sui muri e perché questo ha rovinato il clima allegro e dissacrante che c’era in una proposta nuova, ma adesso me li avete fatti diventare simpatici con tutto questo perbenismo. A chi parlo? Parlo a quelle parti della società critica che si sono accodate a una versione convenzionale di quanto accaduto. E sapete pure che c’è? Che tutto questo non ha neanche a che fare col no ponte. Ha a che fare con la paura di essere additati dalla parte del torto in un tempo che vede una svolta reazionaria che mette in discussione anche le forme più consuete dell’agibilità democratica delle piazze. La violenza? Ma andatevi a vedere i video. C’è tutto in rete ormai. Nel 68 tanto celebrato quella manifestazione sarebbe stata considerata pacifica e nonviolenta. Ma il 68 è di più di 50 anni fa e voi vivete oggi, al tempo di Trump e di Elon Musk.”;


7) “Comunque la città di Messina e’ ridotta a una latrina da secoli di colonialismo e mala politica ! Quindi un paio di scritte peraltro in istituzioni clericali piuttosto discutibili, ( nulla togliere allo spirito genuino dei credenti)in cui la clausura non è stata spesso una scelta libera, di certo non peggioreranno le cose. Perciò scaldatevi tutt di meno e iniziate a combattere di più in prima persona per decorare i vostri ambienti, in primis evitando di votare certa merda ! Poi chiaro sull’ autoreferenzialita, lo spirito adolescenziale e tante altre cose che accompagnano da 20 anni le stesse identiche pratiche se ne può discutere infinitamente e in altre sedi.Ma parliamoci chiaro, a me che il culo sia tremato a un paio di divise che han sempre fatto soprusi nella nostra città ricattando a destra e a manca non può che fare piacere. E ancora più piacere mi fa il fatto che qualche massone si sente sfidato nel proprio status quo che credeva eterno! Quindi io guarderei positivamente a quanto accaduto sabato a Messina, e lotterei affinché più pratiche estremamente diverse tra loro possono coesistere piuttosto che imbattersi in divisioni ridicole tra violenti e non violenti ! Per farlo ovviamente occorre umiltà e ascolta da parte di ogni componente e la forte volontà di rompere dannati isolazionismi. Altra cosa, semmai partissero i lavori per questa grande opera, mettetevi il cuore in pace, che militarizzeranno il territorio il triplo, e non sempre sarà possibile essere pacifici, choosey e non violenti . Inclusivi, aperti alla partecipazione sempre, ma resa e proni solo alle pratiche pacifiste anche no! E questo punto bisognerebbe davvero accettarlo una volta per tutte! Buona giornata e che sia l inizio di tanti buoni propositi!

Carnevale messinese=capodanno col botto! ❤️✨🇵🇸💛❤️”;


8) “Tra le critiche e le prese di distanza più accorate dai fatti del carnevale no ponte un’ampia fetta di interventi ruota attorno alle facciate deturpate dalle vandaliche bombolette spray. Si invoca- con il grassetto maiuscolo – il rispetto per palazzi, scuole e monumenti, in nome di un sinistro decoro pubblico. Eppure il concetto di decoro urbano è a tutti gli effetti un dispositivo di controllo sociale, uno strumento flessibile e adattabile alle esigenze delle politiche repressive e neoliberali. Il suo utilizzo politico va letto nel quadro delle strategie di disciplinamento degli spazi urbani e delle forme di esclusione sociale che si manifestano a tutte le latitudini attraverso processi di gentrificazione, turistificazione ed espulsione delle classi povere. Guardando allo scenario nazionale degli ultimi anni il richiamo al decoro urbano è stato utilizzato per giustificare le politiche securitarie che hanno colpito senza fissa dimora, migranti, venditori ambulanti e tutte le soggettività presentate come elementi di disturbo nella costruzione di una città “presentabile”. Una città funzionale al consumo, all’investimento immobiliare e alla valorizzazione degli spazi secondo una logica di accumulazione per espropriazione. Le ordinanze comunali che vietavano di bivaccare nelle piazze, la rimozione delle panchine per impedire la sosta, l’espulsione di intere comunità dai centri storici sono esempi concreti di come il decoro è stato trasformato in uno strumento per ridefinire l’uso legittimo delle città. Attorno al decoro urbano riemerge la centralità della dimensione di classe e del conflitto tra chi ha da perdere i proprio privilegi e chi rischia la stessa sopravvivenza. All’indomani del carnevale no ponte, l’attenzione ossessiva per la “facciata” stride con un contesto di spopolamento, crisi economica, avvelenamento, non solo metaforico, della terra dello stretto. Messina si svuota quotidianamente, gli edifici rimangono inutilizzati, i quartieri intossicati dall’arsenico, le infrastrutture pubbliche smantellate o privatizzate, eppure il dibattito pubblico sembra ruotare sulla necessità di preservare un’idea estetizzante di ordine urbano.Questa ossessione per la facciata appare come una mistificazione, uno strumento di distrazione. Allora, forse, piuttosto che osservare la scenografia vuota, siamo chiamate a volgere lo sguardo e a costruire luoghi di relazione, esperienza, incontro e, oggi più che mai, anche di conflitto.”;


9)” […] Il corteo di sabato pomeriggio, per quanto mi riguarda, è stata un’importante giornata di lotta e anche un utilissimo sasso nello stagno. Dalle reazioni suscitate, infatti, si può capire molto – a cerchi concentrici – del paesaggio sociale in cui viviamo immersi. Mi scorre in petto un fiume in piena di emozioni, e sento il desiderio non tanto di arginarle quanto di farle traboccare – anche tramite le parole. In questi giorni ho letto moltissimo e taciuto altrettanto, ma è arrivato per me il momento di non trattenere dentro ed esternare almeno una parte di quel che penso e sento. Alle tristi certezze di chi ha diffuso i comunicati di dissociazione qualche ora prima che la polizia inscenasse una caccia all’uomo fin dentro la galleria Vittorio Emanuele, mi sento di opporre la felicità per non essere così meschino, qualche domanda non solo retorica, e qualche inoppugnabile dato di fatto che possa ingolfare il dilagare delle menzogne. Tanto il sindacato giovanile della cgil quanto esponenti politici di partiti che per fortuna non fanno parte di alcun movimento reale, infatti, hanno deliberatamente scelto di oscurare la limpidezza di un percorso collettivo che in due mesi si è via via infittito di numerosissime assemblee pubbliche, da torre faro a contesse, da piazza del popolo a piazza casa pia. Ognuna seguita da pranzi condivisi e passeggiate esplorative dei luoghi che i cantieri del ponte devasteranno definitivamente a meno di non inciampare in una molteplice e determinata opposizione conflittuale. (Alcuni di questi luoghi, tocca evidentemente ribadirlo a chi preferisce contestare e tentare senza riuscirci di impallinare l’eventuale inefficacia altrui pur di non guardare mai allo specchio la propria, sono già stati avvelenati dai lavori per il raddoppio ferroviario eseguiti da webuild con lo stesso metodo con cui ha costruito dighe e grandi opere in mezzo mondo: ossia pensando solo ai propri profitti e facendo strame delle comunità locali) E, in tutti questi appuntamenti collettivi, nessuna e nessuno che si sia in quei momenti presentat* è stat* mai allontanat* come indesiderabile. Che si dica dunque che si è deciso di tenere fuori alcune energie, alcune sensibilità, alcuni comitati, è totalmente e incontrovertibilmente falso. […] Come ho letto in qualche commento più lucido, quando saremo invasi dalle ruspe non è detto che basteranno interrogazioni (euro)parlamentari, ricorsi ai giudici, e accorati appelli alla costituzione più bella del mondo. La quale, ricordo en passant agli smemorati, non ha impedito che l’Italia pur ripudiando formalmente la guerra prendesse parte ai bombardamenti su Belgrado e alla guerra in Afghanistan e in Iraq – è bastato, Orwell docet, chiamarle missioni di pace. Così come il genocidio a Gaza è per il Partito Democratico un modo tutto sommato digeribile di proteggere la popolazione israeliana e combattere l’antisemitismo (e qui, a fronte di tanta schifosa manipolazione, ad ognun* le sue reazioni..). E che dire del reato di clandestinità? Forse che la costituzione haimpedito la strage di Cutro e tutte le altre di migranti in mare? O il trattamento che viene riservato loro all’interno dei cpr? […] Su questa questione delle scritte ho letto davvero un profluvio di esternazioni, e vorrei dire sinteticamente la mia. Intanto relativamente alla certezza che taluni esprimono senza riserva alcuna che trattasi di una modalità comunicativa che nessuno -tranne i teppisti che le fanno- può apprezzare. Ebbene la città è piena di scritte sui muri, e coloro che oggi inaugurano in favore di telecamera panchine rosse contro i femminicidi non hanno smosso un dito per cancellare dalle vie del centro, sulla facciata del municipio, una scritta durata più di 10 anni che diceva ‘o ti amo o ti ammazzo’. Quindi registro la corrente alternata dello sdegno e cerco di andare oltre, domandando sinceramente: sì, ci sarà pure una ideologia, forse prevalente, di decoro piccolo-borghese che intride le coscienze, e capisco il punto posto da chi mi chiede arrabbiato: ma non ve ne frega niente di trovare nuovi complici, invece di fare incazzare a destra e manca? Ma mi viene istintivamente di replicare che in questo modo di pensare vedo del tutto obliterata la sensibilità e l’attitudine di tutte e tutti coloro che per comunicare scelgono quella modalità espressiva. […] A Genova, venticinque anni fa, c’era chi aveva le mani dipinte di bianco per testimoniare la propria attitudine nonviolenta – e le ha viste tingersi di rosso per il sangue fatto versare dai tutori dell’ordine. Chiunque pensi che quel sangue è scorso per colpa dei black block, mi ricorda coloro che attribuiscono ai partigiani la responsabilità dell’eccidio delle fosse ardeatine. […]”;


10) “Premesso che non sapevo della manifestazione e che in ogni caso non sarei potuto essere presente perché impegnato con lo spettacolo alla Laudamo, a fine spettacolo come di consueto per gli attori ci si è recati a cena in pizzeria e in particolare al tavolo esterno de “Gli antenati”, notoriamente nei pressi di piazza Antonello. Nell’attesa dell’arrivo del cibo apro il telefono e mi accorgo delle scritte sui muri pubblicate in vari post facebook. Devo essere sincero, la mia prima reazione è stata “nooo, che cosa è successo!” (Notando con sconforto che erano stati imbrattati muri di opere storiche, e pensando istantaneamente al grandissimo assist d’oro che avevamo fatto alla destra e ai proponte con questo strafalcione). Poco dopo, passa accanto al tavolo il gruppo di ragazz* del corteo, colorati e pacifici, che si dirigevano verso piazza Antonello facendo una calma e spensierata passeggiata (erano infatti circa le 22:30 e la manifestazione era terminata). Dopo pochi minuti salto in aria udendo e vedendo sfrecciare la camionetta della polizia verso piazza Antonello e a quel punto penso “ma se la manifestazione è finita a chi stanno inseguendo?” (e già questo mio pensiero è molto contaminato dal sistema in cui viviamo in quanto il mio cervello crede automaticamente che la polizia stia inseguendo dei manifestanti, il che non dovrebbe esistere né in cielo né in terra, eccetto i casi in cui i manifesti non si siano trasformati in pericolosi criminali). Poco dopo sempre su facebook vedo le dichiarazioni di dissociazione dei vari movimenti rispetto agli atti vandalici e contemporaneamente cominciano ad apparirmi video di scontri con la polizia e in particolare uno che ha testimoniato anche il pre-scontro: il corteo stava scendendo per Boccetta da via 24 maggio, e si è trovato uno schieramento di forze a blindare lestrade adiacenti in assetto antisommossa, alcuni manifestanti hanno cominciato a tirare delle “bombette” (da quanto vedo “innocue”) verso la polizia che era più che corazzata e gridavano insulti (mi domando, la polizia dovrebbe scortare il corteo per difenderlo da eventuali attacchi di oppositori, come mai era schierata in antagonismo al corteo? Il ché evidentemente ha generato astio dalla parte dei manifestanti). I manifestanti e la polizia erano tuttavia distanti abbastanza, c’era l’intera carreggiata del Boccetta a separarli e questo mi ha fatto pensare che sarebbe finita lì e che dopo lo sfogo verso le forze dell’ordine il corteo avrebbe continuato a scendere. Ad un tratto, invece, due poliziotti in borghese con il casco d’ordinanza partono all’impazzata brandendo il manganello e corrono verso i manifestanti per dargliele di santa ragione, a quel punto tutto lo schieramento a testuggine della polizia è costretto a seguire i due eroi per dare manforte. Dopo due colpi a destra e a manca i due schieramenti si fermano e tutto finisce lì quando un ragazzo invita a riprendere a camminare per il Boccetta. Premesso che io non avrei attaccato con insulti e bombette le forze dell’ordine, bisogna però sottolineare che i poliziotti superano un concorso con tanto di visite e contro visite psicologiche psichiatriche psicoattitudinali ecc e che seguono un corso di addestramento di mesi e mesi prima di entrare in servizio e continuano a essere formati anche durante tutta la carriera per non essere persone comuni in balia delle emozioni e degli istinti ma per avere un autocontrollo fuori dal comune e degno dell’istituzione quale sono, soprattutto perché armati. Alla luce di questa considerazione io credo proprio che se la polizia saggiamente e professionalmente non avesse reagito, il corteo avrebbe ripreso a scendere per Boccetta e non sarebbe accaduto niente. Detto questo io non ho voluto fare nessun post di dissociazione dagli atti vandalici (anche se io non li avrei praticati) perché sinceramente credo sia più grave l’inferno di mondo in cui viviamo col cemento, l’inquinamento, rispetto a delle pareti rimediabilmente scritte (d’altronde è una pratica atavica dell’uomo scrivere o disegnare sulle pareti, molto più sana rispetto alle pratiche tipiche della società industriale che ha disunito sí l’uomo dal suo vero essere). Per concludere il mio pensiero, direi comunque di vedersi per parlare senza additare di inadeguatezza nessuna parte dei movimenti no ponte in quanto tutti noi siamo atti a tale battaglia ognuno con la sua modalità di lotta secondo propria coscienza. E che nessuno si investa della carica di guida, o che detti le regole entro cui manifestare sia buono o cattivo, perché sarà l’impedire la costruzione del ponte ad essere solo e unico discrimine tra buono e cattivo. Ti abbraccio, car* compagn* che eri in strada… “sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”;




*i commenti sono riportati letteralmente come incontrati sulle varie pagine social, alcuni sono stati accorciati solo per questioni di lunghezza, con la coscienza che forse se ne sarebbe potuto alterare il contenuto;  che non ne vogliano le persone autrici di questi commenti.  (:
Di certo a tuttx loro, come anche a tante altre persone che non rientrano in questo campione per cosi dire, chi scrive si sente di mandare loro un caloroso sguardo di complicità oltre che un piccolo palpito di cuore.

*Un pensiero sempre va a chi lotta contro ogni gabbia, individuale o collettiva che sia. Ad ogni complice respiro. Ad ogni evasione. Ad ogni fanciullezza che brilla, a prescindere dall’anagrafica.