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“IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO”; “CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE”

Riceviamo e diffondiamo da Materiale Piroclastico

IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO

“Un silenzio assordante, di quelli che fanno un rumore, circonda il complesso penitenziario Bicocca di Catania. Un silenzio che fa salire la rabbia e chiede vendetta. Sì perché quel silenzio è carico di odio, di ingiustizia, di isolamento e repressione. Dentro quelle mura esterne, si trovano, separati ma assieme, reclusx giovani detenutx e detenutx in alta sicurezza, anime che condividono sotto regimi diversi la stessa tortura, quella dello Stato.” Il carcere di Bicocca a Catania è un luogo disumano, e per la prima volta, il 13 Aprile del 2025, solidali hanno rotto l’isolamento di questo luogo: (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/04/15/catania-saluto-al-carcere-di-bicocca/)

Per farlo, in preparazione, sono state scritte queste pagine che raccontano, attraverso testimonianze e dati raccolti, la vita all’interno di quello che ai nostri occhi risultava invalicabile e disumano; queste racchiudono la sofferenza e l’unione di due luoghi, difatti il Bicocca, diviso solo da un muro di cinta, tiene insieme un carcere minorile ed un carcere ad alta sicurezza. Prevaricazione, razzismo, violenze, somministrazioni di psicofarmaci e repressione, quello che stato e guardiani hanno scelto di collocare fuori città, a ridosso della zona industriale, dove adesso sorgono i cantieri di WeBuild, azienda costruttrisce del raddoppio ferroviario, della ristrutturazione di aree di sigonella e non ultima azienda che si è assicurata la costruzione del ponte sullo stretto. La stessa che nel 2023 ha firmato un protocollo d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) per favorire il reinserimento sociale e lavorativo dellx detenutx attraverso l’assunzione e la formazione. Accordo che mira a creare nuove opportunità di sfruttamento per lx reclusx, combinando il supporto professionale con lo sviluppo delle infrastrutture. Quella volta, da alcunx solidali, è stato urlato: “torneremo”. Il motivo per la quale si diffonde questo testo è nella speranza di rendere accessibile a tuttx la rottura dell’isolamento a cui sono costrettx adultx e minori.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RIMANGANO ALTRO CHE MACERIE

Catania, aprile 2025


CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE

“C. detenuta nel carcere di Piazza Lanza racconta una prassi abominevole perpetrata dai guardiani, esseri dalla quale ci asteniamo da giudizi in quanto i loro gesti non si qualificano come tali. Una volta che si viene tradotti in un altro carcere, senza alcun preavviso e senza alcuna informazione su dove si andrà a finire, i secondini ti buttano dentro la cella due sacchi della spazzatura dicendoti “preparati”. Questa prassi viene condita da frasi che paragonano le detenute a spazzatura: “un po’ di immondizia è andata via, ora vediamo quale altra immondizia arriva”. Ma “non siamo dell’immondizia siamo delle persone umane che abbiamo sbagliato”. Il carcere di Piazza Lanza, nel pieno cuore di Catania, dopo tanti saluti effettuati dai solidali (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/03/13/catania-saluto-al-carcere-piazza-lanza/) è stato passaggio fondamentale della mobilitazione scesa in piazza il 17 maggio contro il DL 1660. Affinchè tuttx le persone che attraversassero quel luogo fossero consci delle violenze che ogni gabbia ripropone sui corpi dellx reclusx, sono state scritte queste pagine, che qui diffondiamo. Fondamentali, oltre ai dati raccolti, sono state gli ascolti di chi c’è stato dentro, come C. che in un’intervista radio ha raccontato le violenze che i guardiani perpetrano alle donne recluse nelle sezioni di questa prigione. Ad oggi il carcere conta un sovraffollamento tra i più alti in Italia, le reclusx battono ed urlano dalle finestre: “siamo stanche di stare qui”. Difatti, una delle lamentele che più torna, sia dai racconti, sia dai saluti effettuati è lo totale inesistenza di attività, ed il tempo scorre lento segnando di fatto irremidiabilmente la vita di chi è reclusx. Nella speranza che saluti e mobilitazioni continuino a toccare questo luogo disumano, diffondiamo queste pagine affinché possano essere strumento per rompere l’isolamento, e portare solidarietà e vicinanza a chi si sente solx.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RESTINO CHE MACERIE

Catania, maggio 2025


20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!

RICEVIAMO E DIFFONDIAMO:

20-22 GIUGNO 2025: GIORNATE INTERNAZIONALI DI AZIONE PER L’ESTRADIZIONE IMMEDIATA IN GERMANIA DELLA COMPAGNA ANTIFASCISTA MAYA!
SOLIDARIETA’ DA ROMA CON LA LOTTA ANTIFASCISTA IN OGNI DOVE!


Dal 1997, ogni anno, in Ungheria i nazionalisti dell’estrema destra provano a commemorare i soldati ungheresi e tedeschi che morirono nell’assedio realizzato dall’esercito sovietico a Budapest nel 1945, annichilendo quasi 30.000 soldati nazisti – un giorno nominato come “il giorno della gloria” dai neofascistidei nostrigiorni. In questo contesto i gruppi più forti della destra hanno sempre accolto estremisti fascisti da molti paesi, superando le 2000 visite, rendendolo uno dei raduni neofascisti più grande e importante della scena europea. A Budapest, l’uso di simbologia autoritaria è sempre stato tollerato meglio rispetto ad altre capitali europee, all’interno della retorica della “conservazione della tradizione”. Negli ultimi anni si è registrata la partecipazione di numerosi fascisti con le uniformi delle SS o della wehrmacht con svastiche annesse. Secondo la legge vigente, qualsiasi celebrazione che minimizzi i crimini fascisti non è consentita, tuttavia questi raduni si sono svolti non solo nella totale impunità, ma anche con la piena tutela garantita dallo Stato protofascista ungherese.


Nel periodo andato dal 9 all’11 febbraio del 2023, ci sono stati diversi scontri con nazisti, alcuni dei quali molto ben coordinati, al margine dell’evento. Gli interventi antifascisti hanno messo bene in chiaro che i fascisti non possono portare la loro propaganda revisionista per le strade di Budapest senza essere disturbati o affrontati direttamente. Però questi interventi e azioni antifasciste hanno avuto come conseguenza l’arresto di alcunx compagnx. È questo il contesto in cui Maya, una compagna antifascista tedesca, è stata arrestata in modo violento nella casa dei suoi genitori nel marzo 2023, estradata in Ungheria alla fine di giugno del 2024, a dimostrazione della complicità protofascista dei due stati e del risultato dell’ “implacabile lavoro” dello stato ungherese nell’opprimere e perseguitare persone queer e antifasciste. Da allora si trova lì, in regime di isolamento, accusata di aver partecipato agli attacchi ai danni dei nazisti.


Dal 5 giugno 2025 è in sciopero della fame, in protesta contro le condizioni inumane cui è stata sottoposta nell’ultimo anno, carcerata in un contesto che non riconosce la sua identità queer – la quale è trattata come una brutta malattia infettiva:
“Non posso sopportare le condizioni di detenzione in Ungheria. Per tre mesi la mia cella è stata videosorvegliata costantemente. Per sette mesi ho dovuto indossare sempre le manette fuori dalla mia cella – e a volte anche dentro la cella”.


Il 20 giugno 2025 è stata rigettata la sua richiesta di detenzione domiciliare e resta quindi in Ungheria e in sciopero della fame. Le notizie riguardo il suo sciopero della fame si possono trovare qui: https://www.basc.news/category/tagesbericht/

In Ungheria rischia 24 anni di carcere.
Lo Stato ungherese conduce da molti anni una caccia serrata allx antifascistx, in cui lo stato tedesco non solo è complice, ma mostra apertamente la propria agenda fascista. Mentre da un lato gli assassini della destra estrema vengono classificati come mentalmente infermi e trattati con leggerezza, la cassetta degli attrezzi a disposizione degli assassini dello Stato per dare la caccia allx antifascistx clandestinx e perseguitare lx arrestatx è in continua espansione. Non è certo una coincidenza che l’NSU abbia potuto vagare per la Germania assassinando sistematicamente persone razzializzate indisturbata per dieci anni, che gli estremisti di destra abbiano potuto commettere crimini di massa come incendiare case di rifugiati, attaccare dissidenti e allo stesso tempo accumulare armi, e che solo raramente siano stati affrontati con la repressione statale, mentre tutti i tentativi della sinistra di organizzarsi e resistere sono stati criminalizzati e meticolosamente perseguitati.
In procedimenti come quello del complesso di Budapest, la polizia indaga la formazione di una organizzazione criminale in virtù dell’articolo 129. Questa accusa, facile da formulare per la polizia, apre allx investigatorx tutto il repertorio di mezzi di sorveglianza: perquisizioni domiciliari, controllo, intercettazioni telefoniche, uso di videocamere, dispositivi di localizzazione e investigatorx sotto copertura. Le reti sociali della sinistra radicale vengono indagate attraverso procedure di indagine strutturate, in base alle quali la polizia è inizialmente interessata a chiunque sia associato ai sospettati. Un altro compagno, attualmente in custodia cautelare a Norimberga, è stato recentemente accusato di “tentato omicidio” nel tentativo di fare pressione sui clandestini con accuse esagerate.


Risulta chiaro, ancora una volta, come l’autorappresentazione degli stati non corrisponda con la realtà delle loro azioni e come le loro agende non facciano altro che implementare ulteriormente i programmi fascisti e servire la classe dominante. Tutti gli stati, le loro concezioni di legge e giustizia e i loro sbirri assassini continuano ad essere i nemici di ogni popolo!


LIBERTA’ PER TUTTX – FUOCO ALLE GALERE!

La pratica antifascista è diversificata e necessaria, che sia a Berlino, Leipzig, Jena, Milano o Budapest: “Chi lotta contro i nazisti non può mai confidare nello stato”.
Esther Bejarano

TESTO ORIGINALE: https://lapeste.org/20-22-junio-jornadas-acciones-internacionales-maja/


COSA SONO I CPR? PARLIAMONE IN VISTA DEL PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO DEL 28 GIUGNO

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa. 

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio. 

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 



Sabato 28 giugno 2025:

-Cpr Trapani-Milo: presidio solidale h 16.00 nel prato adiacente all’ingresso;

-Messina: corteo per la Palestina (seguiranno maggiori informazioni).


PER IL TESTO DELLA CHIAMATA AL PRESIDIO: SICILIANOBORDER


LOTTA QUEER

Riceviamo e diffondiamo le parole di alcunx compagnx maturate in occasione dello Stretto Pride, che ha attraversato la città di Messina ieri, giorno 7 giugno:


‘e se la natura scrivesse e leggesse, facesse politica e copulasse nei modi più perversi, anche distruttivi? E se, nella discontinuità, nell’apertura radicale, nella metamorfosi, differenziazione, promiscuità dei suoi processi la natura fosse già sempre perversa e queer’

“Animali si diventa”, di Federica Timeto).

Ieri ( 7.06) abbiamo attraversato il ‘pride dello Stretto’ con un’urgenza diversa, quella di riappropriarci di una giornata che nasce come atto di rivolta disorganizzata, lontana dalla strumentalizzazione da parte di comitati, lontana della logiche delle istituzioni e, soprattutto, come lotta contro ogni tipo di oppressione; ci siamo mossx per ricordare (e ricordarci) che il pride nasce come pratica di disobbedienza. Lo abbiamo fatto portando con noi degli scritti che nascono da rabbia, riflessioni, letture, confronti; convinte che ogni corpo che si espone, soprattutto nel clima politico costruito attorno al nuovo decreto sicurezza, è già di per se una minaccia ai dispositivi di potere, una crepa nell’ordine dominante. Non abbiamo bisogno di permessi per esistere, né di riconoscimenti per lottare. La lotta queer e transfemminista non è un capriccio di pochx, né una battaglia isolata dalle altre. La distruzione dell’etero-cis-patriarcato richiede la messa in atto di una resistenza che si sviluppi su più fronti, non è, quindi, una ‘tematica specifica’, indipendente da altre prassi di liberazione, perché viviamo in un sistema di oppressioni interagenti, capaci di sommarsi nelle vite delle persone. ‘per le strade ci ammazzano e ci prendono a pugni e noi dovremmo cristianamente porgere l’altra guancia? Denunciarli alle stesse guardie che vengono a menarci ai cortei? Non abbiamo bisogno di essere tutelatx dallo stato, ci tuteliamo noi. Bello essere così privilegiati da pensare che esista un abbassarsi alla loro stessa violenza’ (commento di unx compagnx in seguito all’aggressione transfobica subita a Roma da 3 donne).

Pensare di rispondere alla violenza omolesbobitransfobica affidandosi alla repressione punitiva di matrice statale presenta una serie di criticità. La prigione è una istituzione che riproduce e amplifica lo stesso machismo che, nella vita di tutti i giorni, opprime le persone queer. Il carcere è uno spazio chiuso all’interno del quale vige una forte disparità di potere tra la popolazione carceraria e le guardie che la sorvegliano, disciplinano, ‘che diventano padri, preti, educatori, che si arrogano il diritto di entrare nell’intimità, di spiare il dolore, la rabbia, il modo di vestire, di camminare, di parlare. Trovano normale dirti come e quando lavarti, quanto mangiare, quanto dormire’ (da: “Carte forbici sassi, sfide da e contro le prigioni e il patriarcato”).

Il carcere è, quindi, una istituzione intrinsecamente machista, sessista e radicata in una logica etero-cis-patriarcale, e dunque troviamo illogico pensare che un detenuto colpevole di omolesbobitransfobia possa uscire dalla prigione come una persona aperta a chi non è etero-cis normato. Come ci appare contraddittorio, anche se ovviamente ne riconosciamo la necessità e l’urgenza in una società che ci isola, chiedere protezione alle stesse autorità e istituzioni che per secoli ci hanno invisibilizzatx, torturatx e uccisx; invece, ci piacerebbe pensare ad una comunità LGBTQIA che scelga di aprirsi a relazioni politiche interpersonali basate su reti di tutela reciproca e di solidarietà mutualistica dal basso. Una comunità che non si affida alla tutela simbolica di ‘padre Stato’, perché lottare per un’istruzione inclusiva e aperta alla messa in discussione della norma affettiva e sessuale non significa soltanto rendere più vivibile l’esistenza di una ‘minoranza’ della popolazione, ma attentare alle basi di un intero sistema fatto di oppressx e di oppressori, un sistema etero-cis-patriarcale, dove ciò che sta fuori dalle proprie logiche deve esse cancellato, nascosto, bestializzato, patologizzato. Se continuiamo a pensarci solo ed unicamente come altri hanno finora voluto che ci pensassimo, e cioè come ‘diversità da celebrare’, rischiamo di sottovalutare la forza che riguarda la nostra condizione e ci perdiamo tutte le sfumature del nostro immaginario.

‘THE FIRST PRIDE WAS A RIOT’, ed è stato anche multirazziale, queer, HIV+, sexworker. Il primo pride ha iniziato una rivoluzione contro lo stato, è stato costantemente anti- oppressione, qualsiasi oppressione, perché la liberazione o è totale o non è. Stonewall non fu un’espressione organizzata, guidata da organizzazioni; fu una violenta e caotica esplosione di rabbia contro la polizia, responsabile di infliggere tanta sofferenza, e fu privo dell’approvazione e direzione di alcun gruppo.

Oggi non chiediamo Stati che beneficiano della nostra oppressione: non chiediamo che cambino le leggi, ma che venga distrutto tutto il sistema. Siamo stancx di vedere le colpe spostate dalle istituzioni ai singoli, trattati come casi isolati o patologizzandoli attraverso lo stigma del malato di mente’ (con lo scopo poi di lucrare attraverso le industrie farmaceutiche e strutture detentive come carceri e ospedali psichiatrici).

Le istituzioni sono parti integranti dell’oppressione, arrestano, criminalizzano, perseguitano, molestano, uccidono e ci costringono al margine della polis (in senso sia figurativo che fisico), dove il confine della polis è sempre stato il confine dell’umano. Rifiutiamo i tentativi del capitalismo di rubare e guadagnare dal nostro movimento, di capitalizzarlo, di vedere i nostri corpi marginalizzati e criminalizzati e le nostre istanze di liberazione cementificate sotto la pietra tombale della lobby sponsorizzante di turno. Perché si, ancora quest’anno leggiamo che tra i più grandi sponsor del pride è presente la Caronte e Tourist, i boss dei traghetti che controllano l’economia di questa città da decenni, riempendola di smog e morte; con i loro progetti economico infrastrutturali che tutto hanno a cuore meno che la vita stessa. Iniezioni letali di cemento e progresso imposto si adoperano nell’immobilizzare le nostre esistenze tutte. Rifiutiamo il sistema ciseteronormativo che attribuisce il nostro valore al nostro’inserimento’, piuttosto siamo qua per rompere il binario, per abbracciare le posizioni al margine, dissidenti.

La scelta non è docile accettazione di norme cis-etero violente a cui le soggettività queer non possono aderire. ‘L’insurrezione sboccia dal semplice esistere e dal rinnegare le norme di una società a cui si è soggiogatx.’

Il pride è anche tutt lx compagnx non umane con cui lottiamo accanto, sistematicamente sfruttatx, stuprate, uccisx, oggettificatx attraverso la riduzione a carne, frammentatx e consumatx. Mai consideratx soggetti ma solo strumenti, mezzi per ottenere un fine, sia esso economico o affettivo. Anche, e soprattutto, i corpi delle non umanx sono totalmente e pervasivamente controllati, tanto da trasformare la loro esistenza in una vera e propria ‘non-vita’, privandolx della libertà di esistere indipendentemente da noi dalla loro nascita, passando per l’infanzia, la riproduzione, la socialità l’alimentazione.

La necessità è di un radicale sovvertimento dell’architettura sociale che si fonda sullo smembramento produttivo dei corpi, non umani e umani, trasformandoli in capitale umano; sulla riproduzione eterosessuale che offre così risorse, umane e non, per affermarsi storicamente e continuare a riprodursi.

‘Mettendo in gioco i nostri corpi vulnerabili, mortali e macellabili, solidarizziamo con tuttx lx oppressx per realizzare una politica di opposizione e resistenza radicali allo smembramento istituzionalizzato’ (dalla prefazione di “Manifesto queer vegan”).

Anche oggi sentiamo l’urgenza di lasciare spazio ad una voce palestinese, queer, in lotta. Non per raccontarla ma per fare silenzio e ascoltarla. Le persone palestinesi non hanno bisogno di essere da noi narrate, non hanno bisogno di essere da noi salvate. La loro resistenza è quanto di più reale oggi e noi abbiamo scelto di fare da megafono per la loro voce; perché nessuna liberazione è possibile se non è collettiva e perché ogni alleanza reale passa per l’ascolto e dalla rinuncia ad ogni forma di protagonismo coloniale.


Frammenti di una lettera di un artista queer palestinese:

‘Sono Elias Wakeem, un artista, filmmaker, performer ed essere umano queer palestinese, nato sotto occupazione e cresciuto in un sistema che non ha mai voluto che vivessi liberamente, amassi apertamente o parlassi con verità. Non sono qui per intrattenervi. Sono qui per rompere le illusioni confortevoli che avete costruito mentre noi siamo sepolti sotto le macerie del vostro silenzio. Sono nato nella Palestina del ’48 – cioè, quella che voi chiamate ‘Israele’ – con un passaporto che non ho mai chiesto, circondato da recinzioni, posti di blocco e coloni che vivono con impunità, mentre la mia famiglia, sia biologica che scelta, guarda membri in Cisgiordania e Gaza venire affamati, torturati e assassinati. Lavoro a livello internazionale come artista performativo ed educatore, eppure ovunque io vada porto con me il peso dell’essere palestinese – dell’essere sorvegliato, interrogato, sospettato e cancellato. Uso l’arte drag come strumento di disobbedienza politica. Il mio alter ego, Madam Tayoush, incarna il glamour come mezzo di resistenza – e no, non una resistenza come i vostri hashtag ripuliti e rassicuranti. Intendo la resistenza come rifiuto dell’annientamento. Intendo la resistenza come una gioia che sputa in faccia al genocidio. La mia queerness non è separata dal mio essere palestinese. Non è una contraddizione. È lo stesso grido di vita in un mondo costruito sulla morte. Suggerire che l’essere queer e il sostegno alla Palestina siano in qualche modo incompatibili non è solo ignorante – è una grottesca perversione della verità. È il sintomo di un mondo profondamente malato e indottrinato, che ha imparato ad associare la ‘libertà’ solo alle bandiere coloniali che sventolano sopra i nostri cadaveri. Si chiama pinkwashing: una strategia propagandistica adottata dallo Stato israeliano per dipingersi come paradiso dei diritti Lgbtq+, mentre copre la sua apartheid, l’occupazione e il genocidio contro i palestinesi. Il pinkwashing è la cancellazione della vita queer palestinese e la celebrazione della violenza nel nome della ‘tolleranza’.Le persone queer palestinesi esistono. Ci organizziamo, amiamo, creiamo e resistiamo. E resistiamo non solo al patriarcato locale – che, come ovunque, esiste – ma anche alla sorveglianza, ai checkpoint, alle invasioni militari e agli attacchi mirati, perché siamo palestinesi. Vorrei aggiungere un’altra cosa. L’ironia è crudele: Gaza è sotto assedio totale. Bombardata ogni giorno. La gente è stata ridotta alla fame, intere famiglie cancellate dai registri civili, ospedali rasi al suolo con personale e pazienti all’interno. Come osate chiedermi se le persone queer siano perseguitate a Gaza, come se questa fosse la domanda rilevante in un momento di genocidio? Come osa qualcuno parlare di queerness come cartina al tornasole dell’umanità – e applicarla solo quando fa comodo all’impero? Ditemi: le persone trans non vengono forse uccise per strada a Roma? Marielle Franco non è stata forse assassinata in Brasile? Le donne trans nere non vengono forse braccate negli Stati Uniti? È solo a Gaza che le persone queer non sono al sicuro – o è solo lì che scegliete di preoccuparvene, quando serve alla vostra agenda di guerra? Che tipo di schema contorto e disumano guarda un popolo massacrato e dice: ‘Beh, ho sentito dire che non sono molto gentili con i queer, quindi forse se lo meritano’? Che tipo di libertà queer è questa? Se la queerness significa qualcosa – se parla davvero di liberazione, di famiglia scelta, di rottura dei sistemi di controllo – allora non può essere cooptata dall’apartheid. Se la queerness davvero significa qualcosa deve significare stare dalla parte delle oppresse, non di chi li bombarda in nome della libertà. Non vi sto chiedendo di prendere posizione – vi sto chiedendo di svegliarvi. Di vedere attraverso la propaganda. Di chiedervi: chi trae beneficio quando la queerness viene usata come giustificazione per un genocidio? Chi guadagna quando la nostra sofferenza viene riconosciuta solo selettivamente? Se la vostra queerness viene mobilitata solo quando è politicamente conveniente per l’impero, e non quando dei bambini vengono bruciati vivi nelle tende, allora forse non è queerness. Forse è solo codardia travestita da bandiera arcobaleno. Questa non è solo una lotta palestinese. È una lotta per ciò che significa essere umani. Sosteneteci, chiedete al vostro governo di interrompere il commercio di armi in Israele. Spingete per un boicottaggio culturale e accademico totale. Non usateci come simboli, non piangere lacrime arcobaleno mentre votate per governi che forniscono gli F16, non condividete la nostra arte se ignorate il nostro sangue’

THE PRIDE WILL BE RADICAL OR IT WON’T


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

DIFFONDIAMO DA SICILIANOBORDER:


PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO 28 GIUGNO H.16.00

Il CPR di Trapani è un luogo di detenzione amministrativa, dove lo Stato rinchiude in gabbia le persone che non hanno il giusto pezzo di carta, per poi tentare di deportarle.

Come tutti i CPR è un luogo dove il regime dello Stato e delle frontiere si perpetua tramite la violenza e la tortura. I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

Perché provare a rompere l’isolamento sotto le mura del CPR di Trapani-Milo?

Le notizie che arrivano all’esterno sono di un luogo che tenta in ogni modo di sotterrare le voci che urlano rabbia e chiedono libertà.

Nel CPR di Milo i telefoni personali sono stati sequestrati anche quando ne erano state spaccate le fotocamere e spesso viene impedito anche di usare le cabine del centro. Lenzuola e biancheria sono fatte in modo che non possano esser usate per bruciare, e se lo fanno è per poco, o per impiccarsi – è anche così che lo stato prova ad affossare ogni forma di insubordinazione o determinazione.

Questo luogo è stato teatro di numerose rivolte. Nel marzo 2023 una ribellione aveva costretto, in seguito ad un rogo, alla riduzione dei posti a 40.

A Gennaio del 2024 invece lx reclusx hanno distrutto la struttura, rendendola inagibile per circa il 90% e determinandone la chiusura.

I CPR si chiudono col fuoco dellx reclusx, con la rabbia di chi da dentro urla vendetta e diventa scheggia che si scaglia contro il potere.

In seguito alla distruzione di maggior parte della struttura, e dopo gli ennesimi lavori di ristrutturazione e ammodernamento, il CPR di Milo è tornato ad essere agibile ad Ottobre del 2024, aumentando la capienza fino a 204 posti. Le persone recluse, che in un primo momento erano una 40ina, sono presto diventate più di cento. La vicinanza con l’aereoporto di Palermo, snodo a livello nazionale per le deportazioni in Tunisia ed in Egitto, ha così permesso di far riaccendere anche a Trapani i motori della macchina che uccide, tumula e deporta le persone migranti.

Sabato 28 Giugno ci ritroveremo sotto le mura di questa prigione, in solidarietà allx reclusx e contro lo Stato che rinchiude e tortura. Nella speranza che il CPR di Milo torni inagibile e mai più in funzione, nella speranza che sbarre massicce e muri altissimi per un giorno vengano abbattute dallx reclusx e dallx solidali.

Che questa solidarietà polverizzi anche per poco la distanza che vogliono frapporci, saremo lì, perché compagnx di chi si ribella.

Dove lo stato segna confini noi sogniamo orizzonti, complici e solidali con lx reclusx in lotta

Fuoco alle galere

Freedom, Hurryia, Libertà


link alla fonte: https://sicilianoborder.noblogs.org/post/2025/06/06/presidio-al-cpr-di-trapani-milo-28-giugno-h-16-00/


CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!

Riceviamo e diffondiamo:

Ciao a tutt*: gli aggiornamenti che ci arrivano sulla situazione del compagno Alfredo Cospito descrivono un evidente inasprimento delle condizioni già di per sé aberranti della reclusione in 41-bis. Da alcuni mesi, Alfredo sta affrontando una progressiva limitazione nelle già esigue possibilità di vivibilità del regime detentivo a cui è stato assegnato dal 2022, tra cui il blocco praticamente totale della corrispondenza da/per l’esterno, l’impossibilità di accedere alla biblioteca interna (autorizzazione che Alfredo aveva avuto dalla Direzione), il blocco dei libri regolarmente acquistati in libreria tramite il carcere (come prevede il regime del 41-bis) e di altri beni, come farina o indumenti, di uso quotidiano. Tutto ciò avviene, guarda caso, in coincidenza con la condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio del sottosegretario alla giustizia Delmastro (proprio per la vicenda delle intercettazioni ambientali, divulgate in Parlamento da Donzelli, delle conversazioni tra Alfredo e gli altri reclusi che all’epoca facevano parte del suo “gruppo di socialità”). Altre “coincidenze” che viene da pensare possano avere il loro peso in questa vicenda sono le dimissioni a fine del dicembre scorso del direttore del DAP, Giovanni Russo, che aveva testimoniato non proprio a favore di Delmastro nel processo a suo carico e, ancora guarda caso, il ritorno al comando della sezione 41-bis di Bancali del graduato dei GOM che era stato trasferito proprio per il suo coinvolgimento nella faccenda delle intercettazioni. Rilanciamo quindi l’appello che diffondemmo l’anno scorso in merito alla corrispondenza indirizzata ad Alfredo, come primo passo perché riacquisti incisività e costanza la mobilitazione per strappare Alfredo dall’isolamento e per continuare a lottare contro l’ergastolo e il 41-bis.

CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!

È importantissimo continuare a scrivere al compagno Alfredo Cospito, tuttora in 41bis nel carcere di Bancali (Sassari). Il lavoro certosino (e spesso francamente incomprensibile e contraddittorio) dell’ufficio censura, insieme al pressapochismo tipico delle patrie galere e all’inaffidabilità delle poste italiane (strumento sempre più spesso appannaggio esclusivo delle comunicazioni galeotte), rende fortemente consigliato l’invio della corrispondenza attraverso sistemi tracciabili quali la raccomandata (anche senza ricevuta di ritorno) o la “Posta 1”. Il tagliando e il codice di tracciabilità permettono di conoscere lo stato della spedizione e intraprendere poi l’iter burocratico per cercare di sbloccare la corrispondenza, dato che gli agenti non sempre rendono noti i trattenimenti e la posta spesso semplicemente scompare. Invitiamo quindi tutti i solidali a scrivere e ad inviare scansione o foto dei tagliandi (o comunque dei codici di tracciabilità) alla Cassa Antirep delle Alpi Occidentali, che si incaricherà di raccoglierli e inviarli all’avvocato di Alfredo per fare i dovuti ricorsi e recuperare quante più lettere possibile. La solidarietà è un atto concreto, non lasceremo mai Alfredo da solo nelle mani dei boia di Stato: sommergiamolo di affetto anche attraverso lettere e cartoline!

L’indirizzo per scrivergli è: Alfredo Cospito C.C. “G.Bacchiddu” Strada Provinciale 56, n°4 Località Bancali 07100 Sassari

mentre per inviare le vostre ricevute: cassantirepalpi@autistici.org Contro tutte le galere!

Cassa AntiRep delle Alpi occidentali


“Adesso non si scherza più”

Riceviamo e diffondiamo:

Come un corteo di carnevale, con carro, maschere e coriandoli si trasforma in un attentato terroristico.

“Quel pessimo scherzo di Carnevale che indigna e offende Messina”;

“Cavernicoli e antisemiti”;

“La battaglia contro il Ponte utilizzata per far casino e aggredire i poliziotti”;

“Contro il progresso e a sostegno dei terroristi”.

Che il terreno fosse accidentato era facile da intuire, ma fossero le strade già spianate non servirebbe aprirne di nuove. Invece difficile era intuire che un corteo carnevalesco avrebbe provocato una canea mediatica talmente feroce da sfornare in poco tempo centinaia di articoli per attaccare un corteo di 300 persone.

“…mi chiedo in cosa la nostra società abbia sbagliato, nel produrre soggetti che, privi anche del minimo senso civico, colgono ogni occasione per offendere, aggredire, fare violenza…Che fine hanno fatto i valori che si insegnano nelle scuole?”

Vent’anni di controversie sul ponte hanno destato enorme attenzione negli ambienti siciliani del cemento e dal malaffare che sulla sua costruzione e i suoi indotti hanno solo da guadagnare, inoltre i rubinetti aperti del governo erogano già fondi per consulenze ed appalti che vanno difesi.

A discapito dei clichè, la prima voce ad alzarsi a protezione degli interessi di pochi non sono dei botti, ma la macchina del consenso. Ormai tramontata l’era dei media mainstream, l’informazione si snoda tra vari blog e social. Loro è il compito di alzare la tensione, loro è il compito di mettere in moto la macchina del fango. Ed è così che un paese impoverito culturalmente mostra il livello di miseria intellettuale in cui è ridotto, privo di bussole ed ideologie spolverato da una superficiale patina di democrazia liberale non può che dar luogo a discorsi pedagogici che assomigliano sempre di più a quelli da bar…

Farlo dove si concentra un interesse strategico nazionale funge da amplificatore, quindi se la presa di posizione di Salvini è ormai un obbligo del sabato sera, il coinvolgimento di Piantedosi dimostra, se ce ne fosse il bisogno, quanto i governi sprechino e dilapidino denaro pubblico per questioni che riguardano più l’immagine che le necessità. In questa ottica il Ponte è fondamentale, in special modo dopo il flop dei centri di detenzione per rifugiati dislocati in Albania.

In questo contesto si comprende che non si necessita di un serio delitto per scatenare il coro di disapprovazione dei media, ma basta vergare delle: “scritte di protesta sui muri di diversi edifici ….. Un atto che ha suscitato indignazione, svuotando di significato la legittima espressione di dissenso pacifico” per trasformare i manifestanti no ponte in una cellula di Al Qaeda. Per equiparare petardi ad ordigni, per vedere un assalto dove sta una coraggiosa difesa di un corteo con famiglie a seguito.

Al netto di cariche, inseguimenti, rastrellamenti, identificazioni e fermi sono una decina le posizioni da valutare nei confronti dei manifestanti, non molto per giustificare l’intervento diretto del ministro degli interni. Ma l’interesse sta tutto nel soffiare sul fuoco perché la trappola sia ultimata e la vittima bollita senza manco accorgersene. L’esca è lanciata e fulmineamente in modo coordinato alcune anime del movimento NoPonte praticano una cieca dissociazione che li porta a solidarizzare con gli aggressori (sembra un vizio ricorrente), a stigmatizzare le scelte altrui, fino ad alimentare la caccia all’uomo…

Ecco come per bieco e palese elitarismo e calcolo politico contingente, quanto poco lungimirante, si consegna l’intero paese ad un regime postdemocratico. Le vittime sono le persone reali, quelli che perderanno la casa, il paesaggio, il luogo del “cuore”, quel minimo di ecosistema che ci permette di sopravvivere, quelli avvelenati dai materiali di risulta, quelli che ne soffriranno per anni, quelli che perderanno il poco che ancora il mare dello strettto custodisce, quelli che soffrono per mancanza di ospedali, cure adeguate, scuole ed istruzione inclusive, quelli a cui mancano i mezzi di sussistenza, quelli che faticano per “arrivare a fine mese”, quelli che sono spinti alla marginalità, che sono costretti alla miseria e che vengono seppelliti tra le mura delle carceri, quelli che non hanno voce….Perché loro griderebbero con tutto il fiato che hanno in corpo, di sapere veramente cosa è la violenza e chi la subisce quotidianamente.

La violenza è ben altra cosa. La violenza è sequestrare qualcuno perché non ha un conto in banca o il colore della pelle “sbagliato”, la violenza è privare delle possibilità di una vita dignitosa, per poi privare della libertà chi non ha una vita dignitosa. La violenza è ospitare a scuola polizia e militari per insegnare ad accettare e rispettare la violenza del potere, la violenza è fare affari vendendo mezzi di morte per fare le guerre, la violenza è morire per uno stipendio da fame, la violenza è partecipare con parole, opere e mezzi allo sterminio di una intera popolazione.

“il rischio di mescolare pericolosamente ciò che va tenuto distinto. Una cosa è chi protesta secondo le regole della democrazia e della Costituzione, come il movimento no ponte ha sempre fatto. E altro chi s’inserisce in una battaglia politica per sputare il proprio veleno che ha in corpo. E attende il momento solo per creare il caos, godendo della reazione del potere.”

La solita solfa dei barbari venuti da lontano, della brutalità dei vandali, dell’amore per la violenza, come se chi manifesta non fosse cosciente che il rischio di perdere la libertà è sempre presente, del decoro prima dell’umanità, della fragilità in cui versa la democrazia minacciata dagli unici che la praticano quotidianamente, il solito trito e ritrito peloso distinguo tra buoni e cattivi. Una storia già sentita troppe volte se non fosse che ormai non corriamo alcun pericolo di cadere in un regime autoritario, perché ci scivoliamo lentamente quanto inesorabilmente e in modo concreto giorno dopo giorno. Così la domanda di maggior repressione chiesta a gran voce a destra e sinistra trova subito una corrispondenza in una fascistissima mozione del podestà di Messina che non aspettava altro…

“….ovviamente in coordinamento con la Questura, a far sì che in futuro si impedisca l’uso del suolo pubblico e sia negata l’autorizzazione per raduni, manifestazioni e cortei promossi da associazioni che abbiano già dimostrato di fomentare l’odio e incitare alla violenza, accogliendo tra le proprie fila facinorosi, personaggi violenti in stile black bloc, venuti anche da fuori, che hanno quale unico obiettivo quello di creare scontri con le forze dell’ordine o caricarle, imbrattare muri o minacciare di morte”

Oltre ovviamente ad invitare i sudditi alla partecipazione nella punizione esemplare:

“costituendosi parte civile nei procedimenti penali avviati nei confronti dei responsabili; a valutare la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni subiti dalla città ai responsabili delle associazioni che hanno organizzato le manifestazioni poi sfociate in guerriglia urbana”.

Come gran finale l’ipocrita piagnucolio coccodrillesco della sinistra che formalmente raccoglie quello che ha seminato stando nel campo della destra; la subalternità totale al capitale e la sua totale inconsistenza politica. Archiviando con i fatti qualsiasi lotta che non sia pacifica testimonianza della protesta, stanno contribuendo a rendere un sistema sempre più ingiusto e catastrofico, inevitabile e immutabile a qualsiasi cambiamento dal basso. D’altronde cosa mai si è conquistato con la lotta? A parte praticamente ogni libertà? Sicuramente meglio una raccolta di firme, una class action, oppure perché no? Dotarsi del servizio d’ordine di Cicalone o chiedere al Gabibbo! Make Messina Great Again!

Solidarietà e complicità con i partecipanti al carnevale no ponte!

Smascheriamoli perché ADESSO NON SI SCHERZA PIU’!

Sempre con la popolazione palestinese e tutti gli sfruttati che si ribellano!


A DIFESA DELL’ANTIFASCISMO MILITANTE

A DIFESA DELL’ANTIFASCISMO MILITANTE

Antifascimo è antisionismo, antisionismo è anticapitalismo.

Fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le Case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d’Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e Arditi”.

Il 25 Aprile, ormai da tempo, è mera e vuota ricorrenza, in cui il paese per un giorno attua la “liturgia della resistenza”, priva di ogni contenuto attuale e riferimento reale, spinta dalla sinistra istituzionale, ansiosa di strumentalizzare la giornata e i sentimenti che suscita per fini propagandistici.

Adesso, troviamo proprio impossibile attraversare le piazze “antifasciste” del 25 Aprile che si riempiono solitamente di bandiere, e di partiti, aderenti alle sacche di repressione dello Stato, complici con il Genocidio Palestinese, proprio in questo momento quelle piazze rischiano anche di essere ulteriormente vilipese e snaturate dalla propaganda di Guerra.

La bandiera dell’UE non paga di essere lorda del sangue palestinese con il progetto REArm EU continua ad assumere connotati coloniali e guerrafondai stavolta recitando l’epitaffio sul tanto decantato mondo 

libero occidentale.

E che se lo mettano bene in testa tutte quelle organizzazioni politiche antagoniste che durante l’anno si impegnano ad indicarci la via maestra per la redenzione dal capitale!

Quello che succede a Gaza non è una guerra tra stati bensì un genocidio da parte di uno stato nei confronti di un intero popolo, quello palestinese, che prova a ribellarsi e liberarsi dall’oppressione. 

Un tenace movimento di Resistenza popolare che si oppone ad una delle potenze militari ed economiche più forti del pianeta, Israele, che vanta le migliori tecnologie, i migliori armamenti, il migliore esercito ed una diffusa volontà di pulizia etnica.

Questo dimostra che: la sterilizzazione dell’antifascismo operata dall’intero arco istituzionale, ha operato attraverso la selezione di forme e gestualità occasionalmente represse, lasciando i contenuti e l’essenza a diluirsi nella marea delle ingiustizie umane.

Quindi mentre ci inorridiamo di fronte a braccia tese, marce a passo dell’oca o al rifiuto di rinnegare il ventennio, siamo impassibili di fronte alla detenzione su base etnica dei cpr, alle deportazioni, alle misure di prevenzione poliziale, alla profilazione della repressione.

Ma non solo, come definire la speculazione finanziaria, la turistificazione, la deregolarizzazione del lavoro, la privatizzazione di scuole ed ospedali? Termini gentili ma non meno portatori di miseria, povertà e lutto.

Nel contesto dei già approvati decreto anti-rave, decreto Caivano e persino del nuovo codice stradale è al varo il DDL 1236 che si prepara a diventare il decreto legge più repressivo in tutta Europa. 

A farne le spese saranno soprattutto lx detenutx e lx migranti a cui non possiamo che stringerci provando a creare ponti solidali, se carceri e cpr si chiudono col fuoco dellx reclusx il nostro impegno è di essere il fuoco 

della vendetta. 

A giovarne invece saranno le forze dell’ordine con più deterrenza, scudo penale, incitazione all’uso di armi da fuoco e maggiore discrezione sull’uso della forza. Il Fascismo è già qui!

Ma la variante umana non è uno scherzo! Gaetano Bresci che uccide il re ci insegna che a frapporsi tra la guerra ed i popoli innocenti c’è la 

vendetta e la rabbia di chi cospira contro il potere.

A Catania il 25 Aprile andrà in scena la carcassa di quella che ancora molti si pregiano di chiamare ancora antifascismo e noi a questo vogliamo opporci, vogliamo che voli la civetta.

Chiamiamo all’azione e al conflitto sociale tuttx lx antifascistx che si oppongono alle logiche del profitto e del capitale per organizzare un 

momento di rottura collettivo, per sovvertire l’ordinario, per riprenderci il presente. 

SIAMO TUTTX ANTIFASCISTX? TUTTX?


MAGGIO ANTIMILITARISTA

Vogliono che i nostri corpi siano complici con la militarizzazione permanente dei territori, terrorizzando, assassinando e distruggendo in nome di una falsa sicurezza di cui beneficia solo l’estrattivismo e lo sfruttamento. Non fate affidamento su di noi!! 


Vogliono i nostri corpi per la guerra ed il servizio militare mentre ci uccidono di misoginia e macismo per le strade. Ora basta!! Non contate su di noi.


Ci vorrebbero utilizzare come giustificazione per la spesa militare, una giustificazione bastata sulla paura prodotta dallo loro stessa mano armata. Non saremo parte di questo. Non fate affidamento su noi. 


Chiamiamo all’azione collettiva e solidale tra i popoli contro l’industria degli armamenti, della morte e della discriminazione. La sicurezza proposta dagli Stati e il capitalismo è una finzione che perpetua il monopolio della violenza alimentando continuamente lo scambio di armi, le oppressioni dei popoli e lo sfruttamento dei territori. 


Nella Ramalc (Rete Antimilitarista dell’America Latina e dei Caraibi) crediamo nella sicurezza come una convivenza comunitaria es empatica che si costruisce congiuntamente in ognuno dei territori che abitiamo, in maniera orizzontale, come esercizio di azione diretta. 

Questo e tutti i 15 di maggio sono il giorno internazionale del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, il diritto a dire NO all’essere parte di guerre e morte. In tempo di militarizzazione ed autoritarismo non collaborarvi è un esercizio di libertà e solidarietà indispensabile.

DICHIARATI OBIETTORA!!!! 


CENTO GIORNI DELLA “Comissione 2024-2029”

“Prosperità-sicurezza-democrazia” è il mantra che guida un’Europa che si appresta a grandi rinnovamenti davanti ad un contesto globale profondamente mutato. Chiaramente non parliamo di eventi che avvengono all’improvviso; l’interesse per i nuovi mercati, come quello digitale o, più in generale, dell’intelligenza artificiale; un clima sempre più diffuso di guerra e di conflitto imminente; l’ossessione per lo stabilimento di una politica comune sulla migrazione etc. sono, tra gli altri, elementi che permeano la politica europea sin da sempre, considerandoli tutti declinazioni di ciò che più comunemente possiamo chiamare “mercato”. 
Proprio in occasione dei primi cento giorni della “Comissione 2024-2029” von der Layen si appresta ad un discorso ove, oltre confermare il già evidente, ossia un diffuso clima di guerra che permea sin dentro i confini già porosi del continente europeo, anticipa alcuni elementi della nuova bozza sui rimpatri che domani (11/03/25) verrà resa pubblica.
Ancora una volta la saldatura tra mondi apparentemente scollegati tra loro; migrazione, guerra, detenzione. La forza del mercato europeo, dice von der Layen, dipende dalla sicurezza, tanto dei confini quanto dei suoi due corrispettivi lati, il dentro ed il fuori. Infatti, “prosperità, sicurezza e democrazia” iniziano a casa”. E dunque, 800 miliardi al compartimento difesa, “REARM Europa”. Un’unione europea della difesa. E lo si fa coinvolgendo quanti più investitori privati possibili. La saldatura aggiunge ai suoi elementi il settore industriale, che sfrega le mani all’idea di costruire nuove carceri, nuovi centri di trattenimento per migranti, nuove armi… Così mentre si spiana sempre più la strada all’industria detentiva e della guerra più in generale, si prova ad armonizzare tra paesi membri (in termini anche di prepotenza macista) un sistema di gestione delle “rinnovate sfide” che il mondo nuovo pone a questo mostro geo-politico (*con ‘mostro’ si intende un’essere ibrido, costituito di diverse parti e particolarità). Infatti; novità? L’inaugurazione di un “Colleggio di Sicurezza” che avrà il compito di ricevere continui aggiornamenti in materia di sicurezza. “Dalla sicurezza esterna ed interna all’energia, difesa e ricerca. Dal cyber, al commercio, alle ingerenze esterne”.  
Ma il punto focale è “una proposta legale ambiziosa sui rimpatri”. Non vengono dati troppi dettagli, vengono annunciate regole condivise in tema di rimpatri ed un sistema condiviso che semplifichi l’espulsione di persone che permangono irregolarmente nel territorio europeo. Ma se l’attività di deportazione non è certo nuova alla civilissima Europa, che traghettava schiave e schiavi in giro per il mondo come sacchi di farina, si svela l’arcano; anni ed anni di sperimentazione ed implementazione di tecnologie del controllo alle frontiere permetteranno infatti di imporre divieti di ingresso per circa dieci anni per persone “irregolari” che si opporrano al rimpatrio. Ossia, l’applicazione coatta, coercitiva, determinerà per il soggetto cui viene imposta la misura del rimpatrio l’impossibilità di ingresso sul suolo europeo. Criminalizzando e sottoponendo ad illegalità forzata tutte quelle persone che, rimpatriate a causa del considerare sicuri i paesi di provenienza o inezie le individuali volontà/necessità di spostamento, si troverebbero costrette a ritentare la fuga. 
Lo sviluppo preponderante del mercato del controllo e della sorveglianza rendono necessarie in capo all’Unione misure per poter normare tale mercato, saldando questa necessità, dunque, a quella di un sempre maggiore controllo, interno ed esterno, in un clima di guerra diffusa. Mentre le frontiere si stringono, i controlli si inaspriscono, le pene aumentano per chi attraversa le frontiere “illegalmente”, si predispone il compartimento detentivo per quelle, invece, in attesa di essere rimpatriate. Tecniche di contenimento e di localizzazione forzata apprese in contesti bellici che vengono, adesso, applicate nei confini così detti interni, a testimonianza, ancora una volta, di come quella guerra che ci viene narrata a volte “lontana”, a volte “alle porte”, sia in realtà già, seppur con forme ed applicazioni peculiari e contestuali, presente sotto casa. Una delle tante conferme che il mondo auto-percepitosi civile è piombato in un conflitto totale ed evidente; qualcunx potrà dire che non è mai cessato di esistere un clima di guerra totale, poichè questo è parte relativa e genetica del sistema di capitale, ma non si potrà obiettare più di tanto se si afferma che è quanto meno svanita l’opacità con la quale il sistema-mondo poneva tutte le nostre quotidianità in guerra. E si badi bene a non confondere conflitto con guerra. 
Tecniche e tecnologie di controllo galoppano nel loro sviluppo ed implementazione al pari dei numeretti delle varie “piazze affari” del mondo. Ed in tutti questi interstizi del nuovo mondo dell’iper-connessione, della morte istantanea, la nuova forma del capitale si insinua, rafforzandosi attraverso tutte le sue varie infrastrutture; produttive, sociali, politiche, materiali etc. 
Altro elemento ‘spoiler’ del regolamento in questione, anche questa per niente una novità (sigh!), è il rafforzamento del sistema di esternalizzazione delle frontiere. Sembrerebbe infatti concepita la possibilità di spostare le persone verso cui è emessa un’ordinanza di rimpatrio verso paesi terzi con i quali siano stati siglati accordi in materia. Dunque, in tal caso, la si potrebbe considerare come un’istituzionalizzazione del sistema italiano dei CPR in territorio albanese (o ancor prima, seppur in un quadro normativo differente, i campi di reclusione libici- sotto il governo Renzi). Si parlerebbe infatti, di “hub di rimpatrio”. 
Tutto sotto l’attenta osservazione dei diritti umani e delle varie carte che li sanciscono…

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