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IMMAGINA DI ESSERE IN UN INCUBO

IMMAGINA DI…

…vedere la tua casa espropriata, la tua città ferita da cantieri lasciati a metà, aria

e acqua avvelenate, la spiaggia una discarica, le montagne un groviera; dici a

qualcuno che si dovrebbero bloccare i cantieri: rischi una condanna da 6 mesi a 4

anni di reclusione.

…lavorare in fabbrica, con una paga bassa, norme di sicurezza non rispettate, e la

cassa integrazione dietro l’angolo; coi colleghi vuoi protestare bloccando la

strada: rischi una condanna da 6 mesi a 2 anni di reclusione.

…non avere una casa, non poterti permettere un affitto, ne trovi una

abbandonata e ci vai a vivere: rischi una condanna da 2 a 7 anni di reclusione.

…dire a un pubblico ufficiale (poliziotto/militare/vigile/ufficiale giudiziario/

curatore fallimentare/portalettere/notaio/sindaco/consigliere comunale/

capotreno) che non sei d’accordo con quello che sta facendo e troverai come

impedirlo: rischi una condanna da 6 mesi a 5 anni.

…stare protestando contro una grande opera (ponte sullo Stretto, TAV, grandi

discariche, basi militari); partono i manganelli, un poliziotto cade: rischi una

condanna da 8 mesi a 7 anni.

…essere incinta o avere un bambino piccolo, non avere soldi; rubi il latte al

supermercato: non c’è più l’obbligo di una pena alternativa al carcere, per te e

per tuo figlio.

…essere su una barca, vedere un gommone di migranti affondare, provare ad

aiutarli; la guardia costiera ti dice di non avvicinarti, ti rifiuti: rischi una condanna

fino a 2 anni.

…vivere in 3 in una cella di 7mq, coi materassi per terra, le finestre schermate,

caldo d’estate, freddo d’inverno, senza acqua calda; per protesta, vi rifiutate di

rientrare in cella: rischi una condanna dai 2 agli 8 anni.

…aver traversato deserto e mare, torturato in una prigione libica; arrivi in Italia e

vieni chiuso in un CPR senza sapere fino a quando, dormendo per terra,

mangiando cibo scaduto; salite tutti sul tetto per protesta: rischi una condanna

da 1 a 4 anni….

e non puoi neanche comprare una sim  per chiamare a casa e dire che sei vivo.

…ESSERE IN UN INCUBO

 

Il 18 settembre 2024 viene approvato alla Camera il testo del DDL sicurezza (ex

‘ddl1160’): “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in

servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”

. In attesa dell’approvazione in Senato, la legge proposta dal governo Meloni allarga la

possibilità di carcerazione, o di detenzione in generale, per tutte quelle persone

che vanno contro e si oppongono a quello che il governo decide.

Questo decreto non fa altro che inasprire pene per comportamenti già

considerati criminosi e per persone già discriminate e criminalizzate:

occupanti o inquilini morosi; ambientalisti; movimenti sindacali; persone

detenute nelle carceri e nei CPR; abitanti dei quartieri marginali; movimenti di

protesta (in particolare quelli contro le “grandi opere”); e anche chiunque

esprima solidarietà a tutti questi soggetti. Con il “terrorismo della parola”

punisce il pensiero e non l’azione, il famoso processo alle intenzioni, cioè si

punisce ciò che potrebbe accadere e non ciò che accade.

Di contro, è previsto che lo Stato possa anticipare sino a 40.000 euro per ogni

agente di sicurezza citato in giudizio per fatti relativi allo svolgimento del

servizio; che i circa 300.000 appartenenti alle forze di polizia e forze armate

possano avere un’arma personale senza licenza, da portare con sé al di fuori

del servizio; è ampliato il numero di reati per cui. Insomma: una nuova ondata di novelli sceriffi e giustizieri della notte.

La guerra si avvicina, e bisogna disciplinare la società, per permettere senza

problemi il drenaggio di risorse pubbliche: togliere dalle spese sociali a vantaggio

della spesa militare. Una tendenza che non riguarda soltanto l’Italia, ma tutti gli

stati occidentali. E ovunque le persone si stanno opponendo.

Non barattiamo la libertà di tutti per la sicurezza di chi comanda!

ASSEMBLEA CONTRO IL DDL SICUREZZA

 

APPUNTAMENTO MARTEDI 19 NOVEMBRE ALLE ORE 19:00 IN VIA MARIO GIURBA, 15 (MESSINA) PER CONTINUARE AD ORGANIZZARE INSIEME L’OPPOSIZIONE ALL’ENNESIMO DECRETO LIBERTICIDA E RAZZISTA. 

 


CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO

Ci vediamo venerdi 25 ottobre alla piazza dell’ex fiera (passeggiata a mare) dalle ore 17.00, 

In un mondo sempre più scandito dal ticchettio del profitto, distruggiamo le lancette; ’divertirsi è un bisogno vitale’.

Incontriamoci, organizziamoci, creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

Prepariamoci al corteo contro il ‘ddl sicurezza’ di giorno 26 Ottobre.

 

Microfono aperto, musica e socialità. 

Porta i tuoi strumenti musicali, vecchie lenzuola per striscioni, indumenti, colori e/o tutto quello che vorresti decorare con la stampa serigrafica e trovare in piazza.

CONTRO IL DDL SICUREZZA

LIBERX DI LOTTARE!

 


IL SOLO PONTE È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORT*

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Creiamo insieme gli spazi che sogniamo

 

Ci vediamo giovedì 8 agosto alla passeggiata a mare dalle 18.30 per un pomeriggio di socialità no ponte! Musica, birrette, chiacchiere e preparazione di materiali in vista del corteo no ponte del 10 agosto.

«Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sè ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno già portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. 

Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari, come la costituzione di poligoni di tiro dove fare il ‘giochetto’ della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; il proliferare dei luoghi di detenzione, della ‘localizzazione forzata’ delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.»

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI

Chi c’è c’è e chi non c’è dovrebbe esserci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Terra, Mare e Libertà: contro il ponte sullo Stretto di Messina. Corteo noPonte 12 Agosto.

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

file per stampare il pieghevole:

nopontefronte noponteretro


Sulla Soglia: due giorni di discussioni in Sicilia su Sud, Civiltà contadina, Apocalisse culturale e Cosmovisioni, Rivoluzione

È la pluralità dei mondi a garantire che quello che abitiamo non si chiuda in un orizzonte totalitario.”

Ho un ricordo ben preciso della prima volta che ho incontrato un mondo umano davvero per me altro, cogliendone appieno le particolarità. Anni ’70 del secolo scorso, altopiano di Bandiagara, Mali, Africa. Arrivati la sera quasi al buio seguendo la pista di carretti tirati da asini.

Accampati bene in vista, su un’altura in prossimità del villaggio (non si entra in casa d’altri senza dare il tempo a un primo incontro sulla “soglia” necessario per condividere informazioni e intenzioni).

Non si accede col buio, si entra alla luce del sole. (…)

Non era certo un mondo felice, libero da dolore, fatica, malattia, prepotenze, malignità, malefizi, umiliazioni. Ma era un mondo umano, costruito cioè da umani in relazione attenta con ciò che li circonda. Da umani proprietari (artefici e responsabili) del loro mondo.

Stefania Consigliere, Piero Coppo, Cose degli altri mondi

Del dolore di questa epoca, appena battezzata nell’Avvento Pandemico, è impossibile non avvertire la minaccia. Catatonia, depressione ciclica, senso di esaurimento delle forze, impennate di suicidi, tutto il malessere che si continua a recludere nella categoria scricchiolante della psicopatologia, sono il segno di esalazione dell’umano, man mano che il regime del mondo-macchina sembra chiudere il suo sipario algoritmico sulle esistenze.

Un’espressione pregnante, almeno per chi scrive, ha circolato nelle aree del pensiero critico per dare conto dei cambiamenti in corso: apocalisse culturale. Apocalisse culturale per chi? Certo non per il dominio tecno-capitalista, per la sua cosmovisione e per la sua utopia totalitaria in via di realizzazione. Sicuramente, per tutte quelle aree culturali che si sono pensate come altre rispetto al capitale – inteso qui come rapporto sociale – e per le quali è stato uno scossone significativo intuire quanto poco si avesse da obiettare allo Stato e al dominio nelle mosse di conquista di ciò che era rimasto relativamente estraneo al loro campo d’azione: i corpi di tutti – cioè il corpo della specie –, i meccanismi fragili e misteriosi della vita, quegli scampoli autonomi di socialità interrotti per decreto. Un brivido di apocalisse ha attraversato chi ha visto il movimento radicale vacillare nella critica e nel sabotaggio del lockdown, del coprifuoco, della vaccinazione obbligatoria e del green pass. Il rischio di apocalisse culturale quindi lo viviamo noi, lo vivono tutte quelle soggettività anomale della storia d’Occidente, più o meno sovversive, che nel frangente in cui squilla la campanella totalitaria, sono costrette ad una scelta fondamentale: dentro o fuori. Lo ribadiamo, un dentro/ fuori tutt’altro che metaforico dal momento che l’idea che lo Stato può disporre dei corpi non è più un tabù a livello generale.

E se non volessimo discendere le chine ripide della rimozione? Se volessimo spezzare il sortilegio che impone di sacrificare la propria energia vitale al retto funzionamento della macchina?

In questo bilico, c’è dell’altro, dell’ancora: ci sono i tentativi, umanissimi, di mantenersi a galla e di rinculare il crollo facendosi forza nelle relazioni, c’è la voglia di non abdicare all’intelligenza e di solcare con lo sguardo orizzonti rimasti in ombra anche nel discorso rivoluzionario.

Della sofferenza, del senso d’impotenza, delle trappole tese al cammino di chi tenti un’uscita dalla strada maestra, ci sembra necessario occuparci. A guidare questo sforzo c’è il senso della necessità di un trattenere e di un lasciare epocali.

Da un lato, c’è un patrimonio che, come è stato scritto altrove, rappresenta al contempo un distillato teorico nell’alambicco delle esperienze storiche e un pluriverso di possibilità inesplorate (o parzialmente esplorate) di nuova vita. La critica anarchica dello Stato e del dominio, i metodi anti-autoritari di auto-organizzazione, la conflittualità non mediata e la solidarietà integrale tra gli insorti e con i colpiti dalla repressione, il mutuo aiuto tra gli/le oppressi/e, sono assi del nostro orientamento che nessun diluvio potrà, né dovrà, affondare.

Dall’altro c’è l’urgenza di una riflessione sulla direzione dello sguardo, una proposta di inversione di rotta che può suggerire un’altra lettura del mondo cui apparteniamo, della storia che lo ha costruito. La piega dell’indurimento culturale indotto dal dominio totale del capitale appare inesorabile guardato dai “centri” di irraggiamento. Non conviene allora, agli sguardi che non si piegano, cercare le possibilità di essere-nel-mondo, di fare-mondo, tra le increspature e i margini?

Lo spazio da cui il nostro sguardo si volge è il Sud.

Cos’è il Sud (d’Italia e non solo)? Per chi decide di lottare è una determinazione primaria, al punto che non ci si può immaginare compagn* al di là delle esperienze, marchiate a fuoco nella coscienza, che qui si sono vissute: separazioni, emigrazioni, violenza istituzionale e miseria del vivere, ostentazione dell’ingiustizia, puzza mortifera di patriarcato. A livello storico-sociale il Sud è la pagina nera della storia della nazione. Un fondo costante di terrore e violenza padronale e di Stato ha spianato la strada allo sfruttamento, ai tormenti e all’estrattivismo più esasperati. Già Zino Zini, all’inizio del secolo scorso, scriveva che lo Stato italiano non poteva sussistere senza il reclutamento costante di gendarmi, amministratori e burocrati al Sud, a indicare che le classi dominanti sono state in grado di creare e sfruttare a proprio vantaggio molte contraddizioni (“I nipoti di chi fu Brigante saranno Carabinieri, sarà un ferita aperta sotto l’acqua ed il sole”, dice una bella poesia di Luigi Ceccarelli, cantata da Lina Sastri).

Un’enorme rimozione a cui ha contribuito tutta la sinistra storica, intenta a farsi governo e Stato. Non è un caso, infatti, che al non detto sulle violenze dello Stato si sia accompagnato l’imbarazzo verso l’indagine delle forme di vita e dei mondi culturali della civiltà contadina del Sud (anche su questo fronte, dirigenze e segreterie di sinistra hanno gestito con una logica di “riduzione del danno” tanto le teorizzazioni del Gramsci “meridionalista” quanto le successive ricerche di Ernesto De Martino). Perché la memoria bandita sarebbe potuta tornare a dire che il nostro, lungi dall’essere l’unico mondo possibile, deve al genocidio degli altri la sua alba: un mondo di fantasmi tenuto dietro-sipario nella quotidianità scandita dalla colonizzazione dell’immaginario.

Eppure, tra spiagge e montagne spopolate e il fiume di soldi in arrivo dal PNRR per farne meta per ricchi e annoiati, qualcosa spinge e scalcia. È la traccia – fragile e residuale, ma ancora visibile – della civiltà contadina dell’entroterra di montagna: è sguardo e mani di secoli di generazioni nella costruzione di un orto, nel mantenimento del giardino, di quel (pre)proletario sapere fare tutto da sé; è un rapporto diverso col passato, coi morti e coi vicini.

Attraversare altre cosmovisioni, altri mo(n)di umani è, per noi, una possibilità aperta al lasciarci trasformare a partire dalle nostre soggettività moderne.

Vogliamo, quindi, interrogarci se questo mondo in via d’estinzione abbia qualcosa da suggerirci, se nuove complicità e prospettive possano prendere slancio nell’incontro con esso, se qualcosa covi ancora o se delle fiammate prodotte in passato sia rimasta solo cenere.

Si pone insomma la questione della rivoluzione, parola che incute pudore e, forse per questo, lasciata per troppo tempo alla lingua biforcuta dei pubblicitari. La migliore critica radicale ha saputo, con anticipo di decenni, cogliere il movimento storico della civiltà occidentale nella sospensione tra i poli dialettici della rivoluzione e dell’apocalisse. Oggi, in molt* siamo in grado di vedere l’apocalisse nel quotidiano, in pochissim* le possibilità della rivoluzione. Eppure sentiamo quanto la rivoluzione sia necessaria per proteggere l’amore, la dignità e tutto ciò che rimane di bello in noi e nella vita. Servono l’impensabile e l’indicibile per dissolvere la pesantezza d’acciaio dei rapporti dominanti.

Il termine rivoluzione indica anche la rotazione intorno al proprio centro. Chissà che non sia il ritorno al fuoco delle origini dell’anarchismo italiano – i tentativi insurrezionali dei primi internazionalisti mutuano molto delle forme di lotta e della mentalità dei moti contadini – ad arridere alle prospettive di liberazione di oggi; chissà che due amanti, rimasti distanti troppo a lungo, non possano ancora generare l’inedito.

In questa due giorni, più che risposte a levarsi saranno questioni e interrogativi. Sarà, crediamo, proprio il loro intrecciarsi ad essere prezioso, come crediamo sarà prezioso il co-abitare uno spazio costruito perché sia luogo di confronto, quindi luogo di cura.

Che le relazioni, che abitiamo e che ci fanno, siano, possano e debbano essere spazi di cura – in un ecosistema che oltre al sé e al noi con-prenda ciò che vi partecipa a prescindere dal nostro “saperlo” – è infatti un senso ulteriore che ci ha fornito la spinta a proporre e organizzare questo incontro.

Un incontro i cui fuochi tematici si alimentano a vicenda e che ci auguriamo possa avvicinarci alla soglia di un altrove e di un altrimenti.

Indicazioni pratiche (IMPORTANTE!)

L’iniziativa si svolgerà nel territorio di Polizzi Generosa (PA). Il modo migliore per arrivare nel luogo che ci ospita è in macchina. In alternativa ci sono dei bus da Palermo per Polizzi Generosa (Sais Trasporti è il nome della compagnia che effettua la tratta).

L’area campeggio è un uliveto di bassa montagna, in cui sono allestite delle compost toilets e sono presenti dei punti acqua.

Porta il materiale da campeggio di cui necessiti; inoltre, porta una tazza/bicchiere (piatti e posate li troverai qui), luci e/o frontali sono necessarie (nell’area campeggio non c’è luce elettrica).

Sulle condizioni meteo, grande è il dubbio: solitamente (sempre che questo avverbio abbia ancora valore d’uso) a inizio ottobre le temperature diurne vanno sopra i 20/22° gradi e le notturne non scendono sotto i 15°. C’è il rischio pioggia: equipaggeremo l’area delle discussioni, dei pasti e del campeggio, in modo da essere vivibile in condizioni di pioggia non violenta (Mahatma Gandhi, patrocina le nostre piogge!).

Le condizioni ecologiche del luogo richiedono di lasciare a casa il cane; cinghiali, daini, cani dei vicini, vicini con pecore e/o capre, sono qui intorno a noi, la convivenza sarebbe difficilissima.

Per le caratteristiche del luogo e per ragioni organizzative, chiediamo di comunicare entro una settimana dall’inizio della due giorni, l’intenzione di venire e il numero di persone se ci si muove in gruppo.

Saranno disponibili dei tavoli per allestire uno spazio distribuzioni.

PROGRAMMA

1 Ottobre

Mattina Arrivi

ore 13:00 Pranzo

ore 15:00 Discussione: “Apocalisse Culturale/Cosmovisioni – Civiltà contadina: storia, presenza, eredità, possibilità”

ne parliamo con Stefania Consigliere e Moffo Schimmenti

ore 21:00 Cena

ore 22:30 Libere Corde – Concerto

2 Ottobre

ore 8:00 Colazione

ore 10:00 Discussione: “Il Sud: terra di conquista, rimozioni, colonizzazioni e….”

ne parliamo con Giuseppe Aiello

ore 13:00 Pranzo

ore 15:00 Discussione: “Il sentimento, la storia e le storie della Rivoluzione”

ne parliamo con alcuni compagni della redazione de “I giorni e le notti”

ore 21:00 Cena

ore 22:30 Proiezioni, musica, danze sfrenate e quello che ci va

Per info e comunicazioni:

scirocco@autoproduzioni.net

strettolibertaria@inventati.org

+39 3896062784

+39 3285749333

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