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Menzogne a colori e realtà in bianco e nero.

La sopravvivenza è l’elemento cardine della non-vita reiterata all’infinito, la distrazione per eccellenza insita nella possibilità (concessa) di emettere ancora un altro respiro. Sopra-vivere è poi uno degli aspetti parte di questa esistenza meccanica dovuta al consumo. Indicando, presto fatto, quale modo è fornitoci per compiere questa azione perno che tiene in vita tutti i mercati. Una classifica necessaria che permetta l’estrazione endovenosa di libido altrui, in un mondo in cui sopravvivere significa essere in grado, al c.d. “momento giusto”, di sferrare colpi micidiali nei confronti di ’altrx’, sempre e comunque a beneficio dei guardiani. Si nutrono di tutto ciò che hanno sbattuto spalle al muro, succhiando via il sangue a tutti quei corpi (volutamente resi carapaci) che hanno dapprima relegato ai margini, da un’imbarcazione in balia delle onde nel Mediterraneo sino al cartellino che ogni mattina striscia per avere in cambio stipendio; e poi, fattosi servire come appetizer di un cenone col botto. Ed i loro simboli del sopravvivere li hanno cosparsi ovunque; nelle città, nelle campagne, in petto. CPR, galere, leggi liberticide (quale legge di Stato non lo è?!), strade sempre più deserte e popolate da FF.OO. ed esercito, apparato legislativo sempre più spiccatamente armonizzato a livello europeo nel considerare lx stranierx come qualcosa da contenere e ricacciare, detenendo e deportando quante più persone possibile, legittimando sempre più il modello dei campi di concentramento, particolarmente al di fuori delle proprie frontiere; elementi, questi, che concorrono alla bellicizzazione del mondo e delle persone che lo abitano.

La colonia è nettamente divisa: da un lato l’estrazione di valore ad ogni costo (attraverso il mercato del turismo e tutte le sue orrende conseguenze sui territori e chi li abita, per esempio); dall’altro, l’adoperarsi dello spazio violentamente conquistato come carcere-caserma, trincee di guerra. La linea di confine è tracciata da avamposti armati: sbarre di ferro, telecamere ed olezzo di sofferenze. Una rete gialla, asfalto, un muro grigio con una rete gialla, sbirri, una rete grigia e poi l’effetto concreto della frontiera. Il sangue sacrificale dello squallido rito del capitale, un serbatoio di vita reclusa dalla quale attingere sofferenza rigenerante per gli stessi boia che la concepiscono. Braccia conserte e sguardi malati custodiscono nel nucleo del non-luogo figlx del mare, strade percorse per l’ennesima volta e sogni infranti da gabbie alte svariati metri. Una mimetica come un sacco di patate, sbuffa fumo osservando il teatrino della morte insensata e con bastoni elettrizzati aizza la rabbia di reclusx. Bestie da ostentare nel loro potenziale distruttivo, cucitogli addosso, però, da quel mondo che di loro ne fa circo; negre, tunisini, troie, froci, marocchine, filippino, donna delle pulizie, fango, merda, reietta, fogna, fetore… suicidi e sofferenze, lesioni ed auto-lesionismo, overdose da farmaci, omicidio, rimpatrio, catene, bombardamenti, spossesso, soffocamento…

Ma cosa sono questi se non (anche) avamposti militari? Non-luoghi di sofferenza imposta da una legge marziale, quella della guerra, simbolo nella loro dimensione più concreta di confini organizzati per respingere ed incarcerare il più possibile. La Sicilia, una piattaforma in mezzo al Mediterraneo che lo Stato, con la complicità europea, trasforma in hub della guerra e della detenzione giorno dopo giorno. Mentre all’ombra della stessa complicità allarga senza sosta il network del confinamento e della guerra: dalla costruzione di nuovi luoghi di detenzione, di basi militari, di infrastrutture tanto fisiche quanto della comunicazione, di strade; a rinnovate reti digitali ed integrate per il controllo non solo del territorio, ma anche di operazioni extra-territoriali (vedasi la massiccia presenza statunitense sull’isola oppure il ruolo dell’antenna MUOS di Niscemi, vedasi anche il continuo passaggio e rifornimento -tanto a terra quanto in volo- di aerei miltari dai cieli della Sicilia diretti verso diversi obiettivi di guerra). Campi di concentramento dove persone vengono abbandonate come rifiuti in aree extra-urbane, ai confini, lì dove le cose si fanno sempre meno nette, tranne che quelle prepotentissime reti che assumono, invece, una forma sempre più solida e concreta, sorvegliate da telecamere e sicari emettono il suono stridulo delle catene; si sfondano, però, ogni qual volta cucendosi le voci ed i fischi e le battiture, da un lato e l’altro di quella maledetta frontiera (l’ennesima), piombano contro i detrattori della vita e rivendicano inscindibilità in dispetto ad un mondo sempre più segmentato e, di conseguenza, sempre più isolato. Musica, fischi, pietre battenti, vernice scorticata da quei pali conficcati in quella terra confiscata per farne carcere.

“La guerra è alle porte”?! No! La guerra è entrata a gamba tesa nel nostro abitare quotidiano. Ed all’elenco potenzialmente infinito della complicità dello Stato italiano negli scenari di guerra che si dipanano tanto in Medio-Oriente quanto nel Nord-Est europeo si aggiunge la totale messa a disposizione del suolo siciliano da parte del ministro Crosetto per l’addestramento dei piloti dei caccia militari F-35. Così “la Sicilia sarà sarà il primo luogo al di fuori degli Stati Uniti dove verranno formati i piloti degli F-35-continua il ministro- come siamo l’unico Paese al mondo dove vengono assemblati gli F-35, a Cameri”. Segue Guido Crosetto dalla base di Decimomannu: “Perché il futuro si costruisce non limitandosi alla difesa ma facendo diventare la difesa un motore sociale, economico e di innovazione tecnologica. E questo ne è l’esempio”.

Lo spossesso è totale, dalle coste sino all’entroterra. Nuove infrastrutture del trasporto, dal ponte sullo Stretto, alle nuove ferrovie e strade; luoghi di estrazione di energia così detta green; avamposti e aree d’addestramento militare; ed, ancora, luoghi di carcerazione. Tutto è impostato sulla falsa riga della guerra (’Webuild’ che allestisce “campi di reclutamento ed addestramento” per la forza lavoro dei sempre più numerosi cantieri che vengono loro affidati). Ed in un territorio sempre più invaso da militari ed occupato da carceri di varia tipologia non può che acuirsi il livello della repressione e della prevenzione di eventuali forme del dissenso, trasformate ormai quasi integralmente in fattispecie penali in grado di far combinare anni di galera a sempre più persone. E non si contano i corti circuiti costituzionali che si esprimono: lo Stato incarcera, tortura, uccide ed insabbia. Il mercato detentivo ed il mercato della guerra non possono soffrire di alcuna forza di inceppamento, poichè oltre ad essere evidenti e copiose forme di guadagno, sono le modalità di una società che serra i confini e deporta; militarizzando, contemporaneamente, la quotidianità che ognunx di noi vive.

Molteplici gli intrecci tra grandi dell’industria bellica ed infrastrutturale; ed altrettanti i rapporti che si stabiliscono tra istituzioni e quest’ultimi. Per quanto riguarda il gruppo Webuild e l’apparato detentivo si riportano (di nuovo) gli accordi siglati con il Ministero della giustizia per la messa ad impiego di circa venticinque mila persone detenute, che verranno impiegate da Webuild nel compartimento “grandi infrastrutture” e cantieri del PNRR. In cooperazione con il CNEL, il Ministero della giustizia, contemporaneamente, inaugurava un nuovo programma intitolato “Recidiva zero”, un programma che mira alla costituzione di un sistema centralizzato di estrazione forza lavoro dagli istituti detentivi ponendo, ancora una volta, il focus sul rapporto tra lavoro ed interruzione della “devianza criminale” come perno di un mondo, quello detentivo, che si prepara non solo ad ospitare sempre più persone ma che, anche, si conforma progressivamente come un mercato che risponde a logiche di profitto e congiuntamente anche al ruolo di simbolo del potenziale repressivo/punitivo dell’istituzione statale dinnanzi a quantx consideratx devianza e, di conseguenza, criminalizzatx. Non sembrerebbe dunque una forzatura asserire la cooperazione a carte scoperte tra istituzioni statali e grande industria, combaciando con le sempre più manifeste intenzioni di privatizzazione del compartimento carcerario, lo sforzo del legislatore di garantirsi ancora maggiori spazi nel combinare pene carcerarie. Ma un aspetto dev’essere ancora sottolineato: l’ambito detentivo nella sua accezione più generale è da sempre stato luogo di interessanti profitti, come testimonia il prepotente ingresso di parte del terzo settore, che assume sempre più incarichi nel circuito detentivo. Dalla conclamata Medihospes, semi-monopolio della cura della persona e gestione dei migranti, all’interno di CPR (vedi Albania), negli hotspot per migranti (vedi Messina) o nei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria); sino alle agenzie per l’impiego, spesso intrecciate con le stesse cooperative che si occupano di questi luoghi di localizzazione forzata e che speculano sulla possibilità di arruolare mano d’opera a prezzi irrisori, sfruttabile, sfruttata e facilmente ricattabile. Ma il possibile elenco di esempi dell’infiltrazione del compartimento privato nel mondo della detenzione non si fermerebbe qui; si potrebbe citare la posizione di Amazon alle Vallette, il carcere di torino o quella di RFI al carcere di Opera; oppure, Grandi Navi Veloci (azienda di MSC) che impiegò le proprie imbarcazioni come navi quarantena per migrantx durante la dichiarata pandemia da covid; la nuova legge sicurezza che aumenta lo sgravio fiscale per le imprese che assumono o aprono contratti di apprendistato a persone detenute.

La narrativa dell’intruppamento e dell’addestramento difatti permea quella di Webuild che si vuole costituire sempre più come giocatore fondamentale nel contesto sociale nel quale espande i propri interessi. Un meccanismo che si rivela fondamento delle modalità d’infiltrazione a tutto campo dei diversi portatori d’interessi: sempre Medihospes, per esempio, diventa un soggetto quasi fondamentale per le prefetture che si trovano a dialogare con la cooperativa in quanto onnipresenti nei centri per migranti, da quelli detentivi a quelli della così detta accoglienza. Allo stesso modo la neo-struttura del capitale bellico si espande facendo leva sul disagio disoccupazionale ed inserendosi a tutto campo nei programmi istituzionali per fronteggiare (per l’appunto) il disagio collegato alla disoccupazione. Questo modus operandi rende determinati soggetti del mercato fondamentali all’apparato statale, mitigando gli effetti concreti della sua costante perdita di legittimità dovuto al galoppare del compartimento privato, si mira alla facile ma ingannevole identità lavoro=stipendio=vita. Ed è anche così che l’industria si impone come necessaria nelle sue propagazioni territoriali.

“CANTIERE LAVORO ITALIA”, accordo inaugurato a Belpasso (CT) nel 2024, evento coinciso con la firma dei “Protocolli d’intesa per la formazione e l’impiego” tra il Gruppo e le regioni Sicilia e Calabria, in seguito esteso anche con la regione Campania è un’esempio chiaro di quanto scritto poc’anzi. Proprio a Belpasso viene impiantata “Roboplant: la fabbrica di conci automatizzata e green”; una fabbrica di conci che vengono poi installati nelle diverse gallerie che interessano i cantieri ferroviari a gestione Webuild. “Un modello- dicono- da esportare in Italia e nel mondo”. Spazio all’automatizzazione “green”, una sostenibilità sostenuta al costo di ettari ed ettari di terreno sacrificati per impiantare tecnologie atte all’estrazione del fabbisogno energetico necessario alla nuova industrializzazione. Tutte infrastrutture che assumono carattere strategico divenendo perno non solo dei prospetti occupazionali di una macro-area territoriale colposamente afflitta da povertà e spossesso, ma anche pietra miliare della nuova forma del capitale, quella dell’algoritmo. Recita Webuildvalue, rivista online del gruppo: “A guardarli sulla cartina, i tracciati delle nuove infrastrutture che attraverseranno l’isola, compongono una fitta griglia che si dirama da Sud a Nord e da Est a Ovest mettendo in connessione i centri principali, a partire da Ragusa, Catania, Enna, Caltanissetta, Messina, Palermo”. Nell’insieme vengono definite dal magazine online “opere essenziali per la modernizzazione dell’isola”, una missione che può essere compiuta solo da quelle persone che hanno dapprima dovuto abbandonare le loro terre ed oggi si trovano (forzosamente?) complici dei loro stessi aguzzini di una vita. Infatti quella fitta griglia è, in termini occupazionali, “un’occasione per tornare a casa”. Ancora una volta sopravvivenza concessa a prezzi esorbitanti. Come nelle mobilitazioni delle grandi guerre bisognava difendere quella stessa “madre patria” che non ha esitato a lasciar morire la gente “arruolata ed addestrata” nelle trincee del “progresso”; allo stesso modo oggi, in un mondo iper-specializzato, le truppe del progresso si rendono sempre e comunque necessarie. Le trincee? I confini dove si espande/contrae la struttura del famelico sistema di capitale. Gli eserciti? Affamatx arruolatx tra le fila di cantieri (anche) per la disseminazione di nuove infrastrutture che, tra le altre cose, sono necessarie alla logistica di guerra. Autostrade il cui manto va rifatto per permettere a determinati mezzi (cingolati) di percorrerle con maggiore agilità o ferrovie che vengono adattate alle necessità logistiche di trasporti sempre più rapidi e sostanziosi, siano queste persone, soldati, armi o capitali. E se un tempo la propaganda travisava il servizio militare come un’occasione per viaggiare e vedere il mondo, oggi, il servizio (quello dei cantieri) viene sponsorizzato come una buona occasione per un riscatto psico-geografico che garantirebbe l’inversione di quei flussi di persone da sempre in uscita (da Messina vanno via circa due mila persone l’anno). Sul sito della trans-nazionale molteplici le video-interviste di personale che racconta una favoletta intrisa di stereotipi, cui sunto è la glorificazione di Webuild per permettere questa re-migrazione meridionale. Il dipinto di terre abbandonate, il caffè buono e la brava signora che serve i panini con prodotti locali a chi sta lavorando sulle tratte ferroviarie, conterranei spediti sul fronte dell’infrastruttura.

“Il campo base da cui partono idee e macchinari per la costruzione della linea che cambierà la Sicilia si trova al chilometro 58 della Strada statale 192, nei pressi della località Gerbini. Un luogo sconosciuto, circondato da distese di aranceti che si estendono a perdita d’occhio lungo una pianura infinta, e punteggiato di poche ma essenziali attività economiche. La pompa di benzina, il bar dove il caffè è buono, un piccolo forno con un angolo salumeria che confeziona panini e prodotti tipici per i lavoratori del cantiere. Il campo base è invece un centro di assoluta vitalità dove si dorme, si mangia, ci si confronta, ma soprattutto si lavora. Negli uffici i progetti prendono forma e assumono la sembianza dell’operatività.” Ecco un paragrafo del magazine Webuildvalue che riassume la mistificazione della loro presenza colonizzante. La routine di terre deserto contro la “vitalità” dei loro campi base e cantieri. Menzogne a colori e realtà in bianco e nero.

Un tempo le trincee, un tempo Pirelli, un tempo Fiat, un tempo una lineaferrata dritta che taglia esattamente a metà quest’isola o che si ritira tatticamente sotto le montagne (come nel messinese, lasciando le coste ad altre “operazioni del capitale” possibili). Sempre e comunque trincee da cui viene sferzata la guerra contro l’esistenza, da cui si impone lo squallido esistente.

La spaventosa e terribilmente concreta favoletta del ponte sullo Stretto incombe sulle persone e sui territori e mentre il gruppo Webuild (capofila Eurolink consorzio affidatario dei lavori di costruzione del ponte e cantieri affini) attende per poter banchettare di tutta la carne da? loro ammazzata con il via libera del CIPESS e la cieca brama di governantx, assume sempre più commissioni di cantiere in diverse parti d’Italia. Solo nel Meridione vi sono diciannove proggetti in corso, “per un valore aggiudicato di circa tredici miliardi di euro”. Le fabbriche di produzioni dei conci non si fermano alla sopracitata Roboplant, infatti altri due siti di produzione dei conci a gestione ibrida manuale/automatica sono stati inaugurati vicino Belpasso (Etnaplant) ed un’altra a Bovino. Con la complessiva capacità produttiva di “due conci ogni sette minuti” e “quarantotto anelli al giorno”, la costruzione di gallerie nelle diverse tratte ferroviarie AC/AV e nei diversi lotti autostradali segue a spron battuto; il ticchettio dell’invasione. “In Sicilia, Webuild è attualmente impegnata nella realizzazione del Lotto 1 dell’asse autostradale Ragusa-Catania e di sette tratte ferroviarie sulla direttrice Palermo-Catania-Messina. Sulla direttrice Palermo-Catania, sta realizzando: il Lotto 1+2 (Fiumetorto- Lercara Diramazione), il Lotto 3 (Lercara- Caltanissetta Xirbi), il Lotto 4a (Caltanissetta Xirbi- Nuova Enna), il Lotto 4b (Nuova Enna- Dittaino) e il Lotto 6 (Bicocca- Catenanuova). Sulla linea Messina-Catania sta invece realizzando il Lotto 1 (Fiumefreddo- Taromina/Letojanni) e il Lotto 2″ (Taormina-Giampilieri)”. Questo solo in Sicilia, risalendo per la Calabria, per la Campania, per la Basilicata, per la Puglia e continuando verso il Nord della penisola, i lotti di cantiere si moltiplicano e moltiplicano. La Statale Jonica 106, in Calabria; la linea alta velocità Salerno-Reggio Calabria e Napoli-Bari; la Nuova Strada Statale Cagliaritana; metropolitana, infraflegrea e linea cumana tra Napoli e circondario; l’ospedale Monopoli Fasano. Questi sono parte dei progetti in corso d’opera solo nel Sud Italia da parte del gruppo, la cantierizzazione di sempre più spicchi di territorio, che via via viene sottratto alle persone per permettere al Sud di avere infrastrutture “nuove e sostenibili”. Ma il loro ’nuovo’ è fatto sulla negazione ed eliminazione totale del ’vecchio’ e lo stesso il loro ’sostenibile’, costruito sulla distruzione e sostituzione della vita vissuta con non-vita futura. Un’imposizione di scambio sempre a perdere, barattare la propria esistenza in virtù di non precisati benefici futuri, l’inno alla sopravvivenza.

Mentre il nuovo mondo si organizza e si espande ci si rende conto che c’è sempre meno spazio per la vita. La voracità con la quale il grande buco nero del loro “progresso” fagocita tutto ciò che incontra è spaventosa; ci sono molteplici esempi di ciò di cui sarebbe capace la trans-nazionale, il cui curriculum vanta una lista infinita di devastazioni irreversibili, di operazioni di ghettizzazione ed eliminazione della vita in virtù di strade, ponti, ferrovie, turbine idro-elettriche, basi militari etc. etc. etc. L’utilizzo della semantica bellico-militare è ancora una conferma di quanto la presenza del gruppo parrebbe potersi equiparare ad un’invasione vera e propria. Troppo spesso quest’invasione viene concessa a mani basse da amministrazioni compiacenti e contorte nello squallido gioco del mondo-impresa; in cambio di briciole (di solito ulteriore cemento, vedasi le così dette “opere compensative”) vengono concessi loro sempre più spazi, il che si traduce quasi sempre in sottrazione di porzioni di vita precedentemente presente. Così mentre dai tubi non scendeva manco l’ultima goccia d’acqua?, sul versante sud del messinese operava una talpa (TBM, ossia Tunnel Boring Machine), una fresa meccanica che sembrerebbe necessitare mille litri d’acqua al minuto per scavare una tana devastante nel cuore della montagna. Mentre il deserto avanza su ogni versante promettono ulteriori opere (invasioni) per depurare e/o dissalare l’acqua e, dunque, ovviare ad una crisi che loro stessi ci infleggerebbero, volendo prosciugare di ogni humus vitale anche queste zone del pianeta. Ed intorno a loro rappresentanti e politicanti di varia tipologia cercano di arraffare tutto l’arraffabile, in termini tanto materiali quanto di squallida notorietà, facendo strazio della vita aprono la pista ai nuovi conquistadores, pronti, questi ultimi, ad acquistare quanto gli viene svenduto da salottierx localx. Un intero quartiere sotto scacco è, per adesso, l’unico vero effetto delle operazioni volute nel complesso cantieristico Webuild. Contesse, il Villaggio UNRRA e le zone circostanti che sono afflitte in maniera (ancora) parzialmente indiretta conoscono empiricamente l’esperienza di code infinite di camion, insistenza di terre contaminate nelle aree circostanti l’abitato, polvere e menzogne. Un modus operandi predatorio, quello di Webuild, che di già sembrerebbe restituire nefaste conseguenze in diversi territori e che incombe sempre più anche sull’abitato dello Stretto nella sua accezione più ampia. Solo sul versante messinese, quanto sta accandendo ora tra Contesse ed il Villaggio UNRAA vedrebbe replicate le stesse modalità su più vaste aree costiere e non, dalla jonica alla tirrenica, contaminando e sequestrando di fatto un’area abitata, quella dello Stretto, da circa un milione di persone.

Che fare di fronte all’apparentemente inesorabile avanzata di questo mostruoso colosso? Quali pratiche opporre ad un mondo che infligge ogni giorno sempre più guerra e devastazione? Come resistere davanti alla squallidissima avanzata del capitale? In che modo territorio e libidine possono diventare inceppamento in questo meccanismo di devastazione garantita? Davanti ad una tale complessità non ci si può certo raccontare di avere delle risposte definitive ed universalmente valide, possiamo quantomeno decidere di tornare alle nostre quotidianità con sempre meno sassi nelle scarpe; cercando di organizzarci ed infrangere quella membrana che ci vorrebbe, invece, sempre più solx.


12 LUGLIO-ORE 18:00- CORTEO CONTRO LA COSTRUZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO- CONTESSE- MESSINA.


“IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO”; “CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE”

Riceviamo e diffondiamo da Materiale Piroclastico

IL CARCERE DI BICOCCA E’ UN LUOGO DISUMANO

“Un silenzio assordante, di quelli che fanno un rumore, circonda il complesso penitenziario Bicocca di Catania. Un silenzio che fa salire la rabbia e chiede vendetta. Sì perché quel silenzio è carico di odio, di ingiustizia, di isolamento e repressione. Dentro quelle mura esterne, si trovano, separati ma assieme, reclusx giovani detenutx e detenutx in alta sicurezza, anime che condividono sotto regimi diversi la stessa tortura, quella dello Stato.” Il carcere di Bicocca a Catania è un luogo disumano, e per la prima volta, il 13 Aprile del 2025, solidali hanno rotto l’isolamento di questo luogo: (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/04/15/catania-saluto-al-carcere-di-bicocca/)

Per farlo, in preparazione, sono state scritte queste pagine che raccontano, attraverso testimonianze e dati raccolti, la vita all’interno di quello che ai nostri occhi risultava invalicabile e disumano; queste racchiudono la sofferenza e l’unione di due luoghi, difatti il Bicocca, diviso solo da un muro di cinta, tiene insieme un carcere minorile ed un carcere ad alta sicurezza. Prevaricazione, razzismo, violenze, somministrazioni di psicofarmaci e repressione, quello che stato e guardiani hanno scelto di collocare fuori città, a ridosso della zona industriale, dove adesso sorgono i cantieri di WeBuild, azienda costruttrisce del raddoppio ferroviario, della ristrutturazione di aree di sigonella e non ultima azienda che si è assicurata la costruzione del ponte sullo stretto. La stessa che nel 2023 ha firmato un protocollo d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) per favorire il reinserimento sociale e lavorativo dellx detenutx attraverso l’assunzione e la formazione. Accordo che mira a creare nuove opportunità di sfruttamento per lx reclusx, combinando il supporto professionale con lo sviluppo delle infrastrutture. Quella volta, da alcunx solidali, è stato urlato: “torneremo”. Il motivo per la quale si diffonde questo testo è nella speranza di rendere accessibile a tuttx la rottura dell’isolamento a cui sono costrettx adultx e minori.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RIMANGANO ALTRO CHE MACERIE

Catania, aprile 2025


CARCERE DI PIAZZA LANZA – DETENZIONE CENTRALE

“C. detenuta nel carcere di Piazza Lanza racconta una prassi abominevole perpetrata dai guardiani, esseri dalla quale ci asteniamo da giudizi in quanto i loro gesti non si qualificano come tali. Una volta che si viene tradotti in un altro carcere, senza alcun preavviso e senza alcuna informazione su dove si andrà a finire, i secondini ti buttano dentro la cella due sacchi della spazzatura dicendoti “preparati”. Questa prassi viene condita da frasi che paragonano le detenute a spazzatura: “un po’ di immondizia è andata via, ora vediamo quale altra immondizia arriva”. Ma “non siamo dell’immondizia siamo delle persone umane che abbiamo sbagliato”. Il carcere di Piazza Lanza, nel pieno cuore di Catania, dopo tanti saluti effettuati dai solidali (https://brughiere.noblogs.org/post/2025/03/13/catania-saluto-al-carcere-piazza-lanza/) è stato passaggio fondamentale della mobilitazione scesa in piazza il 17 maggio contro il DL 1660. Affinchè tuttx le persone che attraversassero quel luogo fossero consci delle violenze che ogni gabbia ripropone sui corpi dellx reclusx, sono state scritte queste pagine, che qui diffondiamo. Fondamentali, oltre ai dati raccolti, sono state gli ascolti di chi c’è stato dentro, come C. che in un’intervista radio ha raccontato le violenze che i guardiani perpetrano alle donne recluse nelle sezioni di questa prigione. Ad oggi il carcere conta un sovraffollamento tra i più alti in Italia, le reclusx battono ed urlano dalle finestre: “siamo stanche di stare qui”. Difatti, una delle lamentele che più torna, sia dai racconti, sia dai saluti effettuati è lo totale inesistenza di attività, ed il tempo scorre lento segnando di fatto irremidiabilmente la vita di chi è reclusx. Nella speranza che saluti e mobilitazioni continuino a toccare questo luogo disumano, diffondiamo queste pagine affinché possano essere strumento per rompere l’isolamento, e portare solidarietà e vicinanza a chi si sente solx.

AFFINCHE’ DI UNA PRIGIONE NON RESTINO CHE MACERIE

Catania, maggio 2025


COSA SONO I CPR? PARLIAMONE IN VISTA DEL PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO DEL 28 GIUGNO

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa. 

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio. 

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 



Sabato 28 giugno 2025:

-Cpr Trapani-Milo: presidio solidale h 16.00 nel prato adiacente all’ingresso;

-Messina: corteo per la Palestina (seguiranno maggiori informazioni).


PER IL TESTO DELLA CHIAMATA AL PRESIDIO: SICILIANOBORDER


“ZONE ROSSE- LA GUERRA È QUI IL NEMICO SEI TU!”

“ZONE ROSSE- LA GUERRA È QUI IL NEMICO SEI TU!”

A cura di: Materiale Piroclastico

Diamo diffusione ad un appendice di “PRIMI PASSI…ATTRAVERSO IL DDL SICUREZZA VERSO UNO STATO DI GUERRA”,

“Un provvedimento fascista che cerca di disciplinare il disagio sociale creato dalle ormai enormi disparità economiche vigenti: con la repressione, educando la popolazione ai comportamenti corretti o a “sgomberare il passo” se non ha grosse possibilità economiche per consumare. La zona rossa guadagna a pieno titolo di rientrare tra le misure che contribuiscono alla trasformazione del territorio in direzione colonialista assottigliando ogni giorno di più le differenze tra la gestione dei Territori Palestinesi Occupati militarmente e la gestione poliziale di una grande città del “democratico occidente”. (file lettura e stampa in fondo alla pagina)


Un necessario e quanto mai immediato aggiornamento sulle prove generali delle operazioni di controllo e repressione che prevede il DDL SICUREZZA.  L’istituzione delle così dette “zone rosse” nella città di Catania, tra le altre, ha dato un’immediata dimostrazione di una parte del carattere sempre più dichiaratamente autoritario dello Stato e dei suoi governi. Ancora una conferma della preparazione alla guerra totale, sia al di fuori dei confini nazionali che al loro interno.

Un estratto da “PRIMI PASSI…ATTRAVERSO IL DDL SICUREZZA VERSO UNO STATO DI GUERRA”, a cura di Materiale Piroclastico:
“È la preparazione della guerra in altri ambiti – politici e sociali – che da lungo si preparano ad essere qui arrivati ad un punto di svolta. Dopo i passi che la legislazione emergenziale ha approntato in questi anni, con il ddl 1660-1236 è la volta di scoprire le carte, con un bel salto in avanti. Il terreno è finalmente fertile per l’accrescersi del sentimento patriottico, il pozzo è avvelenato, la costruzione del nemico è ultimata, le forche sono distribuite ai passanti.”


STAMPA E DIFFONDI:

1)Versione_lettura

2)Versione_stampa

 


NUOVA PUBBLICAZIONE (PRIMA VOLTA IN ITA): PREPARARSI ALLA TORMENTA. RIFLESSIONI ANARCHICHE SULL’ORGANIZZAZIONE

NUOVA PUBBLICAZIONE (PRIMA VOLTA IN ITA):

[Di Grupo Tensión (Madrid), Afilando Nuestras Vida , febbraio 2024, 44 pp.]

“PREPARARSI ALLA TORMENTA. RIFLESSIONI ANARCHICHE SULL’ORGANIZZAZIONE”

Ed. italiana a cura di La Riada & Robin Book

“Quali contribuiti, quali esperienze troviamo nel nutrito arsenale delle idee anarchiche, rispetto a strumenti così comuni come l’organizzazione, l’assemblea, la conflittualità, la progettualità, l’azione diretta o le relazioni tra individui e collettivo? Cosa intendiamo per conflitto, attacco, azione diretta, sabotaggio, agitazione? Qui troverete un punto di partenza per porci queste domande a partire dall’esperienza pratica dei gruppi d’affinità anarchici, cellula primordiale di un invariabile numero di possibilità orientate al conflitto permanente come unica via per evitare la pacificazione e l’integrazione nelle logiche del sistema.”

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Il testo che avete tra le mani è stato scritto da alcunx compagnx di Madrid nel 2023. Perché abbiamo deciso di tradurlo? La necessità di dare diffusione a questo testo anche in Italia nasce innanzitutto dalla consapevolezza di vivere in un momento storico in cui l’avanzata repressiva, diventata sempre più capillare e tentacolare, rende evidente l’esigenza di dotarsi di strumenti d’analisi e d’azione per prepararsi alla tormenta. Spinta da questa urgenza, e dal desiderio di dare spazio alla circolazione/condivisione di idee e pratiche a diverse latitudini del globo, nasce La Riada.

La Riada è un fiume in piena che vuole rompere gli argini di questa civiltà mortifera.
La Riada è straripamento, esubero, eccedenza.
La Riada vuole traboccare, perché gli schemi di questa società le stanno stretti come catene, quelle stesse catene che Stato e padroni utilizzano per tenerci legati al vuoto delle nostre esistenze, rassegnate a un presente di miseria e oppressione.
La Riada è contro la delega, per l’azione diretta e la sovversione dell’esistente.

La Riada vuole distruggere ogni gabbia.
Con un pensiero a chiunque lotti contro le galere, a chiunque continui a bruciare quei centri di detenzione e rimpatrio, a tutte quelle persone che quotidianamente sfidano la fissità dei confini, a chiunque resista e combatta questa macchina fagocitante e distruttiva. Ad ogni compagnx con lo sguardo incendiario che non permetterà mai a nessuno di occultarlo né tantomeno di spegnerlo.

“Ad ogni insurrezione, personale o collettiva che sia, ad ogni diserzione, e che queste si moltiplichino infrangendosi contro il loro regno del cieco asservimento.”

“La cospirazione anarchica assume molte forme.”

FILE STAMPA

FILE LETTURA

FILE LINGUA ORIGINALE (SPA)


“PRIMI PASSI…ATTRAVERSO IL DDL SICUREZZA VERSO UNO STATO DI GUERRA” a cura di Materiale Piroclastico

“PRIMI PASSI…ATTRAVERSO IL DDL SICUREZZA VERSO UNO STATO DI GUERRA” a cura di Materiale Piroclastico

SABOTARE/ DISERTARE

CONTRO LA GUERRA E GENOCIDIO COMPLICI CON I DISERTORI DI TUTTO IL MONDO

Riceviamo e diffondiamo questo opuscolo a cura di Materiale Piroclastico.

 

“È la preparazione della guerra in altri ambiti – politici e sociali – che da lungo si preparano ad essere qui arrivati ad un punto di svolta. Dopo i passi che la legislazione emergenziale ha approntato in questi anni, con il ddl 1660-1236 è la volta di scoprire le carte, con un bel salto in avanti. Il terreno è finalmente fertile per l’accrescersi del sentimento patriottico, il pozzo è avvelenato, la costruzione del nemico è ultimata, le forche sono distribuite ai passanti.”

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STAMPA E DIFFONDI!!

Di seguito i file di lettura e stampa:

Versione_lettura_primi_passi…attraverso_il_ddl_sicurezza_verso_uno

Versione_stampabile_“Primi_passi_attraverso_il_ddl_sicurezza_verso

 


“CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO”

“Quest’ultima goccia non fa traboccare il vaso di acqua ma, per l’ennesima volta, rende piena d’incertezze e lascia a sè stessa una cittadinanza sempre più delusa.

Non vi sono zone della città che non siano in qualche modo colpite dalla mancanza di erogazione idrica nelle abitazioni. Intere palazzine a secco da giorni, alcune superano la settimana. Segnalazioni arrivano da ogni angolo, da Punta Farosino a Larderia, ove si possono constatare variegate situazioni di disagio. Probabilmente la suddivisione in aree di gestione dell’emergenza voleva suggerire una localizzazione del problema, facendo trapelare il totale essere sotto controllo della mancanza d’acqua. Ma la realtà suggerisce un quadro molto più ampio e fosco. Il piano d’emergenza emesso dall’AMAM fa “acqua” da tutte le parti, triste metafora in questo momento. In fin dei conti sembra solo aver riempito le strade di autobotti che invadono la città, affannandosi, nel travasare qualche metro cubo di acqua nei vari serbatoi dei condomini in giro per l’area urbana di Messina. Ad essere messa in discussione non è qui la buona volontà di operatori ed operatrici che cercano di districarsi, anche loro come vittime, in questa nassa piena di disagio e sentimento di abbandono; piuttosto, la riflessione dovrebbe superare la mera ricerca delle inefficienze quotidiane nella c.d. gestione della crisi e non incagliarsi nei tecnicismi infrastrutturali di condutture, inclinazioni e vari livelli di pressione.

Se la frammentazione in aree della città afflitte dalla crisi idrica può dare un’idea di localizzazione del problema, seguendo le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine ci rende presto conto che la mappa dell’emergenza attraversa, se non tutto, un’ingente parte dell’urbanizzato messinese. La gente ha potuto fare affidamento su qualche autobotte o sul proprio ingegno e possibilità organizzativa (in termini soprattutto economici). Ed in questo quadro di essiccamento colposo le beffe non sono affatto poche:

In primo luogo, la privatizzazione dell’infrastruttura idrica, ossia laddove non è possibile impossessarsi dell’acqua, si sono svenduti i rubinetti. Qui subentra ATI, ossia Assemblea Territoriale Idrica, ente pubblico cui compito é la gestione delle varie infrastrutture idriche territoriali, subentrata ad EAS (Ente Acquedotti Siciliani) commissariato da ormai parecchio tempo. Per quanto riguarda la conduttura del messinese, ATI sembrava intenzionata, in un primo momento, a determinare una gestione a carattere totalmente pubblico. Nel giro però di pochi mesi da questo tipo di delibere (nn. 10,16,28 del 22), cambia tutto, e dall’ente si decide di cercare invece un partner privato che co-gestirà l’infrastruttura idrica detenendone il 49% della proprietà. Nel frattempo, alcuni “commissari ad acta” della Regione Sicilia determinano il compimento dell’iter burocratico per dare vita alla Messinacque S.p.a., società cui destino, aiutato dalle continue proroghe di ATI sul bando di ricerca del partner privato per la gestione dell’apparato idrico messinese, sembra voler riservare quel 49 % menzionato sopra. L’ultima proroga portava la scadenza al 10 luglio 2024, data oltre la quale non sembrerebbe esserci stata alcun’altra proroga per il bando; si può presupporre che Messinacque S.p.a. si sia adesso presentata ad accaparrarsi la “conduttura promessa”. 

Le conseguenze di questo passaggio di questa grande fetta di proprietà dell’infrastruttura idrica avranno ripercussioni già immaginabili, prima fra tutte il levitare del costo dell’acqua stessa; beffa oltre il danno in tempi di crisi totale ed assenza di acqua corrente

Ci chiediamo quale ruolo abbiano Comune ed AMAM in questo furto bello e buono. Ci chiediamo se il ricorso al TARdei Comuni, rigettato recentemente, sia bastevole nel garantire a noi tutti e tutte un dignitoso accesso a questo bene primario.-

Già solo questo basterebbe a farci accapponare la pelle, ma le controversie non finiscono qui; prime fra tutte l’incombere della cantierizzazione della città tutta per far spazio al mostro ponte. Che con la stessa prepotenza di chi ce lo impone farà breccia nelle nostre esistenze, determinando uno scossone senza precedenti nelle nostre quotidianità. La domanda sorge spontanea: “ma forse sarà che l’acqua la vogliono portare con il ponte?!

Mentre Webuild, (la stessa azienda incaricata di costruire il ponte sullo Stretto) tiene sotto scacco l’intera area dei villaggi della zona sud fino a Fiumefreddo, Messina resta a secco. Allo stesso tempo, interi pozzi d’acqua sembrerebbero essere dati in totale monopolio ai cantieri. Le loro talpe, scavatrici di tunnel della devastazione, l’acqua per funzionare la trovano sempre; quella per impastare il cemento, sigillo sulla natura, la trovano sempre. Il loro impianto di betonaggio, a Savoca, è sempre in funzione. Assumendo furbamente le sembianze di progresso, il raddoppiamento ferroviario che interessa il messinese ha assunto tutte le caratteristiche che si prospettano per i futuri cantieri del ponte, mentre i mezzi pesanti transitano ormai da mesi nelle aree abitate di Roccalumera, Nizza, Savoca, Sant’Alessio, rendendole invivibili per gli abitanti stessi.

La prepotenza dei portatori d’interesse che, in barba ai dubbi sollevati dalle varie giunte comunali, sembrano procedere a spron battuto, senza troppo badare alle preoccupazioni di chi quei luoghi li abita.

Reputiamo non più sopportabile accettare questa svendita a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Siamo continuamente sotto il ricatto di chi questi luoghi li vede solo come cave di denaro, continuamente sottoposti e sottoposte ad uno stato emergenziale che riduce sempre più le nostre esistenze ad una mera gestione tecnico-amministrativa. La Provincia assiste già alle prime frane; a sempre più persone manca l’acqua in casa; ancora e sempre più su tutti noi pende la spada di Damocle della cementificazione totale, della svendita delle nostre vite tutte ai signori del cemento e della digitalizzazione. Diventerà il loro hub logistico, per le loro merci, per i loro capitali, ma la Vita, in questi luoghi, sembra essere sempre meno benvenuta.

Riappropriamoci della nostra storia, del nostro territorio, delle nostre vite.”

Creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

CREIAMO INSIEME GLI SPAZI CHE SOGNIAMO

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Questo testo è stato redatto durante l’estate del 2024 che ha visto la città di Messina attraversare una crisi idrica, preannuncio di cosa aspetta a quei territori e persone dapprima afflitti dalla desertificazione in progresso e, colposamente, espropriati di ogni funzione vitale per poter poi essere messi a profitto ad ogni costo.

Il testo è composto da una raccolta di informazioni già pubbliche, che messe insieme dipingono il colposo quadro che si cela dietro la messa a secco di intere aree della città (ed anche altrove) o, quantomeno, ne verrebbe a galla una parte. La raccolta è stata possibile anche all’interessamento di qualche persona che ha deciso, in un momento critico per la città come quello di inizio estate, di condividere una raccolta di link ad articoli che ricostruivano il tentativo di vendita a privato di parte dell’infrastruttura idrica del messinese.

Ad oggi non si hanno particolari informazioni circa il proseguo di questo bando di gara, che risulta risucchiato in una dinamica di difesa delle proprie posizioni e contrattazione. La città continua a versare rovinosamente in alternate e frequenti assenze di acqua ed incombe sempre più sovente la minaccia della cantierizzazione totale.

Insomma tutta una serie di intrecci che gravano sulla vite delle persone che abitano questi luoghi e che prospettano, per queste, tempi sempre più duri (eufemisticamente parlando)…

Ma ecco che ad aggiungersi a questa serie horror l’intervento nei cantieri del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo, scavando tunnel si è estratto materiale che, sprigionato, non è di certo amico della vita dell’essere umano, ARSENICO. Si, la situazione, dicono, è rientrata.. ma a pioggia notizie che lo scavo di tunnel, da parte dello stesso contractor, non avrebbero fatto altro che portare con se devastazione ed irreversibili contaminazioni.

Le loro talpe scavano e scavano, stanno arrivando qui…

 

 


NON E’ FORSE QUESTA GUERRA?!

“Non è forse questa guerra?!” è stato scritto cercando di portare nella discussione collettiva, o individuale che sia, alcune tematiche riguardanti gli intrecci tra alcuni luoghi della Terra, nella fattispecie le rive dello Stretto, e le dinamiche predatorie del capitalismo.
La domanda che titola queste riflessioni e colletta di informazioni non vuole essere retorica, ma la messa a fuoco di un totale dilagare della forma guerra. La riorganizzazione dell’economia mondo sul modello del conflitto totale porta con se un alito mortale di cambiamenti e rinnovate frenesie; il nuovo capitale espande i suoi confini e necessita di tutta una rete di rinnovate infrastrutture a questo dedicate.

Nel corso di queste pagine si sono voluti mettere in evidenza alcuni processi o progetti che costituiscono parte degli sforzi indirizzati alla riorganizzazione del territorio sulla base delle necessità di un élite sempre più lontana dalle persone sulle quali impone i propri piani di accumulo. Qui la questione non è prendere il loro posto, bensì puntare un faro sul come e il chi ci affligge una tale prospettiva talmente mefitica e comprendere come scardinarne l’esistenza.

Elemento fondamentale di questa riflessione è il sempre più acuto sistema repressivo che il legislatore sta mettendo in atto nei confini del ‘bel paese’. Un sistema, quello paventato dal nuovo decreto sicurezza, sempre più stringente ed improntato sulla restrizione della libertà delle persone e la loro sempre più eventuale localizzazione forzata nelle varie forme detentive previste dalla genetica dell’ordine costituito. L’intento che ha mosso la stesura delle pagine di “Non è forse questa guerra?!” è stato quello di raccogliere tra loro dei tasselli che agli occhi di chi scrive costituiscono un più complessivo piano di appropriazione delle esistenze o, quanto meno, una replica di quanto già messo in atto altrove tanto nel suo complesso quanto in maniera frammentata. Dal progetto ponte, alle “smart cities” sino agli interessi che si cuciono sui corpi reclusi, migranti, arginati, incarcerati si evince l’esistenza di un filo rosso, pesante come mille catene, che svela gli intenti di quelle manacce che si allungano minacciose su queste zone del pianeta.

Con la coscienza che questa è una delle tante interpretazioni possibili di elementi ed avvenimenti, si vuole porre nel dibattito questo modo di intrecciarli tra loro. Condividere saperi e percorsi di significazione e conoscenza vuole essere un passo verso una sempre più fitta condivisioni di pratiche. Le informazioni raccolte nel corso di “Non è forse questa guerra?!” sono intrise delle emozioni di chi le intercettava e queste pagine non vogliono essere un triste nenia di rassegnazione, quanto un punto segnato in una, necessariamente, più vasta costellazione emozionale che sia invito ad un’azione sempre più di massa, ossia sempre meno mediata da strutture di delega e rappresentanza.


Di seguito viene riportata una parte delle pagine di “Non è forse questa guerra?!”, più precisamente una trascrizione di alcuni interventi fatti nel contesto di un corteo che ha attraversato le strade della città di Messina poco tempo fa:

“QUANDO LA MORTE ARRIVA CHE CI TROVI VIVI!!”

(INTERVENTI IN OCCASIONE DI UN CORTEO CONTRO IL DDL SICUREZZA)

Queste manifestazioni avvengono in un momento preciso che ci conviene mettere a fuoco altrimenti ci troverà impreparati. C’è la guerra nel mondo e tutti i governi stanno provando a stroncare il dissenso, vogliono che siamo carne da cannone nei loro programmi di sterminio e dominio, vogliono impedire alle nostre sensibilità di inceppare questo ingranaggio, di disertare, di urlare che la guerra è il cuore di un mondo senza cuore.

Se un governo, in un momento nel quale il conflitto sociale non è cosi travolgente ed incessante, come ci auspichiamo sia presto, sente la necessità di mettere mano al codice penale, per rivedere ed inasprire le pene previste già dal codice Rocco, scritto in epoca fascista, è perché in realtà si accorge che c’è una crisi di tenuta del loro mondo e che la loro legittimità è erosa istante dopo istante. Il sangue che smette di scorrere nelle vene dei morti, a volte scorre nelle nostre arterie e ci sale fino al volto, facendocelo diventare rosso di vergogna all’idea di non fare abbastanza per smascherare e inceppare la complicità dello Stato italiano e delle sue aziende con il genocidio in corso a Gaza. Ma sanno benissimo, quelli che governano, quelli che guadagnano miliardi fabbricando e vendendo armi, che ogni giorno per le strade, nelle galere, tra gli oppressi e le oppresse possono succedere spasmi di rivolta, può accadere la diserzione, si può scegliere la ribellione.

Cortei, presidi, incontri, chiacchierate fuori dai recinti, ci servono a prendere coraggio; davanti soprattutto a tutto il dispiegamento di polizia, davanti a tutte le camionette schierate per impedire che le nostre coscienze, i nostri dolori, incontrino quelli delle persone per strada, non dobbiamo rassegnarci.. mentre loro blindano il dissenso dobbiamo fare in modo che questi provvedimenti diventino un boomerang e gli si ritorcano tutti contro.

Non ci intimidirete: non smetteremo mai di urlare che sabotare la guerra è giusto, disertare la guerra è giusto, opporsi con i nostri corpi ai cantieri del ponte è giusto. Non ci impedirete di dirlo, non ci intimidirete con il vostro ‘terrorismo della parola’.

Davanti al tribunale adesso sarebbe bello che tutte e tutti coloro che sentono l’esigenza di opporsi a questo decreto sicurezza si prendessero l’impegno a solidarizzare con le persone costrette, da quelle aule, alla carcerazione o a varie misure repressive. La solidarietà è un’arma che non smetteremo mai di utilizzare. Fanno di tutto per convincerci che non ne valga la pena, per farci soccombere a rapporti di forza per nulla favorevoli. Ed invece la determinazione con cui ci stiamo prendendo le strade può farci accorgere che non contano i numeri, ma la qualità con cui questo avviene. Dobbiamo essere pronte a ribellarci, non abbiamo chissà quale possibilità di far si che il Senato interrompa questo decreto fascista, ma abbiamo la possibilità di prendere la rincorsa, di dire che ci fa schifo respirare la stessa aria di digos e guardie e che non ne possiamo più di questo Stato di polizia, di tutta questa gente con il mitra in mano.

Tutte le volte che un conflitto sociale esonda dagli argini nel quale vorrebbero confinarlo, tutte le volte che il malcontento si fa sommossa concreta, sentiamo un coro di pennivendoli parlare di ‘infiltrati’. Noi vogliamo dire una cosa forte e chiara: la violenza permea questo mondo in tutte le sue forme, pervade i rapporti sociali in cui viviamo immersi. Cinque persone muoiono ogni giorno sul posto di lavoro. Settantasette detenuti e sette secondini si sono suicidati nel corso di quest’anno. Milioni di giovani russi ed ucraini sono stati mandati al fronte a morire come carne da cannone. Chi governa ci considera pedine sul loro scacchiere? allora rovesciamolo; dobbiamo riprenderci in mano la vita, la ribellione è il nostro modo di farlo. E “quando la morte arriva, che ci trovi vivi”.

Che sia intifada pure qua..

Il decreto sicurezza non è qualcosa che spunta all’improvviso, è solo l’ultima versione di un processo che va avanti da decenni, che diventa sempre più pressante per le persone che stanno peggio e che hanno meno strumenti, ossia coloro che con più probabilità potrebbero raggiungere il giro di boa e quindi insorgere. Lo abbiamo già visto con il più recente lockdown, momento in cui certe persone non sarebbero potute andare avanti senza l’aiuto delle varie solidarietà. Tutto questo per dire che sebbene il governo Meloni e tutti quelli che gli gravidano intorno non abbiano remore a mostrare tutto il fascismo che è in loro, bisogna anzitutto chiedersi cos’è la siurezza e cosa ci fanno e ci hanno fatto in nome di questa.

Si, contro il decreto sicurezza, ma non dimentichiamoci che questa è un aria che tira da molto più tempo e che, quindi, dovremmo tentare di vedere le cose nel loro raggio più ampio e riconoscere una volta e per tutte questo carattere mostruoso degli Stati e di chi li governa.

Siamo circondati da telecamere, in meno di un kilometro si possono contare svariate decine di telecamere, più tutte quelle mobili dei guardoni di Stato. Da queste parti l’ingente telecamerizzazione della città e la morsa repressiva del decreto sicurezza deve allarmarci particolarmente, non solo per le misure appositamente indicate per chi si oppone alla costruzione di grandi opere, come il ponte sullo Stretto; ma anche per il coinvolgimento di Messina nel progetto ‘Smart cities’. Si siglano accordi per installare migliaia e migliaia di telecamere. Ma quanto una telecamera aiuta le persone ad essere più sicure?! E quanto invece aiuta a ricattarle?!

Ma oltre queste domande, dovremmo interrogarci sulla provenienza di tutti questi sistemi e tecnologie di sorveglianza, infatti sono tutte tecnologie elaborate e sperimentate da Israele sui palestinesi e sulle palestinesi come fossero cavie umane; e se non in Palestina, queste tecnologie di controllo, sono sperimentate nei confini killer dell’Unione Europea, per profilare e deportare persone migranti. Cosa sosteniamo accettando l’installazione di tutti questi occhi elettronici per le città?!

Nel nostro paese durante il fascismo è stato legale deportare gli ebrei, se alla parola ebreo ora sostituiamo la parola clandestino ci renderemo presto conto che non c’è nulla da festeggiare per il fatto che abbiamo una “bella Costituzione”. La Costituzione non ci ha salvato dallo schifo fatto in questi anni, la democrazia è morta!! Si tratta ora di capire a quali risorse attingere mentre questo deserto avanza da tutti i lati; e, certamente, queste piazze sono una prima fonte d’acqua, la possibilità d’incontrarsi, trovare i nostri codici di riconoscimento. Il punto di partenza che potrebbe accomunarci è che il rifiuto ad essere schiavi è ciò che cambierà il mondo. Quindi se lo faremo in maniera tanto individuale quanto comune di certo almeno di un pochino il volto del mondo, che ci appare cosi opprimente e spesso ci condanna all’assillo di un’impotenza a cui comunque non vogliamo soggiacere, potrebbe prendere altre forme. E dovremmo tenere bene a mente che questa possibilità scava nelle nostre vite ogni giorno, in ogni momento dell’esistenza.

Contro la guerra degli Stati dobbiamo renderci conto che dentro di noi è possibile ogni giorno dichiarare guerra all’organizzazione delle apparenze che consente l’allestimento di questo schifo di mondo. Portiamoci a casa la coscienza indelebile che possiamo cambiare la nostra vita ogni giorno, senza introiettare i codici di chi ci vorrebbe vedere obbedire al regno delle gerarchie e dire “si signore”.

Prepariamoci a disertare, facciamo scorrere questa urgenza in ogni luogo delle nostre vite, facciamola dilagare. Non esisterà così nessun cordone di celerini che potrà impedire il diffondersi di sguardi e azioni contro la guerra, contro il ddl sicurezza, contro i loro manganelli…

…DISERTARE È GIUSTO, INSORGERE È GIUSTO!!!

“NO ALLA GUERRA DEGLI STATI È LA SOLA RISPOSTA POSSIBILE IN QUESTO MOMENTO […]. NON UN VAGO PACIFISMO UMANITARISTA […], MA UN’ATTENTA RISPOSTA AGLI SFRUTTATORI E AI DOMINATORI DI OGNI GENERE.”

A.M BONANNO “PALESTINA MON AMOUR”


DI SEGUITO I FILE PER LA LETTURA E PER LA STAMPA:

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IL VOSTRO PROGRESSO, LA NOSTRA COLONIZZAZIONE. NOTE DA SUD, TRA SCILLA E CARIDDI

 

 

Il mese scorso, le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento al pacchetto sicurezza che intende inasprire le pene per chi protesta contro le grandi opere infrastrutturali, come il ponte sullo Stretto o la TAV (tra le tante in corso di realizzazione o di progettazione).

L’emendamento, proposto da un deputato leghista e sottoscritto anche dagli altri partiti di maggioranza, intende colpire chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro la costruzione di una grande opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, rischiando oltre 25 anni di carcere. Si introduce poi una nuova aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale: le pene aumentano “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con armi; o da persona travisata; o da più persone riunite; o con scritto anonimo o in modo simbolico”.

Come se non bastasse, lo Stato potrà anticipare le spese legali agli “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza indagati o imputati per fatti inerenti al servizio”, dunque accusati di violenza nei confronti dei manifestanti; addirittura raddoppiano il budget che passa da 5000 a 10000 euro per ciascuna fase del procedimento processuale. In totale, per la difesa degli sbirri violenti vengono stanziati 860mila euro l’anno, a partire dal 2024.

In una spirale di forsennato giustizialismo e legalismo nel nome del “progresso”, la scure della repressione si abbatte sulle individualità in lotta per sottrarre alle sporche mani di Stato e capitale tutti quei territori, come anche quello ‘libidico’, presi costantemente di mira da interessi di speculazione e mero guadagno economico.

Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso. Così in nome di questo presunto sviluppo si giustificano enormi appropriazioni indebite delle nostre esistenze tutte: il loro progresso è solo un ricatto, la loro visione di “migliore”, intrisa di un ‘do ut des’ spietato ed unicamente a nostre spese, non propina mai sviluppo se non in cambio del nostro esistere, dell’essere al mondo. Così che il fetido avanzare delle frontiere del capitale necessita dell’innervatura linfatica affinché questo corpo, formato da diversi organi, possa crescere e crescere, senza mai badare alla distruzione del suo passare.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sé ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno gia portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. Supposti sviluppi arrivati in Sicilia promettendo futuri radianti e dignità a colpi di lavoro: lo abbiamo già visto, ad esempio, con il polo petrolchimico nel siracusano, una zona ormai compromessa da esalazioni e corrosione degli spazi. Case vennero abattute per fare largo a questi mostri, lavoro venne promesso; ed infine, crescita economica a dismisura per tutti e tutte. Quello che si è ottenuto è povertà, monopolio dell’indotto lavorativo della zona, malattia ed aria cancerogena. Dov’è finito il futuro radioso? Quale riscontro con la realtà avevano le promesse vuote di signori della politica e del business? Quelle torri che esalano fumo nero simboleggiano, tronfie e prepotenti, l’inganno del progresso e della delega che ha trasformato in mera gestione amministrativa lo stesso processo vitale. Rappresentano le grinfie del luminoso oblio entro la quale ci vorrebbero costringere. Rappresentano anche quello stesso inganno che si sta profilando per le persone dello Stretto.

Il progetto del ponte sullo Stretto, nella retorica dei detrattori della vita, sarebbe funzionale ad accelerare i processi di turistificazione, fonte a loro volta di lavoro precario e sottopagato per chi in questi territori ci vive e non viene in vacanza. La solita storiella che eguaglia turismo e ricchezza diffusa per gli abitanti di un luogo non è altro che l’ennesima menzogna malcelante un futuro (immediato) di estrazione forzata e devastazione diffusa, in cambio di sole briciole (come se poi un qualunque supposto guadagno potesse essere bastevole per la posta in gioco).
Se dunque da una parte la Sicilia viene venduta come una vetrina per turisti, una sorta di paradiso terrestre dove trascorrere le ferie, andare al mare e degustare il buon cibo locale; dall’altra parte si concretizza come una tra le frontiere che continua a uccidere quotidianamente, trasformando il Mediterraneo in un cimitero per chi non ha avuto il privilegio dei “requisiti” giusti per attraversarlo. Ricco, bianco e occidentale?! Allora benvenuto; se sei povero, migrante e non bianco, invece, la deportazione verso il CPR o carcere più vicino diventa come un percorso naturale, una sorte quasi scontata.

Strumenti, quelli detentivi, di messa a profitto di quei corpi “altri” da cui immunizzarsi! Solo su quest’isola ci sono ventitre istituiti detentivi, cinque hotspots, due CPR (più il CPRI di Pozzallo), che rendono la Sicilia una vera e propria colonia penale. Quindici tra basi e installazioni militari USA, due (quelle ufficiali) basi NATO, tre raffinerie.
Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari; come la costituzione di poligoni di tiro, dove fare il “giochetto” della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale, al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; e a rischio di ripetizione, il proliferare dei luoghi di detenzione, della localizzazione forzata delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Ed arriviamo alla Calabria, costellata di cattedrali nel deserto e opere incompiute.

Mentre la nostra sfera del desiderio, ricca dello Stretto indispensabile, va letteralmente in fumo insieme ai nostri boschi secolari, le nostre sorgenti sono secche e le falde ormai prosciugate, le cattedrali nel deserto continuano a configurarsi come l’unica possibilità per i nostri territori, monumenti a scempio delle nostre vite sacrificate sull’altare di un presunto sviluppo di cui non sentiamo alcun bisogno, approccio coloniale dello stato italiano garantito dall’avallo colluso della classe politica regionale e locale e dal malaffare ‘ndranghetista. Opere pubbliche se completate lasciate marcire nel degrado, oppure a malapena cominciate e poi abortite, benché finanziate con grande sperpero di pubblico denaro. Uno sfacciato spreco di risorse economiche che avrebbero dovuto essere impiegate altrove. E così non smettiamo di essere terra di incessante emigrazione e di mancata accoglienza, di servizi e trasporti pubblici assenti.

Ma non siamo più negli anni in cui, in nome del progresso e dello sviluppo di questo stato nazione, che continua a trattarci come colonia da sfruttare e da cui estrarre valore fino alla nuda vita, dobbiamo continuare a barattare il pane con la morte, una Calabria terra di lavoro avvelenato come nell’ex polo chimico Montedison della Pertusola a Crotone, città edificata con i rifiuti tossici e i veleni industriali impastati nei materiali di costruzione di case e strade. Terra di promesse e pacchetti fantasma: il V Centro Siderurgico nella Piana di Gioia Tauro, la Liquichimica di Saline Jonica, impianti morti prima di essere nati, terra di espropri e scempi ambientali, di bonifiche mai effettuate, di discariche private più o meno autorizzate ma sempre supertossiche, di torrenti che straripano e interi territori che franano, di utilizzo delle ‘ndrine per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, interrati in grotte e fiumi o nelle “navi dei veleni”, carrette del mare stipate di fusti di scorie nucleari, affondate a decine lungo le nostre coste, di dighe costate centinaia di miliardi, come la diga sul Metramo mai collegata alla rete di distribuzione né per uso potabile né per uso irriguo a servizio della Piana di Gioia Tauro,  mentre città e campagne bruciano di sete o bruciano letteralmente negli incendi annualmente programmati all’arrivo del solleone e il deserto continua ad avanzare.

Si esortano le famiglie all’uso consapevole dell’acqua per evitare gli sprechi, ma non si mette in atto alcun intervento per evitare le enormi perdite di acquedotti vecchi ridotti a colabrodo. Così si invoca a gran voce l’arrivo di piogge in piena estate, le uniche che possono salvarci dal morire disidratati. Anzi Sorical ci consiglia di utilizzare per tanti usi l’acqua già usata. Si grida alla siccità ed al pericolo della desertificazione, ma si continuano a tagliare boschi per piantare pale eoliche e costruire le strade solo per il transito dei megatir necessari ai cantieri. Sull’altare della transizione verde lo stato italiano e le grandi multinazionali dell’energia stanno facendo grossi affari e chiunque proverà ad opporsi verrà duramente perseguitato grazie all’ultimo decreto sicurezza. E così su montagne e colline ancora incontaminate e al largo delle nostre coste ioniche svetteranno gigantesche pale eoliche e  i campi agricoli si stanno riempendo di pannelli fotovoltaici. Il Marchesato crotonese, le Preserre catanzaresi e vibonesi, la Locride sono i territori in cui avanza l’aggressione incontrollata dei nuovi megaimpianti eolici: 440 impianti attivi e 157 progetti in corso.

Ma la stessa nuova sfrenata corsa alla produzione di energia green non riesce a staccarsi dalla modalità di lasciarsi dietro delle cattedrali nel deserto. Gli impianti green divorano il nostro territorio, ma troppo spesso sono impianti fantasma: pale eoliche pronte all’uso mai messe in funzione, come le mostruose torri eoliche del crotonese, a centinaia sparpagliate per chilometri ma ne girano pochissime; o interi tetti di scuole ricoperti di pannelli fotovoltaici mai collegati alla rete di distribuzione. Ad Antonimina alle porte dell’Aspromonte, la torre eolica di 150 metri nella magnifica località del monte Trepizzi non ha mai preso a funzionare. In questo assalto ammantato di green si inserisce anche il progetto del rigassificatore alle spalle del porto di Gioia Tauro e proliferano impianti proposti come assolutamente innovativi, come la criminale idea di una centrale idroelettrica di pompaggio dell’acqua del mare che la multinazionale Edison chiede di piazzare poco distante da Scilla in piena zona di protezione speciale della Costa Viola. Appalti milionari per progetti ambiziosi e di interesse nazionale, grazie alle facilitazioni procedurali garantite dal pacchetto energia del Governo Meloni, che pensa alla nostra regione come un hub energetico tutto proiettato all’esportazione dell’energia elettrica prodotta (ne esportiamo già i 2 terzi di quella che produciamo grazie anche alle 4 centrali a turbogas già in funzione). Si continuano a progettare opere prima di aver fatto gli studi adeguati; così poi si trova cobalto radioattivo scavando gallerie, come è stato per l’arteria stradale Sibari- Sila o per l’aviosuperficie di Scalea, costruita sul letto di un fiume ad elevata pericolosità e limitrofa ad una zona di protezione speciale, per di più interessata a fenomeni di erosione.

Come puoi tu, calabrese o siciliano, credere che il Ponte sullo Stretto non rientri in questa logica illogica di (non)costruzione e pura devastazione? Come puoi tu credere più alle parole di un nessuno proveniente da altrove, che ai tuoi occhi e ai disagi che vive la tua gente? E non è lampante dunque che quest’ultima trovata dello spacchettamento del progetto definitivo in fasi costruttive non produrrebbe altro che una nuova annunciata devastante incompiuta di uno sviluppo di cui non abbiamo alcun bisogno?

Sappiamo bene verso dove volgere questi sguardi, sappiamo bene chi e quali strutture ci costringono in queste catene. Sappiamo bene che firma porta la militarizzazione sfrenata ed il profitto sul sangue, sappiamo bene anche chi sono i complici, colpevoli tanto quanto gli ideatori di questi foschi intenti. Leonardo S.p.a. capolista delle fabbriche di morte, paziente zero dell’economia targata bombe e bombardamenti, droni e software di spionaggio utili alla repressione di popolazioni in rivolta. RFI, complice del monopolio armato di capitalisti e statisti firma accordi di precedenza a tutto campo della mobilità militare, immaginando sempre di più la propria infrastruttura a misura bellica. WeBuild, incaricata del riadattamento del manto autostradale per renderlo idoneo al passaggio di mezzi, anche pesanti, militari. Stretto S.p.a., della serie “duri a morire”, ripresenta il tombale volto di Ciucci a rassicurare tutte e tutti circa la cura del territorio di cui è capace una società che, sotto il nome Salini-Impregilio, si è macchiata di crimini orribili durante la realizzazione di mega infrastrutture idro-elettriche in paesi dell’Africa e del Sud-America. Medihospes, società gestrice del hotspot di Messina, vince gli appalti per la gestione dei futuri CPR italiani nei confini albanesi, a braccia aperte brama e produce profitto sull’accoglienza e la CARCERAZIONE dei migranti.

Tutti tentacoli del capitalismo che dirigono ogni loro sforzo e azione verso l’aridificazione della Terra e degli spiriti di chi la abita con la sfacciata connivenza di Stati e governi, con la spietata tutela di sbirri, eserciti e procure che sempre meno lesinano nel premere grilletti, far scoccare manganellate, saturare l’aria di gas lacrimogeni ed infliggere condanne liberticide che si configurano come vere e proprie torture.

Lo Stato italiano tortura, lo fa attraverso il braccio armato dei suoi sgherri; lo fa finanziando lager in Libia, CPR in Albania, con ogni esternalizzazione delle frontiere e la complicità di Frontex o altre cooperative intrallazzate nella c.d. “accoglienza”. La morsa repressiva non smette di stringersi, si adopera con nuovi strumenti legislativi ed esecutivi, innervando le città di occhi elettronici e dotando di sempre più strumenti offensivi gli operatori di polizia. Quanto più aumenta il potenziale di conflitto determinato dalla pressione oppresoria dello Stato, tanto più aumenta il pericolo per il loro monopolio della violenza, tanto più per noi è un segno che le gambe del Leviatano adesso tremano. Più la bestia affila gli artigli più significa che si sente sotto attacco; tanto più si avvicinano le ‘notti bellissime’ tanto più si inasprirà il conflitto interno ad opera delle istituzioni contro i vagabondi di pensieri erranti, di logiche e pensieri ‘altri’, completamente stranieri, completamente indefinibili e, dunque, liberi.

Un pensiero non può che essere allora rivolto a chiunque lotta contro le galere; a chiunque continui a bruciare quei centri di detenzione e rimpatrio; a tutte quelle persone che quotidianamente sfidano la fissità dei confini; a chiunque resista e combatta questa macchina fagocitante e distruttiva. Ad ogni compagna e compagno con lo sguardo incendiario che non permetterà mai a nessuno di occultarlo ne tantomeno di spegnerlo. Ad ogni insurrezione, personale o collettiva che sia; ad ogni diserzione, e che queste si moltiplichino infrangendosi contro il loro regno del cieco asservimento.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI.


CEMENTO MORI

contro il ponte sullo Stretto

Oggi mi libero dalla paura… la pazienza si vendica.

Scilla «Latra terribilmente: la voce è quella di un cucciolo di una cagna, ma è un mostro spaventoso, e nessuno, neanche un dio, avrebbe piacere a trovarsi sulla sua strada. Ha dodici piedi, tutti orribili e sei colli lunghissimi, e su ognuno di loro una testa spaventosa e tre file di denti fitti e serrati, pieni di nera morte. Per metà è immersa nella grotta profonda, ma sporge le teste fuori dal baratro orribile e là pesca, frugando intorno allo scoglio, delfini e foche e bestie anche più grandi. Nessun navigante può vantarsi di esserle sfuggito illeso sulla sua nave; con ogni testa afferra un uomo, portandolo via dalla nave nera». «Di fronte a Scilla sta Cariddi in agguato all’ombra del fogliame di un immenso fico, su una rupe inaccessibile. Il mostro Cariddi per tre volte al giorno inghiotte e vomita dall’orrenda bocca enormi quantità di acqua con tutto quel che contiene».
Così Circe descrive a Odisseo questo pezzetto di mare, crocevia dei più diversi popoli che lo attraversano da sempre, incontrandosi, commerciando e scontrandosi. Due mostruose figure femminili che distruggono chiunque passi fra loro, come due lame di una stessa cesoia.

E se fossero invece le anime di una terra stanca di essere stuprata? Di un Sud, tra i ‘sud’ del mondo, dal quale Stato e capitale estraggono valore?

Succhiano vita, cacano disperazione e ce la spacciano per progresso: «Gioite selvaggi, lavorerete per costruire la vostra stessa miseria. Sarete lavoratori e lavoratrici in nero al servizio dell’industria turistica e i vostri figli cresceranno in placente con alto contenuto di plastica. Sarete operai e operaie del petrolchimico, vi spetta in premio un cancro per famiglia. Sarete operatori e operatrici nei lager per migranti, secondini, militari e poliziotti: e mangerete pane condito col sangue e le lacrime dei vostri vicini di casa. La maggior parte di voi rimarrà disoccupata, ma se ci supplicherete come si deve potremmo sempre edificare altre magnifiche opere che vi daranno da sopravvivere e vi condurranno più rapidamente alla morte, vi libereremo così anche dall’onere di lavorare!».

Ma noi, avanzi di furti subìti, dignità del dubbio che sa imporsi, grideremo il nostro discorso politico senza saliva: «Se invece fossimo il vento e la sabbia che si incontrano e si fanno bufera? Se fossimo le onde che stanno per rompersi? Siamo la forza delle nostre montagne e i nostri sogni sono radici di ginestra che cresce nel fuoco. Siamo pazienze stanche pronte a vendicarsi. E la zagara ci accompagna e la madonna nera ci protegge. E i cormorani e i pescispada ci sono amici. Nelle vene ci scorre il sangue brigante delle lotte passate. La nostra vita non è in vendita!».

Il ponte sullo Stretto, nell’ideologia prima e nella messa in opera dei lavori poi, è l’ultimo manifesto dell’economia simbolica del potere. Ma chi è questo potere? Nella fitta maglia dei rapporti sociali e politici è possibile cercare, con l’anima in spalla e la determinazione in mano, i redattori di questa storia che ha ancora la possibilità di finire in modo diverso.

 

Webuild: anatomia del cemento

Una rapida occhiata al sito di Webuild suggerisce un’impresa non solo attenta a valori come la sostenibilità o la compatibilità delle sue mega-infrastrutture con i territori e chi li abita, ma anche promotrice di uno sviluppo incentrato su «un domani migliore» – per dirla con le parole dell’amministratore delegato Pietro Salini.

Ma la domanda qui sorge spontanea: migliore per chi? Infatti, a guardar bene gli effetti degli interessi economici del gruppo in determinate aree si può nitidamente vedere quale sia il modello di sviluppo tanto caro a Webuild e a chi appalta la realizzazione di opere per il “bene pubblico” – che coinciderebbe con l’aumento dei profitti per i soliti noti. La necessità di estrarre valore ad ogni costo ha troppo spesso indotto a nascondere volutamente tutta una serie di effetti di questa visione del mondo: ma quegli effetti sono invece ciò che non si può più tacere, né tantomeno accettare.

La specializzazione del gruppo Webuild è la costruzione di dighe: operando principalmente nel continente africano, in Asia e nel latino-america, ha costruito più di 300 impianti.
Ma webuild è solo il capitolo più recente di un percorso imprenditoriale che ha inizio negli anni ‘30 del secolo scorso. Un capitolo che ha inizio quando la Salini s.p.a. si consolida nel mercato edilizio e infrastrutturale in Italia, dopo Impregilo e Astaldi.

Diversi sono gli esempi in cui il gruppo imprenditoriale, con il suo agire, ha determinato una serie di effetti devastanti sui luoghi interessati dalle sue opere e sulle persone che li abitavano. Pensiamo alla costruzione della diga di El Quimbo, in Colombia, per la quale sono stati inondati circa 8.500 ettari di terra, che erano prima coltivati e servivano in qualche modo da sussistenza per chi viveva quelle zone; inoltre, non si sarebbe veramente tenuto conto di quanto la deviazione dei flussi idrici interessati nella costruzione della diga avrebbe potuto impattare negativamente sull’abitabilità di quelle zone per diverse specie, tra cui quella umana. In altre parole, il tessuto sociale, economico e biologico è stato del tutto lacerato dalla predominanza del cemento. L’imposizione di un processo tecnologico, giustificato dalla necessità di produrre energia elettrica (ma per chi? e per cosa?), ha avuto conseguenze devastanti ovunque si sia verificato.

Altro progetto esemplificativo del progresso targato Webuild è la diga Gibe III, costruita sulla valle dell’Omo tra Etiopia e Kenya. Gli scopi di questa infrastruttura idroelettrica sono quello di produrre energia per il compartimento industriale (ossia da vendere sul mercato) e quello di deviare l’acqua per l’irrigazione di circa 500 ettari di terreno destinati ad uso commerciale dallo Stato etiope. Si possono anche solamente immaginare quali siano stati gli effetti della costruzione della Gibe III su popolazioni per cui l’acqua e la terra erano tutto.
Vengono private dei mezzi di sussistenza di base parecchie persone che sono costrette per lo più ad andare a (soprav)vivere altrove. Inoltre, da un rapporto dell’human right watch del 2012, emergono dettagli tetri circa il trattamento riservato a chi aveva avuto l’ardire di opporsi a questo stupro della Terra. Il nome Gibe III proviene dall’esistenza di Gibe I e Gibe II, altre due turbine idroelettriche costruite nella Valle dell’Omo. Tra l’altro per la Gibe II anche il governo italiano prese parte all’opera attraverso il ministero degli affari esteri.

Ma i dettagli inquietanti sembrano non finire mai quando si scava nel passato della ex Salini-Impregilo, coinvolta anche nella costruzione della diga del Chixoy, in Guatemala: per portare a termine i ‘lavori’, in quel caso, intere comunità vennero disgregate e centinaia di persone massacrate a morte.

Attualmente Webuild ha in corso, solo nel Meridione d’Italia, circa 19 megaprogetti (che spaziano dalla realizzazione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità e alta capacità, a tutta una serie di lotti autostradali, e infine ad alcune linee metropolitane). Tutto questo apparato cantieristico per l’infrastruttura è retto da due «centri di addestramento avanzato per il lavoro» che si trovano in Sicilia e in Campania: terminologia niente affatto casuale, implicita ammissione di una vera e propria invasione, nella cui logica interna la persona che lavora in cantiere è considerata alla stregua di personale militare.
Questa occupazione economico-militare dei territori fa tanto pensare a un dislocamento bellico pronto alla grande operazione, come potrebbe essere la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Le modalità sono sempre le stesse, la predatorietà pure.
Sembra quasi che le loro reti, i loro jersey e le loro ruspe appaiano tutte all’improvviso, precedute da una retorica di miglioramento delle condizioni dei luoghi dove operano, praticano senza pietà le loro amputazioni su di un corpo che ai loro occhi algoritmici appare ridotto in fin di vita ed è pertanto un’ottima cavia per sperimentare e per arricchirsi.

La logica dell’invasione pervade in tutti i sensi, la comunicazione e le modalità operative di queste corporazioni; Webuild non è l’unica a leccarsi i baffi dinanzi a un bottino appetibile a molti interessi – tutti volti al mero guadagno, al crescere dei flussi turistici, alla necessità di una sempre maggiore quantità di energia elettrica, beffardamente spacciata per green. La logica dell’invasione, le sue ruspe e gli scudi e i manganelli che le ‘scortano’ quando alziamo la testa, incalza ogni giorno i nostri corpi, bracca le fibre di cui è fatta la nostra vita.

Ma la cattura non è mai completa: ogni giorno succede che qualche sensibilità si incammini, da sola o in compagnia, in direzione ostinata e contraria; e non smettono di aprirsi crepe, e varchi, ogni volta che i nostri polmoni riescono a non arrendersi all’aria del tempo, e i nostri cuori a respirare, disertare, insorgere.

 

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