
La sopravvivenza è l’elemento cardine della non-vita reiterata all’infinito, la distrazione per eccellenza insita nella possibilità (concessa) di emettere ancora un altro respiro. Sopra-vivere è poi uno degli aspetti parte di questa esistenza meccanica dovuta al consumo. Indicando, presto fatto, quale modo è fornitoci per compiere questa azione perno che tiene in vita tutti i mercati. Una classifica necessaria che permetta l’estrazione endovenosa di libido altrui, in un mondo in cui sopravvivere significa essere in grado, al c.d. “momento giusto”, di sferrare colpi micidiali nei confronti di ’altrx’, sempre e comunque a beneficio dei guardiani. Si nutrono di tutto ciò che hanno sbattuto spalle al muro, succhiando via il sangue a tutti quei corpi (volutamente resi carapaci) che hanno dapprima relegato ai margini, da un’imbarcazione in balia delle onde nel Mediterraneo sino al cartellino che ogni mattina striscia per avere in cambio stipendio; e poi, fattosi servire come appetizer di un cenone col botto. Ed i loro simboli del sopravvivere li hanno cosparsi ovunque; nelle città, nelle campagne, in petto. CPR, galere, leggi liberticide (quale legge di Stato non lo è?!), strade sempre più deserte e popolate da FF.OO. ed esercito, apparato legislativo sempre più spiccatamente armonizzato a livello europeo nel considerare lx stranierx come qualcosa da contenere e ricacciare, detenendo e deportando quante più persone possibile, legittimando sempre più il modello dei campi di concentramento, particolarmente al di fuori delle proprie frontiere; elementi, questi, che concorrono alla bellicizzazione del mondo e delle persone che lo abitano.
La colonia è nettamente divisa: da un lato l’estrazione di valore ad ogni costo (attraverso il mercato del turismo e tutte le sue orrende conseguenze sui territori e chi li abita, per esempio); dall’altro, l’adoperarsi dello spazio violentamente conquistato come carcere-caserma, trincee di guerra. La linea di confine è tracciata da avamposti armati: sbarre di ferro, telecamere ed olezzo di sofferenze. Una rete gialla, asfalto, un muro grigio con una rete gialla, sbirri, una rete grigia e poi l’effetto concreto della frontiera. Il sangue sacrificale dello squallido rito del capitale, un serbatoio di vita reclusa dalla quale attingere sofferenza rigenerante per gli stessi boia che la concepiscono. Braccia conserte e sguardi malati custodiscono nel nucleo del non-luogo figlx del mare, strade percorse per l’ennesima volta e sogni infranti da gabbie alte svariati metri. Una mimetica come un sacco di patate, sbuffa fumo osservando il teatrino della morte insensata e con bastoni elettrizzati aizza la rabbia di reclusx. Bestie da ostentare nel loro potenziale distruttivo, cucitogli addosso, però, da quel mondo che di loro ne fa circo; negre, tunisini, troie, froci, marocchine, filippino, donna delle pulizie, fango, merda, reietta, fogna, fetore… suicidi e sofferenze, lesioni ed auto-lesionismo, overdose da farmaci, omicidio, rimpatrio, catene, bombardamenti, spossesso, soffocamento…
Ma cosa sono questi se non (anche) avamposti militari? Non-luoghi di sofferenza imposta da una legge marziale, quella della guerra, simbolo nella loro dimensione più concreta di confini organizzati per respingere ed incarcerare il più possibile. La Sicilia, una piattaforma in mezzo al Mediterraneo che lo Stato, con la complicità europea, trasforma in hub della guerra e della detenzione giorno dopo giorno. Mentre all’ombra della stessa complicità allarga senza sosta il network del confinamento e della guerra: dalla costruzione di nuovi luoghi di detenzione, di basi militari, di infrastrutture tanto fisiche quanto della comunicazione, di strade; a rinnovate reti digitali ed integrate per il controllo non solo del territorio, ma anche di operazioni extra-territoriali (vedasi la massiccia presenza statunitense sull’isola oppure il ruolo dell’antenna MUOS di Niscemi, vedasi anche il continuo passaggio e rifornimento -tanto a terra quanto in volo- di aerei miltari dai cieli della Sicilia diretti verso diversi obiettivi di guerra). Campi di concentramento dove persone vengono abbandonate come rifiuti in aree extra-urbane, ai confini, lì dove le cose si fanno sempre meno nette, tranne che quelle prepotentissime reti che assumono, invece, una forma sempre più solida e concreta, sorvegliate da telecamere e sicari emettono il suono stridulo delle catene; si sfondano, però, ogni qual volta cucendosi le voci ed i fischi e le battiture, da un lato e l’altro di quella maledetta frontiera (l’ennesima), piombano contro i detrattori della vita e rivendicano inscindibilità in dispetto ad un mondo sempre più segmentato e, di conseguenza, sempre più isolato. Musica, fischi, pietre battenti, vernice scorticata da quei pali conficcati in quella terra confiscata per farne carcere.
“La guerra è alle porte”?! No! La guerra è entrata a gamba tesa nel nostro abitare quotidiano. Ed all’elenco potenzialmente infinito della complicità dello Stato italiano negli scenari di guerra che si dipanano tanto in Medio-Oriente quanto nel Nord-Est europeo si aggiunge la totale messa a disposizione del suolo siciliano da parte del ministro Crosetto per l’addestramento dei piloti dei caccia militari F-35. Così “la Sicilia sarà sarà il primo luogo al di fuori degli Stati Uniti dove verranno formati i piloti degli F-35-continua il ministro- come siamo l’unico Paese al mondo dove vengono assemblati gli F-35, a Cameri”. Segue Guido Crosetto dalla base di Decimomannu: “Perché il futuro si costruisce non limitandosi alla difesa ma facendo diventare la difesa un motore sociale, economico e di innovazione tecnologica. E questo ne è l’esempio”.
Lo spossesso è totale, dalle coste sino all’entroterra. Nuove infrastrutture del trasporto, dal ponte sullo Stretto, alle nuove ferrovie e strade; luoghi di estrazione di energia così detta green; avamposti e aree d’addestramento militare; ed, ancora, luoghi di carcerazione. Tutto è impostato sulla falsa riga della guerra (’Webuild’ che allestisce “campi di reclutamento ed addestramento” per la forza lavoro dei sempre più numerosi cantieri che vengono loro affidati). Ed in un territorio sempre più invaso da militari ed occupato da carceri di varia tipologia non può che acuirsi il livello della repressione e della prevenzione di eventuali forme del dissenso, trasformate ormai quasi integralmente in fattispecie penali in grado di far combinare anni di galera a sempre più persone. E non si contano i corti circuiti costituzionali che si esprimono: lo Stato incarcera, tortura, uccide ed insabbia. Il mercato detentivo ed il mercato della guerra non possono soffrire di alcuna forza di inceppamento, poichè oltre ad essere evidenti e copiose forme di guadagno, sono le modalità di una società che serra i confini e deporta; militarizzando, contemporaneamente, la quotidianità che ognunx di noi vive.
Molteplici gli intrecci tra grandi dell’industria bellica ed infrastrutturale; ed altrettanti i rapporti che si stabiliscono tra istituzioni e quest’ultimi. Per quanto riguarda il gruppo Webuild e l’apparato detentivo si riportano (di nuovo) gli accordi siglati con il Ministero della giustizia per la messa ad impiego di circa venticinque mila persone detenute, che verranno impiegate da Webuild nel compartimento “grandi infrastrutture” e cantieri del PNRR. In cooperazione con il CNEL, il Ministero della giustizia, contemporaneamente, inaugurava un nuovo programma intitolato “Recidiva zero”, un programma che mira alla costituzione di un sistema centralizzato di estrazione forza lavoro dagli istituti detentivi ponendo, ancora una volta, il focus sul rapporto tra lavoro ed interruzione della “devianza criminale” come perno di un mondo, quello detentivo, che si prepara non solo ad ospitare sempre più persone ma che, anche, si conforma progressivamente come un mercato che risponde a logiche di profitto e congiuntamente anche al ruolo di simbolo del potenziale repressivo/punitivo dell’istituzione statale dinnanzi a quantx consideratx devianza e, di conseguenza, criminalizzatx. Non sembrerebbe dunque una forzatura asserire la cooperazione a carte scoperte tra istituzioni statali e grande industria, combaciando con le sempre più manifeste intenzioni di privatizzazione del compartimento carcerario, lo sforzo del legislatore di garantirsi ancora maggiori spazi nel combinare pene carcerarie. Ma un aspetto dev’essere ancora sottolineato: l’ambito detentivo nella sua accezione più generale è da sempre stato luogo di interessanti profitti, come testimonia il prepotente ingresso di parte del terzo settore, che assume sempre più incarichi nel circuito detentivo. Dalla conclamata Medihospes, semi-monopolio della cura della persona e gestione dei migranti, all’interno di CPR (vedi Albania), negli hotspot per migranti (vedi Messina) o nei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria); sino alle agenzie per l’impiego, spesso intrecciate con le stesse cooperative che si occupano di questi luoghi di localizzazione forzata e che speculano sulla possibilità di arruolare mano d’opera a prezzi irrisori, sfruttabile, sfruttata e facilmente ricattabile. Ma il possibile elenco di esempi dell’infiltrazione del compartimento privato nel mondo della detenzione non si fermerebbe qui; si potrebbe citare la posizione di Amazon alle Vallette, il carcere di torino o quella di RFI al carcere di Opera; oppure, Grandi Navi Veloci (azienda di MSC) che impiegò le proprie imbarcazioni come navi quarantena per migrantx durante la dichiarata pandemia da covid; la nuova legge sicurezza che aumenta lo sgravio fiscale per le imprese che assumono o aprono contratti di apprendistato a persone detenute.
La narrativa dell’intruppamento e dell’addestramento difatti permea quella di Webuild che si vuole costituire sempre più come giocatore fondamentale nel contesto sociale nel quale espande i propri interessi. Un meccanismo che si rivela fondamento delle modalità d’infiltrazione a tutto campo dei diversi portatori d’interessi: sempre Medihospes, per esempio, diventa un soggetto quasi fondamentale per le prefetture che si trovano a dialogare con la cooperativa in quanto onnipresenti nei centri per migranti, da quelli detentivi a quelli della così detta accoglienza. Allo stesso modo la neo-struttura del capitale bellico si espande facendo leva sul disagio disoccupazionale ed inserendosi a tutto campo nei programmi istituzionali per fronteggiare (per l’appunto) il disagio collegato alla disoccupazione. Questo modus operandi rende determinati soggetti del mercato fondamentali all’apparato statale, mitigando gli effetti concreti della sua costante perdita di legittimità dovuto al galoppare del compartimento privato, si mira alla facile ma ingannevole identità lavoro=stipendio=vita. Ed è anche così che l’industria si impone come necessaria nelle sue propagazioni territoriali.
“CANTIERE LAVORO ITALIA”, accordo inaugurato a Belpasso (CT) nel 2024, evento coinciso con la firma dei “Protocolli d’intesa per la formazione e l’impiego” tra il Gruppo e le regioni Sicilia e Calabria, in seguito esteso anche con la regione Campania è un’esempio chiaro di quanto scritto poc’anzi. Proprio a Belpasso viene impiantata “Roboplant: la fabbrica di conci automatizzata e green”; una fabbrica di conci che vengono poi installati nelle diverse gallerie che interessano i cantieri ferroviari a gestione Webuild. “Un modello- dicono- da esportare in Italia e nel mondo”. Spazio all’automatizzazione “green”, una sostenibilità sostenuta al costo di ettari ed ettari di terreno sacrificati per impiantare tecnologie atte all’estrazione del fabbisogno energetico necessario alla nuova industrializzazione. Tutte infrastrutture che assumono carattere strategico divenendo perno non solo dei prospetti occupazionali di una macro-area territoriale colposamente afflitta da povertà e spossesso, ma anche pietra miliare della nuova forma del capitale, quella dell’algoritmo. Recita Webuildvalue, rivista online del gruppo: “A guardarli sulla cartina, i tracciati delle nuove infrastrutture che attraverseranno l’isola, compongono una fitta griglia che si dirama da Sud a Nord e da Est a Ovest mettendo in connessione i centri principali, a partire da Ragusa, Catania, Enna, Caltanissetta, Messina, Palermo”. Nell’insieme vengono definite dal magazine online “opere essenziali per la modernizzazione dell’isola”, una missione che può essere compiuta solo da quelle persone che hanno dapprima dovuto abbandonare le loro terre ed oggi si trovano (forzosamente?) complici dei loro stessi aguzzini di una vita. Infatti quella fitta griglia è, in termini occupazionali, “un’occasione per tornare a casa”. Ancora una volta sopravvivenza concessa a prezzi esorbitanti. Come nelle mobilitazioni delle grandi guerre bisognava difendere quella stessa “madre patria” che non ha esitato a lasciar morire la gente “arruolata ed addestrata” nelle trincee del “progresso”; allo stesso modo oggi, in un mondo iper-specializzato, le truppe del progresso si rendono sempre e comunque necessarie. Le trincee? I confini dove si espande/contrae la struttura del famelico sistema di capitale. Gli eserciti? Affamatx arruolatx tra le fila di cantieri (anche) per la disseminazione di nuove infrastrutture che, tra le altre cose, sono necessarie alla logistica di guerra. Autostrade il cui manto va rifatto per permettere a determinati mezzi (cingolati) di percorrerle con maggiore agilità o ferrovie che vengono adattate alle necessità logistiche di trasporti sempre più rapidi e sostanziosi, siano queste persone, soldati, armi o capitali. E se un tempo la propaganda travisava il servizio militare come un’occasione per viaggiare e vedere il mondo, oggi, il servizio (quello dei cantieri) viene sponsorizzato come una buona occasione per un riscatto psico-geografico che garantirebbe l’inversione di quei flussi di persone da sempre in uscita (da Messina vanno via circa due mila persone l’anno). Sul sito della trans-nazionale molteplici le video-interviste di personale che racconta una favoletta intrisa di stereotipi, cui sunto è la glorificazione di Webuild per permettere questa re-migrazione meridionale. Il dipinto di terre abbandonate, il caffè buono e la brava signora che serve i panini con prodotti locali a chi sta lavorando sulle tratte ferroviarie, conterranei spediti sul fronte dell’infrastruttura.
“Il campo base da cui partono idee e macchinari per la costruzione della linea che cambierà la Sicilia si trova al chilometro 58 della Strada statale 192, nei pressi della località Gerbini. Un luogo sconosciuto, circondato da distese di aranceti che si estendono a perdita d’occhio lungo una pianura infinta, e punteggiato di poche ma essenziali attività economiche. La pompa di benzina, il bar dove il caffè è buono, un piccolo forno con un angolo salumeria che confeziona panini e prodotti tipici per i lavoratori del cantiere. Il campo base è invece un centro di assoluta vitalità dove si dorme, si mangia, ci si confronta, ma soprattutto si lavora. Negli uffici i progetti prendono forma e assumono la sembianza dell’operatività.” Ecco un paragrafo del magazine Webuildvalue che riassume la mistificazione della loro presenza colonizzante. La routine di terre deserto contro la “vitalità” dei loro campi base e cantieri. Menzogne a colori e realtà in bianco e nero.
Un tempo le trincee, un tempo Pirelli, un tempo Fiat, un tempo una lineaferrata dritta che taglia esattamente a metà quest’isola o che si ritira tatticamente sotto le montagne (come nel messinese, lasciando le coste ad altre “operazioni del capitale” possibili). Sempre e comunque trincee da cui viene sferzata la guerra contro l’esistenza, da cui si impone lo squallido esistente.
La spaventosa e terribilmente concreta favoletta del ponte sullo Stretto incombe sulle persone e sui territori e mentre il gruppo Webuild (capofila Eurolink consorzio affidatario dei lavori di costruzione del ponte e cantieri affini) attende per poter banchettare di tutta la carne da? loro ammazzata con il via libera del CIPESS e la cieca brama di governantx, assume sempre più commissioni di cantiere in diverse parti d’Italia. Solo nel Meridione vi sono diciannove proggetti in corso, “per un valore aggiudicato di circa tredici miliardi di euro”. Le fabbriche di produzioni dei conci non si fermano alla sopracitata Roboplant, infatti altri due siti di produzione dei conci a gestione ibrida manuale/automatica sono stati inaugurati vicino Belpasso (Etnaplant) ed un’altra a Bovino. Con la complessiva capacità produttiva di “due conci ogni sette minuti” e “quarantotto anelli al giorno”, la costruzione di gallerie nelle diverse tratte ferroviarie AC/AV e nei diversi lotti autostradali segue a spron battuto; il ticchettio dell’invasione. “In Sicilia, Webuild è attualmente impegnata nella realizzazione del Lotto 1 dell’asse autostradale Ragusa-Catania e di sette tratte ferroviarie sulla direttrice Palermo-Catania-Messina. Sulla direttrice Palermo-Catania, sta realizzando: il Lotto 1+2 (Fiumetorto- Lercara Diramazione), il Lotto 3 (Lercara- Caltanissetta Xirbi), il Lotto 4a (Caltanissetta Xirbi- Nuova Enna), il Lotto 4b (Nuova Enna- Dittaino) e il Lotto 6 (Bicocca- Catenanuova). Sulla linea Messina-Catania sta invece realizzando il Lotto 1 (Fiumefreddo- Taromina/Letojanni) e il Lotto 2″ (Taormina-Giampilieri)”. Questo solo in Sicilia, risalendo per la Calabria, per la Campania, per la Basilicata, per la Puglia e continuando verso il Nord della penisola, i lotti di cantiere si moltiplicano e moltiplicano. La Statale Jonica 106, in Calabria; la linea alta velocità Salerno-Reggio Calabria e Napoli-Bari; la Nuova Strada Statale Cagliaritana; metropolitana, infraflegrea e linea cumana tra Napoli e circondario; l’ospedale Monopoli Fasano. Questi sono parte dei progetti in corso d’opera solo nel Sud Italia da parte del gruppo, la cantierizzazione di sempre più spicchi di territorio, che via via viene sottratto alle persone per permettere al Sud di avere infrastrutture “nuove e sostenibili”. Ma il loro ’nuovo’ è fatto sulla negazione ed eliminazione totale del ’vecchio’ e lo stesso il loro ’sostenibile’, costruito sulla distruzione e sostituzione della vita vissuta con non-vita futura. Un’imposizione di scambio sempre a perdere, barattare la propria esistenza in virtù di non precisati benefici futuri, l’inno alla sopravvivenza.
Mentre il nuovo mondo si organizza e si espande ci si rende conto che c’è sempre meno spazio per la vita. La voracità con la quale il grande buco nero del loro “progresso” fagocita tutto ciò che incontra è spaventosa; ci sono molteplici esempi di ciò di cui sarebbe capace la trans-nazionale, il cui curriculum vanta una lista infinita di devastazioni irreversibili, di operazioni di ghettizzazione ed eliminazione della vita in virtù di strade, ponti, ferrovie, turbine idro-elettriche, basi militari etc. etc. etc. L’utilizzo della semantica bellico-militare è ancora una conferma di quanto la presenza del gruppo parrebbe potersi equiparare ad un’invasione vera e propria. Troppo spesso quest’invasione viene concessa a mani basse da amministrazioni compiacenti e contorte nello squallido gioco del mondo-impresa; in cambio di briciole (di solito ulteriore cemento, vedasi le così dette “opere compensative”) vengono concessi loro sempre più spazi, il che si traduce quasi sempre in sottrazione di porzioni di vita precedentemente presente. Così mentre dai tubi non scendeva manco l’ultima goccia d’acqua?, sul versante sud del messinese operava una talpa (TBM, ossia Tunnel Boring Machine), una fresa meccanica che sembrerebbe necessitare mille litri d’acqua al minuto per scavare una tana devastante nel cuore della montagna. Mentre il deserto avanza su ogni versante promettono ulteriori opere (invasioni) per depurare e/o dissalare l’acqua e, dunque, ovviare ad una crisi che loro stessi ci infleggerebbero, volendo prosciugare di ogni humus vitale anche queste zone del pianeta. Ed intorno a loro rappresentanti e politicanti di varia tipologia cercano di arraffare tutto l’arraffabile, in termini tanto materiali quanto di squallida notorietà, facendo strazio della vita aprono la pista ai nuovi conquistadores, pronti, questi ultimi, ad acquistare quanto gli viene svenduto da salottierx localx. Un intero quartiere sotto scacco è, per adesso, l’unico vero effetto delle operazioni volute nel complesso cantieristico Webuild. Contesse, il Villaggio UNRRA e le zone circostanti che sono afflitte in maniera (ancora) parzialmente indiretta conoscono empiricamente l’esperienza di code infinite di camion, insistenza di terre contaminate nelle aree circostanti l’abitato, polvere e menzogne. Un modus operandi predatorio, quello di Webuild, che di già sembrerebbe restituire nefaste conseguenze in diversi territori e che incombe sempre più anche sull’abitato dello Stretto nella sua accezione più ampia. Solo sul versante messinese, quanto sta accandendo ora tra Contesse ed il Villaggio UNRAA vedrebbe replicate le stesse modalità su più vaste aree costiere e non, dalla jonica alla tirrenica, contaminando e sequestrando di fatto un’area abitata, quella dello Stretto, da circa un milione di persone.
Che fare di fronte all’apparentemente inesorabile avanzata di questo mostruoso colosso? Quali pratiche opporre ad un mondo che infligge ogni giorno sempre più guerra e devastazione? Come resistere davanti alla squallidissima avanzata del capitale? In che modo territorio e libidine possono diventare inceppamento in questo meccanismo di devastazione garantita? Davanti ad una tale complessità non ci si può certo raccontare di avere delle risposte definitive ed universalmente valide, possiamo quantomeno decidere di tornare alle nostre quotidianità con sempre meno sassi nelle scarpe; cercando di organizzarci ed infrangere quella membrana che ci vorrebbe, invece, sempre più solx.
12 LUGLIO-ORE 18:00- CORTEO CONTRO LA COSTRUZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO- CONTESSE- MESSINA.
