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COSA SONO I CPR? PARLIAMONE IN VISTA DEL PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO DEL 28 GIUGNO

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa. 

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio. 

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 



Sabato 28 giugno 2025:

-Cpr Trapani-Milo: presidio solidale h 16.00 nel prato adiacente all’ingresso;

-Messina: corteo per la Palestina (seguiranno maggiori informazioni).


PER IL TESTO DELLA CHIAMATA AL PRESIDIO: SICILIANOBORDER


MISANTROPIA INTRANSIGENTE

Sono passati 7 mesi ed a Nizza di Sicilia ancora l’acqua sembrerebbe essere di poco sotto i limiti considerati pericolosi per l’essere umano. Ma andiamo un attimo a ritroso.

Passa un’estate torrida che vede il territorio messinese (tra i tanti) attraversato da un’emergenza idrica senza precedenti. Interi quartieri lasciati a secco per settimane, mesi. Auto-botti avanti e indietro in città ed un sacco di chiamate d’aiuto rimaste inascoltate anche per l’ovvio sovraccarico di richieste. Contemporaneamente poco più a sud della città iniziavano le operazioni della talpa che, con un fabbisogno idrico elevatissimo, incominciava a scavare le montagne per la costruzione delle gallerie propedeutiche alla futura neo-linea ferrata, il doppio binario Giampilieri-Fiumefreddo. Si ricorda, non basterà mai, che il cantiere in questione è entrato tra i tanti annoverabili nell’elenco del colosso Webuild, insieme all’originaria affidataria Pizzarotti. Succede che i giorni passano, la città resta all’asciutto ed intanto la talpa scava e scava. E ciò che la talpa in questione tira fuori dal cuore delle montagne viene ammassato come corpo morto nelle fosse comuni del loro scempio, delle vasche dalle quali presumibilmente (viene detto in seguito) il materiale li stoccato sarebbe servito in altre operazioni di cantiere. E nel frattempo passano i giorni e le settimane e, si sa, queste aree del pianeta (anche stavolta, tra le altre) conoscono variazioni climatiche importanti ed improvvise. Dunque, arrivano gli acquazzoni e piove così tanto che le fiumare di cui sono innervate le colline e le valli delle zone interessate dai cantieri esondano. Lo avevano già fatto, varie volte, dimostrando come questo territorio pressi verso la valle volendosi adagiare sempre più verso la costa franando.

Il 2009 è un anno traumatico per i messinesi che vedono la furia della montagna abbattersi sulla gente, portando via 39 persone e praticamente quasi per intero i paesi di Altolia e Giampilieri. Il fango, anche qui, lo conosciamo bene, viene tutti gli anni tra le abitazioni a ricordarci che ad essere intrusi sono i nostri manufatti, presidi di progresso. Dunque, come ogni anno, anche i passati autunno ed inverno hanno portato con se delle “bombe d’acqua”, agevolando lo scivolare di ulteriore collina resa inesorabilmente instabile dall’insistervi di cemento ed asfalto. Fenomeni diffusi in tutta la provincia messinese, rivelando la fragilità di questo territorio ancora una volta, il fango, ha invaso anche le aree di cantiere del sopracitato raddoppio ferroviario, fortini concepiti per isolarsi dal resto del mondo che ne conosce solo le scorie in questi prodotte, non hanno resistito all’irruenza della terra delle montagne che si intrecciava magnificamente con le gocce in caduta dal cielo. Un mix micidiale, inarrestabile, quasi catartico. Ma anche rivelatore, infatti, l’acqua e la terra, passando su quelle fosse comuni di maltolto alla montagna, lo hanno portato via con se, spargendolo qui e li, restituendolo alla terra dal quale era stato strappato via. Peccato che nel suo cammino ha lasciato ciò di cui è composto e non tutto è fatto per l’essere umano, anche se questo continua ad ergersi come unico utilizzatore legittimo di quelle che ormai sono “risorse”.

Arsenico ed antimonio, dal cuore della montagna, alla tavola periodica, ai nastri trasportatori della talpa Webuild, alle vasche, sino (presumibilmente) alle vene d’acqua che utilizziamo per abbeverarci, per cuocere l’acqua, per impastare il pane o che diamo da bere a qualche pianta. E così torniamo all’inizio di queste righe intrise di rabbia, da sette mesi non si può utilizzare l’acqua dei rubinetti delle case, da poco i livelli di arsenico sarebbero scesi poco sotto la soglia limite oltre cui si considera l’acqua avvelenata e così un’altra opera collaterale è ora possibile, i “de-arsenificatori”. Cosa saranno esattamente? Dei filtri, sembra di capire, che si attiverebbero quando i livelli di arsenico presenti nell’acqua superano i limiti consentiti. I lavori dovrebbero terminare entro fine giungo e così dovrebbe rientrare il pericolo circa l’utilizzo dell’acqua corrente.

Sulla verità giudiziaria possiamo anche sorvolare, ovviamente procura e magistrati fanno il loro solito, e per chi si affida solo ai martelli di legno delle toghe giudiziarie chiaramente il tutto resta ancora un’ipotesi da accertare. Ma non è questo campo minato che interessa attraversare ora. Una cosa la possiamo dare per certa, prima degli inizi delle opere di penetrazione della montagna la gente dell’abitato attiguo ai cantieri utilizzava l’acqua corrente senza il problema dell’elevata presenza di sostanze dannose per la vita umana; prima dello stupro totale della terra e la penetrazione costante per creare kilomtetri di gallerie non vi era bisogno di alcun filtro speciale; prima dei cantieri del raddoppio non vi erano innumerevoli camion scorrazzanti per le vie dei paesi; prima dell’inizio dei cantieri non vi era un deposito pieno di terra all’arsenico in città, a Contesse.

Questo testimonia ancora una volta l’inganno in corso, spacciano morte per progresso e tirano dritto sui loro progetti devastanti. Questo testimonia di nuovo come la loro idea di progresso si fonda su tutto tranne che sull’interesse della gente che abita i luoghi dei loro espropri, della loro devastazione di cemento.

Ora immaginiamoci per un attimo la loro capacità devastatrice dal momento che si taglieranno i nastri dei cantieri previsti dal progetto ponte. L’invasione si fa sempre più imminente, “gli assassini sono tutti ai loro posti” e si preparano al peggio. Il sistema di capitale fa pesare i palpiti del suo cuore marcio su quelli delle persone. La sua espansione è come quella di un esercito che esce dalla trincea ed all’urlo di carica uccide tutto ciò che si trova davanti. La guerra totale è anche questa, quella che altrove si combatte a suon di bombe, qui si combatte a suon di reti arancioni, “lavori in corso”, decreti sicurezza e misantropia intransigente.


Che cosa sarà un “tour antimafia”?!

Che cosa sarà un “tour antimafia”?!

Viene da pensare al trenino squallidissimo che porta in giro i sandaletti morbosamente curiosi. Quelli da turisti insomma.

Di cosa si tratterà questo tour del ministro di infrastrutture e trasporti? Il suo giro dell’antimafia anche sulle rive dello Stretto, a sponsorizzare, ancora una volta, la loro infiltrazione criminosa nel tessuto di tutte queste vite. Così il ministro caro passa da queste parti a ricordarci come “il ponte sia l’opera antimafia per eccellenza”.

Che siano terroriste, disertori, anarchiche ed insubordinati la risposta è sempre e solo una: MILITARIZZARE!

Nasceva la nazione e nascevano carceri speciali per chiunque non si volesse raddrizzare difronte all’imminenza del nuovo potere, quello della nazione e dello Stato. Ed ora come allora la guerra è totale, la guerra è contro ogni corpo che si mette di traverso ai loro loschissimi progetti di devastazione assicurata. Ogni occasione fu ghiotta per l’inaugurazione di nuovi reparti speciali armati in grado di penetrare il tessuto sociale, carcerarlo, fucilarlo, stuprarlo. Ed ora, come allora, il “nemico comune” funge da collante per un mondo cui parola d’ordine é “repressione”. Disertori e refrattarie si trasformarono così in “mafia”. Quando alla vita fu imposto il metodo scientifico lo Stato avanzava e la vita si ritrovava sempre più relegata ad un angolo, coscritta. La creazione del nemico, ora come allora, è il pivot su cui si basa la loro aggressione. Prima cercarono “l’anticristo” e perseguitandolo ne vietarono danze e riti, aspetti della vita divennero illegali. Terre lontane, terre di conquista. Poi vollero soppiantare la conoscenza di Stato a quella ‘locale’, considerata incivile e, addirittura, volenterosa della mano ferro della mano piuma di papà tricolore. La retorica d’invasione è sempre stata basata sul “progresso”, l’appropriazione di parole, dotazione marmorea di senso ed imposizione a macchia d’olio del sensato e dell’insensato. Poi vennero gli eserciti; avamposti e “campi base”; centri di reclutamento e di indottrinamento; reti, confini e sorveglianza (armata). L’invasione militare trovò così consolidamento nell’invasione di una nuova maniera di pensare, moderna, l’invasione di epistemi intrisi di gerarchie; razzismo, misoginia, diffidenza per ‘l’altro’; necessità di determinatezza e fuga totale dall’ignoto. Ed una volta arrivati gli eserciti non se ne andarono più e proliferarono sotto diversi nomi e (apparentemente) funzioni, tutti insieme nell’accorato obiettivo di mantenere quanto imposto a fucilate e cannonate.

Che cosa significa un “tour antimafia”? Significa tantissime cose allora, continua a portare con sé tutta quella retorica e quelle modalità che allora soffocarono le esistenze che vivevano questi luoghi della terra. Ed in parole spicciole, oggi, di nuovo, i loro tour portano con sé nuovi metodi di controllo e repressione. “Cinquanta nuovi ispettori” per vegliare su chiunque voglia infiltrarsi nel loro sterile terreno. Questa è la notizia che porta Salvini sulle coste dello Stretto in occasione della sua squallida gita propagandistica. Ancora controllo, ancora repressione, ancora sangue ed, ancora una volta, gli stessi campanacci d’orati che gli invasori propinavano nelle remote terre di conquista, il “progresso”.

L’unico e solo significato è deciso dai decretatori, “interesse pubblico e nazionale”, l’ennesima ragione per barattare la propria vita con non meglio precisati benefici futuri. L’ennesima buona ragione per blindare la vita delle persone e per vegliarla a vista con personale ben equipaggiato e legittimato a spargere quanto più sangue possibile.


Ma è veramente ancora possibile lasciarli fare? Quanto ancora ci si può dimostrare accondiscendenti in cerca di perenne mediazione con l’esistente?

Venditori di sabbia nel deserto, queste lingue biforcute si aggirano seminando la loro menzogna. FIRMATE FIRMATE.

Una scorpacciata di consenso per il ponte, le imprese del Nord che entreranno nel progetto, e i politici che le avranno aiutate. In questi giorni, al villaggio UNRAA, contesse, città di Messina, un bachetto di Lega-Prima l’Italia raccoglie firme per chiedere di coprire il segmento del torrente S. Filippo che permetterebbe al Villaggio di avere una seconda entrata. Sì, perché al quartiere della zona Sud si può accedere da un’unica strada, da dove passano – oltre agli abitanti – i mezzi pesanti di diverse imprese di servizi e logistica e, da un po’ di tempo, anche i mezzi che depositano materiali di ogni sorta nel cantiere adiacente alle case ed al mare. Strano… in mesi e mesi di allarme sanitario ed ecologico non hanno emesso un fiato riguardo l’arsenico e le polveri sottili che si diffondevano nell’aria e nell’acqua… ora improvvisamente appoggiano una richiesta che gli abitanti del luogo fanno da decenni.

In apparenza è ancora piu strano che loro, che sventolano la paternità della mega-opera che stuprerà la nostra terra, sicuri che in estate – forse proprio da Contesse – apriranno i cantieri, chiedano un intervento già previsto dal progetto ponte!

Sappiamo infatti che, secondo il progetto, proprio da villaggio UNRRA avrebbe inizio il perforamento della terra per la nuova ferrovia che, attraverso due gallerie sub-urbane, giungerebbe all’impalcato del ponte. Ma di questo, nello sbandierare la loro nuova sensibilità per i problemi degli abitanti della zona, neanche una parola.

Indicato con marrone chiaro l’area del torrente S. Filippo già inclusa nel progetto ponte sullo Stretto.

Una nuova viabilità per il Villaggio UNRRA” recita il manifesto del loro rituale di menzogna, apponendo il camouflage della vox populi ai loro interessi milionari.

Manipolazione in due step: ingraziarsi gli abitanti del luogo insinuando nelle loro teste che, a fronte di veleni ed espropri, qualcosa di buono anche per loro c’è, nel progetto del ponte; poi, utilizzare gli stessi abitanti come leva per legittimare i cantieri. Ma con chi pensano di avere a che fare?! Hanno la pretesa di poter sempre imbrogliare chiunque con le loro belle parole…

Ma per chi chiedono questa “nuova viabilità”? Per ancora altre miriadi di camion stracolmi di materiale da cantiere che scorrazzeranno qui e lì per le strade? …tanto, comunque, tra espropriati e trasferiti forzati, saranno poche le persone che rimarranno in quartiere!

Continuano imperterriti a porsi come i mediatori del ‘ben vivere’, del futuro avvenire, unici interpreti di ciò che è meglio; cercano di costruirsi rifugio e legittimità dietro un “mandato popolare”, quello delle stesse persone che dai loro cantieri perderebbero di più. Dall’altra parte, intessono la narrazione del costantemente incipiente inizio dei cantieri; poi, subito dopo, qualche notizia smentisce e rimanda lo stupro a qualche mese dopo. Di estate in estate la corda della forca sembra stringersi sempre più al collo della gente.

Intanto, la narrazione da guerra ha lasciato spazio a un’organizzazione del controllo e della repressione nel contesto cittadino sempre più improntata agli scenari di guerra. La riorganizzazione del regolamento di polizia urbana e la richiesta di strumentazione da antisommossa per la polizia municipale ( in diretto riferimento ai prossimi cortei No ponte!) sono solo gli ultimi dei provvedimenti che stringono la città.

Vogliono convincerci in tutti i modi a consegnare i nostri luoghi di vita nelle mani di chi ne farà strazio a viso scoperto; in cambio di qualche briciola che non potremmo neanche mangiare, quando ci avranno tolto tutti i denti. Lo fanno attraverso le menzogne che ogni giorno propinano a mezzo stampa e/o telecamera, lo fanno attraverso la fame che impongono su luoghi e persone sempre più depredate, lo fanno con i loro banchetti raccogli firme, con il loro continuo caldeggiare il processo democratico colluso e pilotato da signori del cemento e della finanza, senza il quale non esisterebbe per loro alcuna possibilità di esistenza.

Ma è veramente ancora possibile lasciarli fare? Accettare tacitamente la prepotenza con cui impongono la loro squallida presenza? Quanto ancora ci si può dimostrare accondiscendenti in cerca di una perenne mediazione con l’esistente?

Diciamo NO alle loro luride menzogne! Non possono sempre averla vinta loro, non possono sempre fare tutto ciò che vogliono, soprattutto perché il loro volere è sempre e comunque contrario alla vita ed alla gioia.